Il Procedural, tra Trama Verticale e Trama Orizzontale – Parte 1: dal Radiodramma agli omicidi di Cabot Cove

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La struttura narrativa televisivo del procedural è senza dubbio la più importante nella TV nordamericana ed europea ed a ben guardre la moltitudine di serial polizieschi ed assimilabili, sembrerebbe quasi che per i criminali non possa esserci davvero scampo, ma ora è il caso di procedere con ordine e per farlo dobbiamo tornare molto indietro nel tempo, di quasi duecento anni, arrivando laddove tutto è inziato, quasi duecento anni fa.

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Con i primi decenni dell’Ottocento si diffuse rapidamente in letteratura, sia in Europa come nelle colonie, un particolare genere di romanzo, ideato e scritto per essere pubblicato a puntate, con episodi di poche pagine in appendice al giornale (da cui l’altra definizione con cui è anche noto, ossia “romanzo d’appendice”), il feuilleton, termine in breve diventato di gran voga.

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Quelle raccontate con questa formula erano storie ricche di pathos, agnizioni, colpi di scena, rivelazioni clamorose e tutto un vasto arsenale di trovate al limite del possibile e dell’immaginabile, con le quali abili scrittori avvinghiavano un lettore, senza più mollarlo: non a caso, tale forma di narrazione nacque per essere pubblicata sui quotidiani, aumentando spesso la tiratura complessiva della testata e come tale era amata fortemente da tutti gli editori.

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Non parliamo, sia chiaro, semplicemente di lunghe storie dal tono melodrammatico divise in capitoli, ma di una narrazione più costruita, con una trama portante che viene sviluppata e rivelata dal narratore in puntate, di lunghezza molto simile l’una all’altra e con elementi di suspense e di dramma alla fine di ogni capitolo che spingono il lettore ad aspettare con trepidazione l’arrivo del capitolo successivo ovvero quella tecnica che oggi chiamiamo “cliffhanger”.

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Con tale struttura furono scritte opere essenziali della letteratura mondiale, come Les trois mousquetaires e Le Comte de Monte-Cristo di Alexandre Dumas o ai romanzi di Sandokan di Emilio Salgari, ma anche capolavori molto più speculativi e possenti romanzi storici, come Delitto e castigo ed I fratelli Karamazov di Dostoevskij, ma ciò che a noi innteressa ora non è dare dignità a tale genere narrativo, quanto evidenziare un aspetto, forse più prosaico, ma anche cruciale per comprendere il mondo televisivo che seguì quello letterario: con il feuilleton, infatti, si registrò la prima entrata a gamba tesa del marketing nell’industria culturale.

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Partendo dalla considerazione, infatti, che un romanzo a puntate è di fatto una serie, costruita seguendo una trama orizzontale che scavalca ogni capitolo e li lega tutti assieme, si riesce facilmente a capire come il feuilleton, nelle sue accezioni più popolari ed immediate, fu l’ispiratore del Radiodramma, in cui un’opera testuale veniva adattata o persino concepita in modo originale per essere letta e trasmessa a puntate in Radio e successivamente nell’evoluzione dello stesso medium, che sarà la Televisione.

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Dopo i primissimi esperimenti inglesi (spetta infatti alla BBC il primato della prima messa in onda radiofonica di un’opera drammaturgica, nel lontano Gennaio del 1925), i radiodrammi si divisero quasi da subito in due grandi categorie: gli Sceneggiati (nei quali il concetto di serie con trama orizzontale ed agganci continui tra un episodio e l’altro erano l’elemento gradiente) e le Serie con Trama Verticale, in cui il comune denominatore degli episodi (tutti con una loro specifica trama, che iniziava e terminava all’interno del tempo dedicato all’episodio stesso) erano gli stessi personaggi o gli stessi luoghi oppure, in alcuni casi particolari, anche solo lo stesso presentatore/narratore (inventando il format della serie antologica, in cui l’elemento di continuità era in qualche modo una identificazione di gusto e stile del testimonial della serie stessa.

