Odd Thomas (2014)

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Il 19 Giugno di quest’anno, una Domenica piena di sole, come tutte le altre in quel periodo a Studio City, il quartiere di Los Angeles nato attorno agli studi cinematografici fondati da Mack Sennett (oggi sede della CBS), il corpo del giovane attore Anton Yelchin venne ritrovato incastrato tra un pilastro di mattoni ed una recinzione di sicurezza, in piedi, con gli occhi sbarrati ed i polmoni schiacciati dalla sua stessa Jeep, mentre il fumo caldo del radiatore della sua auto ancora aleggiava attorno al suo cadavere, nell’aria frizzante del primo mattino.

Nessun incidente stradale, ma lo stesso fuoristrada di Yelchin, che da solo, senza nessuno alla guida, verso l’una di notte, aveva sganciato il freno a mano e scivolando indietro nel vialetto di casa aveva schiacciato il giovane divo, uccidendolo sul colpo. Una scena che sembra uscita dalla sceneggiatura telefonata di un film horror o spiritico di basso profilo, in cui un’indefinita entità malvagia causa incidenti muovendo oggetti inanimati.

Io non posso raccontare o aggiungere altri particolari a questo luttuoso avvenimento, ma voglio invece portare all’attenzione dei miei lettori il bizzarro talento di questa star hollywoodiana, nata in Russia da una famiglia di religione ebraica, trasferitasi in tenera età negli USA e subito divenuta attore di successo, dapprima con parti da bambino e poi via via da adolescente problematico, fino al successo planetario del suo ruolo nella saga reboot di Star Trek, con l’impeccabile ed estremamente convincente character di Pavel Checkov (alla cui caratterizzazione di ragazzo prodigio e geniale matematico, promosso sul campo dal comandante Kirk, Yelchin aggiunge una comica inflessione linguistica di etnia russa ed uno stupore stralunato per la realtà che lo circonda).

Senza soffermarsi sulla filmografia di questo giovane attore scomparso (dopo il suo ruolo in “Alpha Dog“, il thriller di Nick Cassavetes, basterebbe anche solo citare tra i tanti quello splendido di Bobby Garfield in “Hearts in Atlantis“, l’adattamento dell’omonimo romanzo di King, scritto da William Goldman e messo in scena da Scott Hicks), preferisco piuttosto concentrarmi soltanto su quello che, a mio modesto giudizio, fu il suo lavoro più importante e significativo e parimenti anche il più snobbato dalla critica tradizionale e bistrattato persino da buona parte del grande pubblico, ovvero la parte di Odd Thomas nell’omonimo film di Stephen Sommers del 2014.

Sommers è un cineasta che ha sempre avuto le mie simpatie: sia come regista che come sceneggiatore, ha realizzato nella sua carriera artistica opere che mi hanno ogni volta divertito in modo spensierato e con oltretutto il grandissimo pregio, ai miei occhi, di essere caratterizzate da un’onestà comunicativa e concettuale senza paragoni; non mi pongo nemmeno il problema di capire se il nostro Stephen non sia proprio capace o piuttosto scelga appositamente di non scrivere e dirigere film di elevata qualità artistica, perché ciò che ho ammirato è la semplicità con cui concepisce il concetto stesso di entertainment cinematografico, mettendosi in scia dei grandi maestri hollywoodiani del passato, narrando opere leggere, piene di ritmo ed azione, per lo più ironiche, mai volgari (questo non è un pregio in senso assoluto, ma una scelta di coerenza stilistica, sia chiaro), spettacolari e coinvolgenti e quindi, infine, particolarmente soddisfacenti per lo spettatore.

A differenza di altri campioni del divertimento filmico ipertrofico, Sommers non ha mai ostentato la cafoneria visiva di un Michael Bay, regista tecnicamente talentuosissimo, lo dico ad alta voce, ma per il quale l’azione è concepibile solo come somma di veicoli ammaccati o morti ammazzati o esplosioni colorate e rocambolesche (valga per tutte la curatissima ma disfunzionale sequenza di “Bad Boys II”, nella quale Mike e Marcus sono coinvolti in un folle inseguimento a Cuba attraverso un villaggio di baracche di legno, finendo, dopo un fiume di distruzione e salti, in un campo minato di fronte alla base militare americana di Guantanamo); né potremmo mai accusare il nostro autore di sfoggiare l’arrogante presunzione da culturista inzuppato di steroidi di un Roland Emmerich, altro egregio autore di cinema, che tuttavia quasi in ogni suo film (con l’eccezione dello straordinario “Stargate“, verosimilmente il suo capolavoro) ha sempre abusato della credibilità popolare, facendo un uso quasi pornografico del concetto di patriottismo (dal discorso del presidente del primo “Indipendence Day”, agli isterismi del Benjamin Martin di Mel Gibson in “The Patriot”).

