The Big Short (2015)

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Quando si parla di cinema americano dedicato a Wall Street ed ai suoi demoni, non ci si può esimere dal parlare del film senz’altro più importante ed esplicativo al riguardo, nonché una delle pellicole più eclatanti e straordinarie uscite negli ultimi anni, ovvero quel piccolo miracolo cinematografico di “The Big Short”.

Guardatevi con sospetto da chi ve ne ha parlato male, di persona o tramite lettura di articoli o post nel web, perché costoro sono le stesse persone superficiali che se assaggiassero una vichyssoise storcerebbero il naso sentendo che è fredda: il film di Adam McKay è un prodigio ed anche un miracolo filmico, come la vittoria di una squadra di atleti senza sponsor in un campionato di Serie A.

Ho sempre voluto bene a McKay, per via di film come “Anchorman: The Legend of Ron Burgundy” e “Anchorman 2: The Legend Continues” (la scena di battaglia tra giornalisti a Central Park è una di quelle che meriterebbero un articolo a parte e forse lo farò!) e persino per il suo script per “Ant-Man”, ma io stesso non avrei pensato che avesse le palle e la stoffa per scrivere (coadiuvato da Charles Randolph) una sceneggiatura incredibile come quella di questo film e che ha meritatamente vinto tutti i premi possibili (Academy Awards, British Academy Film Awards, Critics ‘Choice Movie Awards, Empire Awards, Hollywood Film Awards, USC Scripter Award, Writers Guild of America Award).

Tralasciando la bellezza e la genialità ovvia e lampante di scene come quella in cui Margot Robbie spiega cosa siano le cartolarizzazioni mentre fa il bagno ricoperta di schiuma, il film riesce dove anche grandi registi hanno stentato a raggiungere il climax emotivo ovvero nella coralità: tutto il cast è meravigliosamente in parte, con picchi di eccellenza prodigiosi (Christian Bale toglie letteralmente il fiato per la sua capacità di calarsi nel personaggio in modo quasi mimetico), tutti in qualche modo empaticamente collegati sia dal personaggio che dall’interpretazione di Steve Carrell, sempre sulla falsa riga della comicità nera e del dramma personale, quasi come un coro greco disincantato o un filosofo assetato di pessimismo cosmico.

Un film prodigioso che ha un villain assolutamente non umano, ossia il sistema di collusione tra grandi banche, politica e agenzie di rating ed un mostro spaventoso da loro stessi creati, il CDO: la scena in cui il fund manager Mark Baum (il personaggio di Carell) assiste assieme allo spettatore alla spiegazione che viene fatta in modo esemplare su cosa sia un CDO “sintetico” è epocale e resterà nel cuore di chiunque non sia così stupido da pensare che ciò che ha visto sia solo fantasia.


The Big Short“, USA, 2015
Regia: Adam McKay
Soggetto e Sceneggiatura: Charles Randolph e Adam McKay
dall’omonimo saggio novellizzato di Michael Lewis


 

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