House of Cards: atto di forza ed elaborazione del lutto

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Malgrado l’evidente lontananza dal livello di eccellenza delle prime due stagioni (davvero innovative e granitiche nel panorama altrimenti desolante delle fiction televisive nordamericane) e malgrado anche la catastrofe organizzativa e narrativa con cui hanno dovuto fare i conti gli sceneggiatori ed i produttori per via della repentina defenestrazione dell’attore simbolo della serie stessa (quel Kevin Spacey, grandissimo interprete, sempre e comunque, la cui immagine pubblica è passata in modo fulmineo da divo introverso e carico di magnetismo a schifoso predatore sessuale di minorenni), la fiction House of Cards concepita da Beau Willimon si è conclusa con una grandiosa e maestosa sesta stagione, dove il lutto e la tragedia sono stati declinati in modo impeccabile, paradossalmente grazie anche al terribile ultimatum di Netflix di chiudere tutti i fili narrativi con ben cinque puntate in meno di quelle previste inizialmente e senza poter mai usare il personaggio principale.

House-of-Cards-Season-6

Un’imposizione che ha costretto alle corde un’abilissima writer’s room, la quale ha fortunatamente reagito con una scrittura elaboratissima e tesa come la corda di un violino nelle mani di un grande musicista, permettendo la messa in scena di un romanzo filmico, snodatosi nel percorso ad ostacoli di una gara già predestinata per essere senza vincitori, ma che ha comunque visto alla fine il miracoloso concepimento di 7 puntate straordinarie, più un prologo apparentemente spento e solo interlocutorio, costituito dal primissimo episodio.

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Vi prego, fatevi il regalo, etico ed intellettuale, di non diventare preda del pigro abbandono delle squallide recensioni che sul web stanno comparendo a firma di chi ha visto davvero solo pochi frammenti di questa stagione finale, ma ne vuole ugualmente parlare limitandosi a ripetere come un pappagallo stupido le banalità di chi lamenta le ovvie mancanze («questo dolce, fatto senza zucchero, non è molto dolce e sarebbe di certo stato più dolce se ci fosse stato lo zucchero», questo il tenore medio delle recensioni italiane copiaeincollate da quelle statunitensi), senza riuscire a guardare oltre il proprio naso e godetevi in libertà un’elaborazione del lutto come non avete mai visto in Tv e che al cinema avete potuto trovare solo poche volte e per lo più giocate nell’assenza e nel levare, come in Jackie, affascinante e raffinata pellicola (pur se tediosissima), diretta nel 2016 dal bravissimo Pablo Larraín, con una Natalie Portman semplicemente perfetta.

House of Cards - Frank-Underwood

Non ho certo bisogno di riassumervi la particolarità di una fiction, che nel complesso dei suoi 73 episodi, pur con i suoi alti e bassi (in particolare il calo di tono avuto con la terza e quarta stagione), non solo costituisce un ciclo narrativo possente e godibilissimo, ma senza alcuna ombra di dubbio rappresenta anche lo spartiacque tra il vecchio modo di concepire i serial televisivi e quello attuale e più moderno, in cui il ritmo di visione imposto allo spettatore (come già detto tante altre volte in questo blog) non segue più i tempi standard della singola puntata, come prima avveniva nei classici procedural, nelle soap e nelle comedy, ma scorre con ritmo variabile attraverso i suoi vari capitoli, così come avviene con il pulsare della tensione di un romanzo drammatico letterario, sovvertendo la distinzione duale tra trama verticale e trama orizzontale ed abbracciando l’intero arco narrativo della stagione, nonché, una volta conclusa, della serie stessa.

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Dopo una prima stagione, in cui gli autori ci hanno mostrato quasi solo l’ascesa al potere di Frank Underwood (un grigio stratega politico, inizialmente semplice membro del Congresso per il Partito Democratico e divenuto poi Vice Presidente), la serie si è ampliata ed evoluta, passando dal racconto di un singolo protagonista a quello di una coppia assetata di potere ovvero quella di Frank e sua moglie Claire Hale: di entrambi ci vengono aperte le porte delle stanze più segrete del loro animo, arrivando persino negli antri maleodoranti dei loro pensieri più reconditi, dove nemmeno il consorte ha accesso, grazie allo stratagemma narrativo del personaggio che si rivolge direttamente allo spettatore, abbattendo la canonica quinta parete e stringendo un patto diabolico con chi guarda senza poter intervenire nella lenta distruzione di un’anima.

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Passo dopo passo, seguiamo Frank diventare una metafora stessa del potere politico quasi fine a se stesso (con la conquista della Presidenza degli Stati Uniti d’America e l’onere del suo mantenimento a tutti i costi), mentre di Claire seguiamo una carriera apparentemente di riflesso (inizialmente CEO della “Clean Water Initiative”, società attiva nel settore non-profit, quindi First Lady, poi Ambasciatrice alle Nazioni Unite ed anche Vicepresidente), finché le carte non vengono mostrate e nel giro di poker finale della quinta stagione anch’ella diviene Presidente.