Perché questo lunghissimo pistolotto sulla filmografia di Sommers?
Intanto perché mi piaceva condividere con i miei lettori un mio personalissimo guilty pleasure di cui vado particolarmente fiero e poi, soprattutto, perché solo in questo modo potevo sperare di comunicare la straordinarietà di coincidenze che hanno portato il nostro uomo nel 2008 a decidere di adattare per il grande schermo il primo libro della saga di Odd Thomas, serie di romanzi di grande successo dello scrittore statunitense Dean Koontz.

Sommers scrisse in modo autonomo lo script cinematografico ed ottenne subito i plausi dal romanziere, che approvò anche la scelta dell’attore protagonista, fortissimamente voluto dal nostro cineasta e che sin dall’inizio della produzione fu appunto il deceduto Anton Yelchin.
Da quel momento, tuttavia, una serie interminabile di controversie legali rallentarono la produzione, tanto che il film vedrà la luce solo cinque anni più tardi, nel 2013.

Come dicevo all’inizio di questo post, la pellicola non ha ricevuta nessuna delle attenzioni che furono invece, a suo tempo e per anni, riservate dalla critica e dal pubblico ai romanzi della saga e questo malgrado lo stesso scrittore originale avesse in più occasioni provato a sensibilizzare il gradimento verso un film che aveva avuto la sua approvazione.

Tuttavia, malgrado questa pessima fama, io invito tutti voi a guardare questa pellicola, assolutamente stralunata, con personaggi che si muovono sullo schermo in modo bislacco (il personaggio del detective Wyatt Porter è condotto da un Willem Dafoe inedito, con battute e scene che sembrano scritte da un autore sotto acido), una trama che si muove a tratti come una parodia ed in altri come in un giallo classico e sulla quale svetta il nostro Yelchin, grandioso demiurgo di una teologia e una cosmogonia magica, nella quale irrompono sulla scena e nei nostri cuori le figure argentee e gelatinose dei Bodach, i veri protagonisti di questa storia eccezionale, un po’ ectoplasmi, un po’ trickster ed un po’ bogeyman, verosimilmente psicopompi (di kinghiana memoria), ma in fondo anche obbedienti soldati di un esercito demoniaco.

Quando nel film osserviamo il personaggio di Odd guardare Stormy Llewellyn (con le sembianze della ragguardevole Addison Timlin), l’amore della sua vita, venire circondata dagli schifosi Bodachs senza che lei o nessun altro possa a sua volta vederli o sentirli, percepiamo in modo sottile e vibrante il mettersi in gioco di Sommers e la sua maestria di creare un mondo di alterità alla luce del sole, una diversità che ha il gusto dello zucchero filato stregato di Halloween (la scena clou del film si svolge in una gelateria, dentro un centro commerciale: meravigliosa coincidenza).

Quando vidi per la prima volta questo film, mi venne subito in mente l’aforisma 146 di “Al di là del bene e del male” di Nietzsche, quando dice “Se scruti a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te” e così mi piace pensare che sia accaduto anche al nostro fanciullesco Stephen, che per l’ultimo film (per ora) della sua carriera si è sporto troppo oltre il baratro, rimanendo affascinato dalla visione dell’orrido sotto di lui (o aldilà dello specchio), volendo poi testimoniare il tutto nelle immagini della sua pellicola, senza riuscire a parlare con il suo consueto linguaggio cinematografico rassicurante.

Così lo stesso Yelchin, che si è giocato qui una recitazione assai partecipe, forse anch’egli vedendo qualcosa di più di quanto scritto solo nel copione o forse ascoltando qualcosa sussurratagli all’orecchio, con il respiro di un altro mondo.

Senza tutte queste mie elucubrazioni, oggi “Odd Thomas” (in Italia distribuito come “Il luogo delle Ombre“) resterebbe solo un film quasi sconosciuto, sottovalutato, maltrattato e che vi chiedo invece di salvare dall’oblio oppure, se mai lo aveste già condannato dopo una prima affrettata visione, di perdonarlo e dargli ora la gratificazione di un’assoluzione salvifica.


Odd Thomas“, USA, 2014
Regia: Stephen Sommers
Soggetto e Sceneggiatura: Stephen Sommers
dal romanzo omonimo di Dean Koontz


 

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