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Il medium radiofonico, partito dunque inizialmente dagli sceneggiati costruiti con lo stile del feuilleton, aveva finito per creare anche il nuovo concetto di fiction seriale, in cui ogni episodio presentava luoghi, personaggi e storie indipendenti, ma ugualmente collegati da elementi comune, come dei protagionisti ricorrenti, un ambientazione o perisno anche solo la cornice con cui venivano presentati e in casi estremi soltanto lo sponsor pubblicitario: siamo arrivati al cuore del concetto stesso di serie a trama verticale e siamo quindi pronti per presentare il cavallo di razza che gli USA sfornarono in quel contesto, la madre di tutte le serie poliziesche mai pensate e concepite, la fiction che influenzò tutto e tutti, Dragnet.

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Diciamo subito che questa serie è inedita in Italia, ma la sua importanza resta immutata, in quanto prototipo del sotto-genere police procedural: sia nei 314  trasmessi alla radio dal 1949 al 1957, sia in tutti gli episodi della successiva versione televisiva (448 in tutto, divisi tra i 276 della prima serie storica 1951-1959, i 98 del ritorno 1967-1970, i 52 della New Dragnet 1989-1991 ed infine i 22 dell’ultima serie L.A. Dragnet 2003-2004), vennero presi in esame tutti i meccanismi di indagine che le forze di polizia applicavano normalmente per scoprire ed assicurare alla giustizia i criminali.

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Jack Webb, il creatore della serie, si costruì su misura il personaggio del detective Joe Venerdì, che egli stesso ha interpretato in tutti gli episodi della versione radiofonica ed in tutti quelli televisivi della prima e della seconda serie: per Webb, l’aspetto principale di Dragnet doveva essere la verosimiglianza a tutti i costi, impegno che si tradusse in continue e costanti visite dello stesso attore-sceneggiatore presso il Dipartimento di Polizia di Los Angeles e frequenti giri notturni in auto di pattuglia con i veri poliziotti Sergente Wynn ed il suo partner Vance Brasher; Webb stava in quel momento scrivendo la storia della Tv, ma di questo tutti se ne sarebbero resi conto solo molti anni dopo.

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Dragnet è pieno di termini specialistici, per altro quasi mai spiegati, ma che diventarono lentamente ed inesorabilmente parte delle competenze lessicali del pubblico radiofonico e televisivo: un solo esempio sia bastante per tutti, ovvero l’acronimo MO, indicante quel “Modus Operandi” usato per descrivere i comportamenti abituali di un criminale ed oggi in Tv vero mantra di qualsiasi character che di professione nella fiction faccia il profiler.

La fiction di Webb era dura, tagliente e cinica, con mani e piedi completamente immersi nella letteratura hard-boiled: dagli omicidi alle frodi, dai ricatti ai delitti della camera chiusa, praticamente tutti i tipi di crimine sono passati per questa serie tv, con dettagli di realismo impressionante per l’epoca in cui veniva prodotta.

Gli spunti di analisi di questa produzione televisiva sono talmente innumerevoli ed importanti che meriterebbero il tempo e lo spazio non solo di un intero articolo, ma di una vera e propria monografia: basti pensare a vicende succose come quella dei reclami fatti all’emittente televisiva dalla NRA, National Rifle Association, per evitare la messa in onda dell’episodio 22 Rifle for Christmas, in cui si raccontava la storia di un bambino ucciso incidentalmente dallo stesso fucile che il padre voleva regalargli per Natale e che la notte della Vigilia il bimbo aveva scartato furtivamente.

Invece chiuderemo rapidamente l’argomento, fermandoci solo all’elemento che sin dall’inizio ci ha portato a ragionare su questa fiction ed ossia la fortissima serialità scandita da storie nettamente verticali: mancando l’effetto cliffhanger ed il colpo di scena, cosa teneva gli spettatori incollati alla Radio prima ed allo schermo televisivo poi, in attesa dell’episodio successivo? La risposta è semplice: le storie, solo gli attori e le storie, autoconclusive ed appaganti in loro stesse ovvero il Sacro Graal del genere procedural.