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Per chi conosce le opere di Shakespeare, il paragone più ovvio per i due characters è quello del Re di Scozia Macbeth e della sua diabolica consorte, ma nella fiction condotta con mano ferma dalla coppia di showrunner Beau Willimon (creatore e capo sceneggiatore) e Frank Pugliese (autore della stragrande maggioranza degli script, assieme a Melissa James Gibson, John Mankiewicz ed altri) c’è molto di più della narrazione di una lotta per il potere politico, coniugata sia nei suoi aspetti di strategia politica, sia in quelli più sanguinari di conquista ed omicidio: c’è infatti l’esposizione tragica di un vuoto esistenziale agghiacciante che, a partire dal canone imposto dal cantore della solitudine e dall’alienazione urbana David Fincher (regista dei primissimi due episodi e successivamente produttore esecutivo di tutta la serie), attraversa tutti i personaggi principali ed i comprimari d’eccellenza che affollano le stagioni, come un campionario umano assolutamente mostruoso, in cui la devianza etica, il vizio, la corruzione, la cupidigia e la bramosia di successo sono cifra comportamentale e chiave per decifrare ogni azione, aldilà dei rapporti di causa ed effetto messi in campo dai nemici di turno che si oppongono ai luciferini Underwood.

Scandal

House of Card, dal punto di vista letterario è l’evoluzione di ogni serial dedicato alla Casa Bianca, dal The West Wing degli anni ’90 di Aaron Sorkin, al dignitoso e progressista Commander in Chief di Rod Lurie con Geena Davis, dal glamour ed apocalittico Scandal di Shonda Rhimes con Kerry Washington, all’action buonista di Designated Survivor di David Guggenheim con Kiefer Sutherland: usando inizialmente la trama ed i personaggi concepiti dallo scrittore Michael Dobbs nella sua trilogia romanzesca (House of Cards del 1989, To Play the King del 1992 e The Final Cut del 1994) ed ispirandosi solo in parte allo stile usato nell’omonima mini-serie televisiva britannica in quattro puntate di Andrew Davis del 1990, gli autori si sono poi librati in alto, con la stesura di partiture eccellenti, punteggiate di personaggi mai banali ed una tensione presa in prestito dal thriller (delle cui tinte più fosche di sangue coagulato la serie si colorerà in modo netto già dalla seconda stagione).

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Oltre a sceneggiature meravigliose (una spanna sopra alla media televisiva, compresi anche gli altri prodotti originali Netflix, tanto che in più di un’occasione quegli script ricordano quelli usati dalla HBO per la leggendaria fiction The Sopranos), non si può non sottolineare che alla regia di molti episodi di questo serial, oltre ad ottimi professionisti del settore televisivo (come James Foley, John David Coles, Tom Shankland ed Alik Sakharov) ed al già citato David Fincher, troviamo artisti cinematografici del calibro di Joel Schumacher, Jodie Foster e Agnieszka Holland: senza mai invadere con eccessivo personalismo il tracciato segnato dagli scrittori dei copioni, l’elevata raffinatezza di molte soluzioni nella messa in scena di questi direttori ha contribuito non poco ad alzare la qualità drammatica delle visioni.

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All’inizio di questo post, parlavo delle imposizioni che Netflix ha fatto agli autori ed effettivamente guardare gli otto episodi di questa Season Finale è come leggere un saggio letterario d’esame, dove la comanda prevedeva il limite invalicabile di non usare mai il personaggio che era stato di Kevin Spacey nelle cinque serie precedenti: un assenza che viene spiegata con la sua morte, introducendo un elemento che del lutto non avrà mai la forma della cerimonia, l’immagine del feretro, della pioggia che accompagna ogni sepoltura del cinema e della tv nordamericana, dei rinfreschi tra parenti ed amici, delle lacrime reali e d’occasione, ma solo l’assordante assenza di un despota il cui potere assoluto è stato tolto di colpo dall’equazione politica, senza nemmeno indagare troppo su una dipartita mai mostrata ma solo annunciata e discussa a voce dai personaggi, come un segreto sussurrato nei corridoi.

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In certi momenti, lo spettatore ha quasi l’impressione che i personaggi, parlando di Frank Underwood e di quello che gli è capitato, facciano riferimenti ad episodi che si siano persi nel nulla per qualche motivo, come segmenti narrativi appartenenti ad una stagione nascosta o sottintesa, un soggetto che diviene pronome inespresso e che aleggia fino agli ultimi secondi dell’ultima puntata, dove la tragedia raggiunge il climax più alto possibile, senza clamori o applausi, ma con tutta la forza dell’espiazione e della catarsi dei personaggi, usciti dai loro bozzoli e pronti a vivere o a morire intere esistenze nella finzione oltre i titoli di coda.

