The Padre (2018)

The-Padre

The Padre è come il manoscritto di un grande romanzo americano del dopoguerra di cui è andato smarrito il primo terzo delle pagine: è una sinfonia che parla di vendetta (quella dello sceriffo federale in pensione Nemes verso il genero e della giovane Lena verso un certo tipo di Chiesa che ha sostituito la spiritualità con il mercimonio) e di un uomo in fuga schiacciato da un terribile senso di colpa e succube della parte più debole e nera della sua anima; è un film drammatico di cui viene mostrato solo il secondo tempo; è un road-movie senza nessuno dei cliché tipici di questo genere (oramai svenduto alla filosofia spicciola degli hipster da social network); è un noir senza il cinismo un po’ trito e telefonato che invece troviamo quasi sempre; è un action senza sparatorie al rallentatore e senza impossibili acrobazie; è infine un film serio, che racconta una storia seria con personaggi seri ma lo fa con grande leggerezza a volte persino facendoci sorridere.

Diretto dal canadese Jonathan Sobol, The Padre è un film che non parla in maniera diretta ed esplicita di alcuni grandi temi etici e sociali, ma che ugualmente mostra come i suoi autori ne siano consapevoli: anche se non lo urlano, essi mettono in scena il volto nascosto del mercato delle adozioni facilitate (quasi dei rapimenti legalizzati), dello sfascio delle istituzioni governative e giudiziarie dell’America Latina (malgrado non vediamo mai in questo film le facili scene di poliziotti corrotti tipiche delle pellicole statunitensi, ma solo quelle di uomini in divisa in grande difficoltà economica) ed infine il tema forse trattato con maggiore delicatezza di tutti ovvero quello del turismo sessuale, delle giovani lolite adolescenti, minorenni perfettamente formate fisicamente e sessualmente, che giocano a fare le donne e che si vendono ai gringos per pochi dollari, ma che in cuor loro sognano ancora i gelati e le caramelle di quando erano solo ragazzine, come viene mostrato nella mirabile sequenza in cui la bellissima attrice colombiana venticinquenne Valeria Henríquez si trucca le labbra con un rossetto rosso acceso di fronte ad un imbarazzato Tim Roth nei panni del Padre e poi, dopo aver giocato a fare l’adulta in grado di reggere l’alcol, crolla nel letto, abbracciata al suo compagno di viaggio (e surrogato di padre putativo), cingendolo ingenuamente con una gamba, senza alcuna malizia voluta, ma mettendolo ugualmente in grande disagio, tanto da spingerlo a dormire per terra.

The Padre è infine Tim Roth, con tutto il significato diretto e metaforico che in venezuelano ha il sostantivo per indicare un prete (“padre”, appunto, come nella nostra lingua), che è poi la maschera indossata dal truffatore (di cui non viene mai detto il vero nome) per scappare: oltre ad un caratterista fenomenale come il grande Luis Guzmán di Puerto Rico (specializzato negli USA nei ruoli da latino americano dentro ai film di genere action), su tutti gli attori del cast svetta infatti il nostro attore britannico, con una recitazione monumentale, caratterizzata da quel suo recentissimo stile da malvagio disincantato pieno di dubbi e frustrazioni, con il quale ha reso interessante anche una fiction altrimenti dimenticabilissima come Tin Star.

Chi mi conosce sa bene quanto io tenga al cinema che parla dell’America Latina, il quale purtroppo, quando non è prodotto in modo autoctono, diventa in genere la macchietta di come gli statunitensi vedono l’America del Sud, mentre in questo caso lo spettatore può godersi un affresco di assoluta sincerità e questa bellissima cosa andava detta!


The Padre“, CAN, 2018
Regia: Jonathan Sobol
Soggetto e Sceneggiatura: Stephen Kunc


 

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