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Ancora più delle coetanee The Twilight Zone (serie culto di fantascienza, con i 156 episodi delle 5 serie classiche trasmessi senza interruzione dal 1959 al 1964) e Alfred Hitchcock Presents (Sette stagioni con complessivi 268 episodi dal 1955 al 1962), che furono serie antologiche per eccellenza (nelle quali più che di trama verticale dobbiamo parlare di trama “stand-alone”, in cui la storia non ha alcun collegamento nemmeno temporale con quella degli altri episodi dell stessa serie), Dragnet, con il suo essere una serie con trama a nettissima prevalenza verticale, ma identici protagonisti ed ambientazioni simili, influenzerà tutto lo showbusiness televisivo americano degli anni a venire, creando di fatto lo specifico mondo del poliziesco e quello più ampio del giallo, impostando un canone che fu seguito nei decenni in modo quasi fideistico.

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Come due eroici cavalieri templari difensori del sacro sepolcro, a portare avanti negli anni il codice del procedural, del mystery e del giallo, troviamo i due scrittori statunitensi per la TV Richard Levinson e William Link, due veri mostri sacri dello showbusiness, ai quali si devono almeno due certe pietre miliari nel mondo delle serie televisive, due serie che, pur nella loro straordinaria longevità, hanno sempre mantenuto vivo quella costante di trame fortissimamente verticali, all’interno di una cornice costante (stessi personaggi e stesso metodo d’indagine) che mai si potrebbe confondere con una trama orizzontale: parliamo di Columbo e Murder, She Wrote, per le quali, come già per Dragnet, parliamo di fiction che hanno davvero fatto la storia.

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Columbo è unanimamente conosciuta come la serie in cui fu reso televisivamente popolare il format narrativo della cosidetta “inverted detective story”, in cui già all’inizio della narrazione viene mostrata allo spettatore la modalità con cui è stato commesso il crimine ed assieme svelata l’identità del colpevole: Levinson e Link costruirono la struttura portante della loro serie Tv proprio sulla curiosità con cui lo spettatore, già quindi a conoscenza di tutti i dettagli del crimine, si concentra solo sui progressi d’indagine del detective, il quale invece, partendo dall’osservazione dei fatti avvenuti, deve ricostruire la verità andando a ritroso, riscrivendo di fatto la storia in senso inverso e finendo per arrivare allo stesso livello di conoscenza dello spettatore stesso ed anzi superandolo, mostrando a tutti le motivazioni che erano dietro il crimine e dettagli che per ovvie ragione di sceneggiatura erano state celate nella presentazione iniziale della vicenda.

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L’effetto finale di questa “magia” narrativa riscuote un enorme successo: per il grande pubblico, questo modo di raccontare una storia gialla è una novità assoluta e Peter Falk, con la sua personalissima interpretazione di questo detective dall’accento italo-americano, dall’apparenza cialtrona ma anche rassicurante, con il soprabito e la cravatta perennemente in disordine, l’aria fintamente distratta ed un fastidioso stillicidio di continue domande ai sospettati (la frase «Just One More Thing» usata dal detective alla fine di ogni interrogtaorio è diventata un motto proverbiale), donò al mondo della televisione uno dei character meglio riusciti di sempre.

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Gli scarissimi riferimenti alla vita privata del tenente di polizia (in primis la figura quasi fantasmatica della moglie) sono anch’essi un ulteriore contributo alla costruzione del personaggio, descritto e presentato in ogni episodio quasi come una monade a sé stante dal resto del distretto di polizia e dalla città stessa di Los Angeles, senza rilievi di alcun tipo di trama orizzontale.