House of Cards - Claire-and-Dog

Quello di House of Cards non è assolutamente un finale aperto, sia chiaro, ma nemmeno un frettoloso chiudere ogni storia e sottotrama spiegando anche l’inspiegabile in modo altrimenti forzato: quella regalata ai fedeli spettatori è piuttosto una dichiarazione d’amore degli autori stessi a quel demonio da loro creato e che con gli anni si è trasfigurato, passando da Underwood alla sua compagna, la quale per questo motivo per tutta questa sesta stagione parla al pubblico come faceva Frank e sorpresa delle sorprese non è nemmeno l’unica a farlo, specie nell’ultimo straordinario episodio catartico (diretto dalla stessa Robin Wright, attrice che interpreta il ruolo di Claire Hale, già regista di molti altri episodi e scritto dalla bravissima coppia Frank Pugliese e Melissa James Gibson), dove, ripeto, non si trovano i fuochi d’artificio dello sciatto colpo di scena, ma la carezza di un amante che ci abbandona per sempre.


In questo post abbiamo parlato di

House of Cards (U.S. TV series)“, USA, 2013-2018
Creata da Beau Willimon
Stagione 1, Episodi 13, Febbraio 2013
Stagione 2, Episodi 13, Febbraio 2014
Stagione 3, Episodi 13, Febbraio 2015
Stagione 4, Episodi 13, Marzo 2016
Stagione 5, Episodi 13, Maggio 2017
Stagione 6, Episodi 8, Novembre 2018


27 pensieri su “House of Cards: atto di forza ed elaborazione del lutto

  1. Quando hai nominato Joel Schumacher mi hai mandato in brodo di giuggiole: questo regista mi ha fatto passare tanti splendidi momenti quand’ero bambino, dato che nei miei primi anni di vita ho visto infinite volte le videocassette di Batman Forever e Batman & Robin. Quest’ultimo l’ho guardato anche da adulto, perché ero venuto a sapere con mia grande sorpresa che tutti lo reputavano un cesso, e volevo vedere se questa triste fama fosse meritata oppure no: ebbene, anche da adulto continuo a reputarlo uno dei migliori cinecomics mai fatti. Non a caso gli ho riservato un posto d’onore nella mia classifica dei 10 film che tutti odiano tranne me (https://wwayne.wordpress.com/2014/06/19/i-10-film-che-tutti-odiano-tranne-me/).
    Tra l’altro noto dalla sua filmografia su Wikipedia che in mezzo ai suoi scanzonati film di Batman Joel Schumacher trovò il tempo di dirigere anche un serissimo legal thriller, Il momento di uccidere: questo mi fa pensare che sia stato una sorta di Jon Favreau ante litteram, ovvero un regista che passa con estrema disinvoltura dai blockbuster come Iron Man a film più piccoli e classici come Chef – La ricetta perfetta.
    Ho sempre apprezzato i registi come loro, che non si fossilizzano su un unico genere, ma cercano di esplorarli tutti e di lasciare il loro marchio su ciascuno. L’esempio più clamoroso in questo senso è senza dubbio Kubrick, e anche un altro regista da te nominato (Fincher) ha provato ogni tanto a fare qualcosa di diverso dal solito. Probabilmente perché vuole vincere l’Oscar, e ha capito che se avesse continuato a fare solo thriller l’Academy non gliel’avrebbe mai dato. Tuttavia, mentre Kubrick era un genio assoluto e quindi otteneva ottimi risultati qualsiasi cosa facesse, Fincher invece è un regista che è portato soprattutto per un genere (il thriller appunto): di conseguenza, quando si cimenta in un altro ambito, l’esito magari è pure positivo, ma non sarà mai paragonabile alle sue opere più riuscite. Quasi tutti i registi hanno un genere per cui sono più portati, e soltanto pochi geni riescono a non calare nel rendimento quando passano a fare altro. Kubrick è uno di questi, ma vale lo stesso per Clint Eastwood, e anche Woody Allen con il suo Match point ha dimostrato di non essere solo un commediografo. Non me la sento invece di inserire in quest’elenco Tarantino, perché in pratica i suoi film sono essi stessi un genere, e quindi che lo sfondo sia western o nipponico cambia veramente poco.

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    • Grande John! Sempre sul pezzo! Sei stato persino più veloce di me nel commentare il mio stesso post… Nel senso che dopo averlo programmato (ieri sera per questa sera), il tuo commento mi è arrivato ancora prima che io mi accorgessi persino che la pubblicazione era andata a buon fine (purtroppo, infatti, con WordPress non è mai ovvio!).

      Perciò, grazie per la tua solita gentilezza e generosità, nonché per la brillantezza del tuo essere sempre così ermenàutico e nel dissertare con leggerezza partendo da uno spunto… Partendo appunto da Joel Schumacher (di cui io letteralmente il suo 8mm, che ha scritto, diretto e prodotto e per me suo capolavoro assoluto), sei passato a citare dei veri mostri sacri della settima arte, come Stanley Kubrick, Woody Allen e persino Tarantino!

      Tra l’altro concordo assolutamente con te soprattutto su Kubrick, regista che sembrava davvvero, ancor più degli altri, essersi quasi dato come missione quella di fare un film su ogni genere ed a tutt’oggi molti sono capolavori insuperati!

      Schumacher mi permette inoltre di fare un cortocircuito con un discorso sulle attrici distrutte dalla chirurgia plastica e non solo in modo di esito disastroso (molte si sono davvero imbruttite), ma soprattutto come effetto dirompente sulla recitazione: il botox, tanto amato dalle dive, impedendo alla fronte ed al viso di corrugarsi, di fatto appiattisce le espressioni emotive e questo ha ucciso delle attrici sopraffine che erano anche bellezze da urlo, come Cameron Diaz, Sandra Bullock e e soprattutto una delle dive da me a suo tempo più amate e che ora provo persino fastidio nel vedere recitare ovvero Nicole Kidman! Ai tempi di Batman Forever, infatti, era semplicemente strepitosa, come testimonia la clip seguente, che tu conosci benissimo!

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      • Il suo partner maschile in quel film (Val Kilmer) ha avuto una sorte perfino peggiore della sua: sia fisicamente (sembra incinto di 2 gemelli) sia professionalmente (si è ridotto a recitare negli action di serie Z). Anche un attore secondario di quel film (Jim Carrey) è decaduto in una maniera incredibile. Ma allora erano tutti in un ottimo momento di forma, e quindi il film che li riunisce tutti (con Tommy Lee Jones a fare da ciliegina sulla torta) è stato davvero memorabile.
        Comunque per me Nicole Kidman ha raggiunto l’apice della bellezza qualche anno dopo, nello splendido Ritorno a Cold Mountain. Che tra l’altro è anche uno dei miei film preferiti in assoluto. Grazie a te per i complimenti e per la risposta! 🙂

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  2. Non sono solito leggere recensioni in giro per il web, dal momento che le ho sempre trovate ipocrite e pretestuose.
    Tutti (dal critico di professione al blogger più sfigato tipo me, passando per i “sotuttoio” che popolano i social media) sono schiavi di alcuni imprescindibili difetti che spesso si accavallano tra loro e si sommano in misura diversa per qualità e quantità:
    – ignoranza, nell’accezione più becera del termine
    – supponenza
    – stupidità
    – cupidigia
    – smania di visiblità
    – acchiappaclicchite (malattia voracissima, che sta distruggendo gran parte dell’editoria – anche quella più professionale – su internet)

    Potrei proseguire, ma mi fermo per pudore. Basti sapere che la somma e la progressione di questi difetti declina un panorama critico assai desolante, dove chi scrive e recensisce nella quasi totalità dei casi lo fa con un secondo fine che si sovrappone fino a schiacciare l’unico traguardo che dovrebbe animare qualsiasi censore: illustrare in maniera lucida le impressioni e le emozioni suscitate dalle emozioni, tendendo sempre all’obiettività ma, consapevole della natura utopica di questa tensione, ha l’onesta intellettuale di mettere a nudo i propri pregiudizi che potrebbero inficiare la valutazione complessiva dell’opera.
    Riconosco che è molto ambizioso sperare di trovare un critico del genere, ossia un individuo che non si limiti a scrivere markette per il committente di turno o che si limiti a demolire e irridere il lavoro altrui al solo scopo di farsi notare.
    Tuttavia mi ritengo fortunato perché cogli anni ho potuto imbattermi, conoscere e infine apprezzare alcuni spiriti liberi che si accostano alle opere cinematografiche e seriali con sincera passione e ne parlano con i genuino affetto con cui ogni genitore parla del proprio figlio. E tu, caro Kasabake, sei senz’altro il campione di questo elitarissimo e formidabile pugno di eroi dalla penna immacolata.
    Ti confesso dunque che questa tua recensione è stata per me uno schiaffo secco che mi ha fatto vedere non poche stelline. Perché se da un lato rappresenta quanto di più sincero obiettivo e brillante si possa leggere in merito alle recensioni su House of Cards, d’altro canto il tuo sfacciato apprezzamento per la sesta stagione mi ha lasciato di sasso, non già per la qualità del tuo giudizio (su cui non nutro il dubbio anche più piccolo) bensì per il gravissimo dubbio che mi attanaglia dopo aver letto le tue parole.
    Sono infatti tra coloro che avevano deciso di ignorare bellamente la sesta stagione di HoC. Il mortificante scadimento che dalla terza stagione ci ha condotto all’ignobile quinta era già di per sé bastante a spingermi ad ignorare la sesta, la necessità (scelta) di escludere Spacey e “uccidere” il protagonista erano quindi state le due gocce che hanno fatto traboccare il vaso della mia pazienza.
    Complici quindi le innumerevoli altre visioni in cui sono coinvolto (tra l’altro ti informo di aver praticamente ultimato il recuperone e mi manca solo l’ultimo episodio della settima stagione di GoT, giusto per citare un raro esempio di serie tv il cui livello narrativo cresce negli anni anziché diminuire, ma forse è perché solo alla HBO conoscono la formula alchemica per questa magia….), non ho visto né messo in programma la visione di HoC6. Tuttavia ora questa tua recensione mi mette in difficoltà….
    Quindi ti faccio una domanda secca: posto che i vertici della prime due sono inarrivabili, come poni questa 6 in riferimento alla terza quarta e quinta? Meglio? Peggio? Una via di mezzo?
    Perdonerai la brutalità della domanda ma ormai le cose da vedere sono così tante che le scelte sono sempre più difficili e fare una cernita, mi affido quindi al tuo giudizio, come uno scolaro riluttante che chiede al maestro un’ultima spiegazione per comprendere quel problema così astruso che non è riuscito a risolvere.