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Appositamente per questa fiction, i giornali statunitensi coniarono il termine di “how-catch-em”, quasi davvero fossero stati Levinson e Link ad inventarsi questo modo di raccontare una crime-story ed in effetti, pur essendo presenti sin dall’inizio del ‘900 precedenti letterari e cinematografici anche illustri basati sul procedimento invertito di narrazione poliziesca, certamente ai nostri due sceneggiatori televisivi spetta il merito di aver per primi trasformato questo sistema in un format televisivo.

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Il franchise di Columbo resta saldamente in mano della NBC per tutta la decade dal 1968 al 1978, con 45 episodi trasmessi e divisi in 7 stagioni, poi i diritti passano alla ABC che produrrà 24 episodi per 3 stagioni dal 1989 al 2003, mantenendo una peculiarità che contribuì non poco alla sua fama ovvero la grande durata degli episodi, che andavano dai 73 ai 98 minuti, rendendo la serie praticamente una collezione di film per la Tv: questo minutaggio quasi cinematografico poneva la serie in quell’alveo di percezione da parte del pubblico in cui riposano i grandi classici della letteratura gialla,  dove troviamo le saghe filmiche di Agatha Christie dai suoi romanzi con protagonisti i suoi famosi investigatori Miss Marple e Hercule Poirot.

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Quando a chiunque sarebbe sembrato impossibile ripetere un simile successo planetario, Levinson e Link, nella prima metà degli anni ’80, concepirono la leggendaria Murder, She Wrote, serie televisiva che oltre ad un successo travolgente ed inarrestabile, è stata fra tutte le serie Tv mai prodotte quella con la massima identificazione nel pubblico tra attore e personaggio: con 10 nomination ai Golden Globe, 12 agli Emmy Awards ed una fedeltà di pubblico che ha dell’inverosimile, l’interpretazione del personaggio della scrittrice di gialli detective dilettante regalataci dalla Lansbury ha fatto quasi dimenticare al pubblico i circa 50 film in cui l’attrice ha recitato per il Cinema, tanto che possiamo tranquillamente affermare che Angela Lansbury è stata e resterà per sempre Jessica Fletcher.

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L’incredibile longevità di questa serie (non soltanto andata regolarmente in onda per 12 stagioni e 264 episodi complessivi, dal 1984 al 1996, ma soprattutto ancora adesso replicata in quasi tutto il mondo) non è basata tanto sulla genialità o originalità delle storie e delle sceneggiatura (certamente belle e curate, ma con gli anni anche sempre più prevedibili e ripetitive), ma sulla indiscutibile bravura recitatitiva della nostra protagonista e sul rasserenante entourage di personaggi secondari costruito attorno a quello principale: la location di Cabot Cove (uno dei tanti luoghi geografici fittizi creati di sana pianta per ambientare una serie (un pò come la Santa Barbara di Psych) non è solo un paesino del Maine, virtualmente a 40 km circa da Portland (la città dove si ambienta Grimm, serie simbolo della new wave del genere procedural), ma una sorta di enclave o capsula del tempo, in cui i cittadini si muovono come in un museo del giallo, dove gli sceneggiatori costruiscono di volta in volta la vicenda di turno.

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L’impressione che si ha infatti guardando Murder, She Wrote, specie nelle primissime stagiono, è persino quella di assistere ad una versione live-action del board-game Clue, dove ogni volta si rimescolano le carte, ma senza troppa suspence, con storie sempre intelligenti, ma anche sufficientemente tradizionaliste da rassicurare quel target familiare da middle-class che di certo non vuole addentrarsi in quesiti morali troppo ansiogeni.

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Come ogni perfetto procedural tradizionale e come già in Columbo, anche questa fiction si muove sempre con il canone più rigido di trame verticali, con sullo sfondo i personaggi secondari ovvero gli altri cittadini di Cabot Cove (testimoni più o meno attivi dei vari delitti), che agiscono una routine quotidiana, terribilmente simile agli attori coinvolti nella finzione orchestrata dal regista Christof dentro The Truman Show, con qualche variazione qui e là nella trama orizzontale (il cambio dello sceriffo, qualche storia d’amore appena accennata, qualche cambiamento di stile, ma in generale davvero poco per una serie che si ambienta in un arco temporale di 12 anni).