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    • Permettimi anzitutto di ringraziarti per le bellissime parole con cui mi hai descritto, che mi fanno oltremodo piacere non solo per i complimenti, che inorgoglirebbero chiunque, ma soprattutto per aver compreso che da parte mia non c’è mai, davvero mai, voglia di notorietà quando commento, recensisco o discuto anche di prodotti d’intrattenimento molto famosi, già che non li promuovo nemmeno, tranne la citazione semi-automatica dello stesso post che avviene su Facebook: ti dirò anzi di più ed ossia che già sapevo che tu avevi questa meracigliosa opnione di me, ma vedrtelo scrivere pubblicamente è un doppio regalo!

      Fatta questa doverosa premessa personalissima, aggiungo che ho provato grande compiacimento ed anche divertimento nel leggere la tua disamina, persino didascalica punto per punto, delle caratteristiche delle recensioni medie offerte al pubblico, che sono poi le stesse che ci ritroviamo tutti puntualmente a leggere anche su WordPress, oltre che sui network generalisti.

      Questo mi permette infine di rispondere con libertà e sincerità assoluta alla tua domanda, non brutale ma diretta e lo faccio con estremo piacere…

      Prima ancora di qualsiasi giudizio critico ed estetico, ti dico subito che questa sesta ed ultima stagione tu, in modo particolare, LA DEVI ASSOLUTAMENTE, TASSATIVAMENTE, IMPERATIVAMENTE ED INOLTRE TEMPESTIVAMENTE VEDERE.

      Aggiungo anche non devi nemmeno far passare troppo tempo, pocihé va vista ora, così come gli autori e Netflix l’hanno pensata ovvero in uscita poco prima delle elezioni di mezzo-termine statunitensiche: trattandosi poi di solo 8 puntate, abbiamo un totale di poco meno di 8 ore di visione, tutte interamente disponibili sin dal primo giorno su Sky On Demand per chiunque (come me e te) sia abbonato e quindi non faresti nemmeno lo sforzo di andartela a cercare.

      Perché vederla?

      Primo, perchè oltre ad un villain di turno realistico (portato sullo scherno da un attore di razza come Greg Kinnear e scelto in maniera intelligente tra le ricche famiglie di lobbisti che da sempre cercano di governare qualsiasi democrazia, senza interventi fantascientifici e senza soluzioni complottistiche diverse dal banale dominio quotidiano di mezzi di informazione), in questa stagione vengono chiusi in maniera netta, lineare e definitiva tutti i fili narrativi dei personaggi secondari maggiormente importanti, che si sono alleati o si sono opposti alla diabolica coppia di Frank e Claire: i fantasmi del passato come Zoe Barnes e Rachel Posner, la giornalista Janine Skorsky ed il cronista di politica Tom Hammerschmidt, l’ex-alleata Cathy Durant, il presidente russo Viktor Petrov, l’uomo del cambiamento politico e testimone Mark Usher, l’agente CIA in medio-oriente e abile faccendiera Jane Davis, ma su tutti, in particolare, ci si focalizza sul personaggio più bello ed importante dopo i due protagonisti, quello più carico di significati psicologici ed allegorici, persino psicoanalitici ovvero Doug Stamper.

      Secondo, perché dopo un primo episodio noiosissimo ed interlocutorio (in cui mi stavo persino per appisolare), la si divora, puntata dopo puntata, senza sbavature, cadute di ritmo, incongruità fastidiose o ridicoli colpi di scena, sospinti solo dalla tensione drammatica di ciò che non sai che accadrà.

      Terzo, Robin Wright è spaventosamente brava, magnetica, imprescindibile.

      Guardala appena poi, perché se passerà tempo, gli spoiler e la noia ti rovineranno la visione e qualora arrivassi al punto di passare oltre te ne pentiresti amaramente.

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      • ok, il dado è tratto.
        domattina vedrò l’ultimo episodio di GoT e poi passerò alla visione di HoC, scavalcando a piè pari tutta una serie di cose che si erano accumulate durante il recuperone di GoT: The Man in The High Castle, Sharp objects, Daredevil, Jack Ryan e una infinità di film accumulati in queste mese dove ho gozzovigliato in quel di Westeros.
        E’ una decisione netta che mai avrei pensato di prendere, tuttavia la ferocia letteraria con cui mi hai circuito è tale da non potermi opporre (anche qui poi si potrebbe psicanlizzare, perchè probabilmente è proprio quello che cercavo, ossia un pretesto per vedere una cosa che non avrei voluto vedere…)

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        • Mi sembra di averti qui con me, amico mio, mentre uscito dal lavoro mi sto recando alla MediaTeca della Sala Borsa di Bologna, dove di certo, prima di andare a casa, chiacchiererò con qualche amico delle ultime novità cinematografiche e televisive, ma non sarà come se ci fossi tu, perché io e te abbiamo instaurato assieme un livello di sincerità e di simpatia che, devo ammettere, per molti aspetti non ho nemmeno con coloro che incontro quotidianamente, per non parlare dei colleghi di lavoro in senso stretto, con cui è impossibile parlare di altro che non l’ovvio… Perciò, leggendo il tuo commento, quello che mi viene davvero in mente non è una tua verosimile apparizione, ma un sogno, perché mi piacerebbe davvero avere un amico come te da salutare ogni giorno, anche solo con un cenno della mano mentre salgo sul bus o scendo dal treno e con cui poi (dopo ed anche, ma non solo) chattare online.

          Fine della parentesi sentimentale.

          Hai preso la decisione giusta, perché House of Cards è una cosa che abbiamo condiviso e che fa parte del tuo immaginario e questa season finale era destino che tu la dovessi vedere… Alla fine quella splendida soundtrack di Jeff Beal, che ha accompagnato i titoli di testa per sei anni (con quei desolanti scorci di Washington, compresa l’istantanea dei bidoni di scorie abbandonati sul bordo del Potamac), ti mancherà, come mancherà a me: HoC ha avuto la fortuna di ricevere dal destino una morte prematura, qualcosa che in realtà più che una forzatura è stata una vera liberazione, che ha permesso agli autori di staccare le macchine che mantenevano in vita artificiosamente un corpo morto, risparmiandogli quel patetico accanimento terapeutico che invece è stato destinato a serie come 13 Reasons Why (completamente priva di senso nel suo prosieguo dopo la prima bellissima stagione).

          Domani mattina, inoltre, guarderai l’ultima puntata di Game of Thrones, con quel colpo di scena finale assolutamente sublime, di una mastosità spaventosa e commovente, che mi ha conquistato anima e corpo e dove finalmente strategia militare e magia si fondono, come i lettori e gli spettatori di tutto il mondo aspettavano da tempo…

          E poi mi parli dell’ottima The Man in The High Castle (meravigliosa terza stagione), di Daredevil (quest’ultima stagione è nettamente più bella della seconda, grazie anche al riferimento diretto al romanzo grafico scritto da Frank Miller e disegnato da Mazzucchelli che fa da traccia allo script), di Tom Clancy’s Jack Ryan (una sorpresa godibilissima ed un villain finalmente credibile e tridimensionale) ed infine di Sharp Objects, forse la più difficile delle fiction da te citate, dal ritmo impegnativo e certamente la più introversa, quasi un True Detective al femminile, dove comunque, piaccia o meno la trama noir di Marti “Buffy” Noxon (dal romanzo della stessa scrittrice di quel Gone Girl da cui Fincher trasse il suo capolavoro), svetta una immensa Amy Adams…

          Una piccola curiosità, che sembra quasi un capriccio del destino: sia in Sharp Objects che in House of Cards Season Finale, gironzala per tutti gli episodi un personaggio chiave, interpretato in entrambe le serie da un’inquietante ed indecifrabile Patricia Clarkson…

          Insomma, caro amico, era il tuo destino, era il tuo karma.

          P.S. Quando domani mattina sarai con il tuo cuore di spettatore vicino alla grande Barriera di ghiaccio, negli ultimi istanti dell’ultimo episodio di Game of Thrones, pensami, perché io sono ancora là, appollaiato in cima ai 700 piedi della sua altezza, con lo sguardo perso nel vuoto, insieme ai Guardiani della Notte.

          Un abbraccio.