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Riguardo la struttura narrativa di Murder She Wrote, ho parlato prima di una specie di capsula del tempo e di enclave, ma forse il termine più esatto sarebbe quello di laboratorio, dove creare di volta in volta nuove storie gialle, scritte ad ogni puntata da diversi autori che negli anni si sono messi alla prova con il personaggio della Fletcher, chiaramente con esiti discontinui e questo concetto, che richiama l’idea di una moderna writer’s room, era alla base anche della fiction probabilmente più interessante, ma anche più sfortunata (una sola stagione di 23 episodi a cavallo tra il 1975 ed il 1976), dei nostri due autori televisivi: Ellery Queen.

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Dedicata alla figura del famoso detective letterario e temporalmente collocabile a metà tra le altre due serie Tv di Levinson e Link, la serie di Ellery Queen presentava una caratteristica meta-testuale che la rese unica: poco prima della fine di ogni episodio, il detective interpretato da Jim Hutton sfondava la cosiddetta “quarta parete” e guardando direttamente in camera chiedeva ai telespettatori se avessero scoperto la soluzione dell’enigma, con la stessa identica complicità con cui l’attore Oliver Hardy usava il suo famosissimo “camera-look”, rivolgendosi al pubblico con il solo sguardo, per commentare in modo caustico un avvenimento sullo schermo, recuperata a decenni di distanza anche dall’attore Kevin Spacey nella messa in scena creata da David Fincher per le prime due puntate della fiction House of Cards (caratteristica rimasta immutata anche nelle puntate successive, fino all’aultima stagione ed anzi divenuta persino un  suo marchio di fabbrica).

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La morte improvvisa dell’attore protagonista ed indiscutibile mattatore pose purtroppo drasticamente fine al progetto televisivo di Ellery Queen: malgrado il grandissimo successo di audience, fu infatti davvero impossibile per i produttori mettere qualcun altro al suo posto per continuare a recitare la medesima parte, poiché già in quella ventina e poco più di episodi trasmessi si era costruito quel processo di identificazione tra attore e personaggio di cui ho già parlato per la figura di Jessica Fletcher ed i produttori hanno imparato a loro spese più volte che, quando un ruolo diventa un tutt’uno con l’interprete, non si può nemmeno sperare nel successo di una nuova serie con protagonista il medesimo personaggio ed un diverso attore, motivo del perché, fra l’altro, ad oggi non si è mai nemmeno fatto il tanto annunciato reboot di Murder, She Wrote, con l’attrice Octavia Spencer al posto di Angela Lansbury.

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Questo è tutto, per questa volta: spero di ritrovarvi tutti alla Seconda Puntata, dove scopriremo come la tv nordamericana sia passata dalle pallottole di Hawaii Five-O alla metafisica intellettuale della geniale gothic-soap di Twin Peaks!


In questa puntata, abbiamo parlato delle seguenti 4 Serie TV:

Dragnet
Creata da Jack Webb
– Serie Originale, USA, 1951- 1959
Stagioni 8 (conclusa), episodi 276
– Serie Revival, USA, 1967 – 1970
Stagioni 4 (conclusa), episodi 98
– The New Dragnet, USA, 1989 – 1991
Stagioni 2, episodi 52
– L.A. Dragnet, USA, 2003 – 2004
Stagioni 2, episodi 22

Columbo
Creata da Richard Levinson e William Link
USA, 1968 – 2003
Stagioni 10, episodi 69

Ellery Queen (TV series)
Creata da Richard Levinson e William Link
USA, 1975 – 1976
Stagioni 1, episodi 22 + Pilota

Murder, She Wrote
Creata da Peter S. Fischer, Richard Levinson e William Link
USA, 1984 – 1996
Stagioni 12, episodi 264, Tv Movie 4

 


 

2 pensieri su “Il Procedural, tra Trama Verticale e Trama Orizzontale – Parte 1: dal Radiodramma agli omicidi di Cabot Cove

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