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          • Ho sempre voluto considerarmi fortunato, anche quando le disgrazie sono calate nella mia esistenza come mannaie feroci.
            E’ per questo che considero la buona sorte non già una condizione dell’esistenza decisa dal fato o da qualche motore immobile, bensì una scelta fatta consapevolmente da chi si sforza ogni giorno per lucidare ed ammirare ogni elemento positivo della propria vita affinchè con la sua brillantezza possa illuminare anche gli episodi più bui.

            Forse sono solo affetto da sindrome del bicchiere mezzo pieno, ma mi piace credere che il mio in realtà è lo sforzo sincero di chi non vuole rassegnarsi alla brutalità dell’esistenza.

            Sono tante le cose, gli episodi, le persone e gli eventi che amo annoverare tra ciò che rende la mia vita fortunata e ogni giorno cerco strenuamente di rimpinguare la lista.

            E incontrarti è stata una delle ragioni per cui scelgo ogni giorni di sentirmi fortunato.

            Questo banale e smielato sfogo può suonare strano ai più, ma so che non lo sarà per te giacchè, per come ti conosco, non ho dubbi sul fatto che tu sia nella mia stessa sintonia esistenziale.

            Buona serata, amico, la mia sarà turbolenta nell’attesa della visione, con il cuore palpitante!!!!!

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            • Questo che segue non è un dialogo immaginario, ma un rimontaggio di farsi reali e più significative di mille altre critiche…

              Lapinsu: «Sto recuperando la sesta e ultima stagione di HoC. Come ti dissi, la tua positivissima recensione mi aveva stregato e convertito alla visione in meno di mezzo minuto e ho quindi approcciato i primi 5 episodi (quelli che ho visto finora) con occhio speranzoso. Ti confesso che però al momento sono piuttosto deluso da quanto sto vedendo, anche se mi riservo un giudizio più completo a visione ultimata.
              Nonostante la mirabile narrazione in cui la tensione è sempre palpabile ma inafferrabile come una nebbia viscosa di metà autunno, mi ha lasciato notevolmente perplesso la scelta di reiterare alcuni chichè narrativi già ampiamente esplorati fino alla nausea nelle serie precedenti, trasferendo in maniera brutale quei comportamenti che fino a ieri erano di Francis su Claire. Ciò non toglie che comunque le feroci critiche piovute un po’ da ovunque siano assolutamente ingenerose e dettate per lo più dal pregiudizio e se anche io fossi mai tentato di scrivere di questa sesta stagione di HoC ne scriverei bene, un po’ per lo spirito provocatore e carnevalesco che mi contraddistingue un po’ perché, siamo sinceri, tra tanta merda che troviamo su Netflix et similia una HoC in tono minore è comunque migliore della metà della robaccia trasmessa»

              Kasabake: «Essendo la stagione conclusiva, di una serie progettata per durare ancora a lungo (così erano le disgraziate previsioni), non potevano gli autori inventarsi una storia di sana pianta completamente spiazzante (se la terranno per la nuova fiction) e dovevano per evidenti ragioni di fretta ed economia (tutti i soggetti e le scenggiatuire sono stare scritte a tappe forzate) riciclare materiale narrativo già usato, ma ciò che conta è come lo hanno fatto ovvero giocando per sottrazione, con un calando di enfasi (meno conferenze stampa, meno telefonate e le pioche molto più lunghe e rilassate, come quella sublime tra Claire e Victor, in cui si parla della elatività della ferità digitale): non ti spoilero nulla, essendo tu arrivato così avanti, dicendoti che ciò a cui si assiste non è davvero una storia, ma il racconto di una persona che sta scappando da un palazzo in fiamme, cercando di raccogliere le poche cose importanti e così accade ai personaggi, che incontriamo ma che parlano senza incisività e che scompaiono, uno ad uno, come figure fatte di fumo, fino a stringere il cerchio della narrazione a pochissimi characters, come l’acqua in un grande imbuto, che diventa torrenziale solo nell’ultimissima parte, quando sa che sta per scomparire ed allora corre… Dopo l’ultimo secondo dell’ultima puntata tutto ti sarà evidente… Lieto comunque che tu abbia alla fine partecipato con me al funerale di un serial che abbiamo in ogni caso entrambi amato e per il quale andavano spese parole durante la sepoltura.»

              Lapinsu: «Avrei voluto rispondere stamattina, non appena ho finito di vedere il Chapter 73 che ha calato il sipario su quella che comunque resta una delle serie TV più significative del decennio, ma purtroppo impegni di lavoro in serie mi hanno tenuto lontano dal blog e dai pensieri che non vedevo l’ora di esternare.
              Ti confesso senza vergogna che il mio giudizio sulla sesta stagione di HoC è diametralmente opposto al tuo.
              Non sono riuscito a provare gradimento per nessuna delle scelte narrative, stilistiche e drammatiche operate dagli autori della serie. Ho visto replicati gli stessi errori che avevano azzoppato HoC dalla terza stagione in poi e in maniera crescente.
              Capisco lo sforzo compiuto nel dover riscrivere un plot da 0 con l’aggiunta di dover eliminare dall’equazione il personaggio principale, tuttavia sono anche fermamente convinto di un principio: bisognerebbe aprire la bocca solo se si ha qualcosa di interessante da dire. E qui, amico mio, di interessante non ci ho trovato niente.
              Sono comunque felice di aver visto queste ultimi 8 episodi perché era giusto accompagnare il feretro fino al cimitero perché HoC, come già detto, resta una serie tv fondamentale di questi anni.
              Tra le altre cose sono anche lieto che abbiamo una totale divergenza di opinioni su questo specifico prodotto: sia perché è bello potersi confrontare con te anche quando non siamo sulla stessa linea d’onda, sia perché è bello trovare anime diverse scontrarsi su questioni così futili eppure così importanti!!!»

              Kasabake: «Spiega perché non ti è piaciuta, enra nel dettaglio, please…»

              Lapinsu: «Un epilogo netto, con vincitori e vinti, non è appropriato per una serie che ha fatto delle sfumature e delle infinite declinazioni degli stessi principi i propri cavalli di battaglia. Se da un lato è vero che nella sesta stagione è stato ripreso il climax che portava gli Underwood a spuntarla nel finale dopo aver dato l’impressione di essere sopraffatti dai propri avversari politici, che questo schema sia stato reiterato anche nel finale rappresenta per me una faciloneria narrativa imperdonabile: avrei voluto vedere coraggio, avrei voluto sentire qualche nota fuori posto, avrei voluto applaudire per la ricerca di originalità perchè tutto questo mi avrebbe aiutato a digerire i troppi dejà-vù degli ultimi 8 episodi.»

              Kasabake: «Splendida spiegazione del tuo disappunto, che accolgo come una dlle critiche di livello più elevato che io abbia mai ricevuto ad una mia recensione e come sempre mi tolgo il cappello di fronte alla tua eloquenza: penso sia ovvio che io non sono in accordo con te, ma ugualmente m’inchino alla rigorosità del tuo argomentare.»

              Concludo ora questa pantomima, molto più vera di ciò che un lettore di passaggio possa immaginare, con una citazione proprio dai mervaigliosi dialoghi creati da Frank Pugliese per questa ultima stagione di House of Cards ed in particolare una ribattuta del personaggio di Viktor Petrov, durante una chat video con la presidentessa Claire Underwood, tratta dall’episodio 7:

              «We have, unfortunately, entered an era where our digitals where our digital truths are vulnerable… History belongs to the highest bidder, now.

              Purtroppo adesso siamo entrati in un’era in cui le nostre verità digitali sono vulnerabili… La storia appartiene al miglior offerente, ora.»

              Questo è tutto, gente.

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              • Il tuo essere Signore, nell’accezione più nobile e rispettabile del termine, ti ha spinto a immaginare un dialogo nel quale lasciare in ombra te stesso per permettere ad altri di brillare.

                Spero quindi mi perdonerai se mi permetto di rendere pubblico uno stralcio della tua mail in cui discettavi di HoC con una tale compiutezza da ipnotizzare perfino chi, come me, non era d’accordo con il tuo giudizio positivo. Sono ormai sufficientemente grande (vecchio…) da aver capito che non sono le conclusioni di un ragionamento ad essere importanti (anche un orologio rotto segna l’ora giusta 2 volte al giorno… ) ma come queste conclusioni siano state raggiunte, quali riflessioni argomentazioni e forme mentali sono state messe in atto affinchè un pensiero trovasse forma espositiva.
                Eh, amico mio, in questo tu resti un campione inarrivabile.

                Quindi, a beneficio di tutti, gustatevi un Kasabake d’eccezione:

                nella mia HoC ciò che veniva celebrata, a differenza di tutte le altre fiction di taglio “presidenziale” da me citate nel post, era proprio la vittoria del cinismo efferato e senza scrupoli (Prima Stagione), la sua deriva a potere sanguinario (Seconda Stagione) ed il mantenimento dello status quo in sprezzo a qualsiasi regola democratica (Terza, Quarta e Quinta), creando due characters che imbrogliavano, corrompevano, uccidevano persino ed usavano il terrorismo come arma ideologica per aumentare il consenso ed ogni plot di stagione li vedeva vittoriosi all’ultima puntata.

                È noto che quando Beau Willimon e Frank Pugliese consegnarono al network per l’approvazione il plot delle ultime tre stagioni (Sesta, Settima ed Ottava), esse avevano come perno narrativo lo spostamento della guerra direttamente dentro la coppia Frank e Claire (passaggio inevitabile, dopo l’ascesa al potere e dopo l’eliminazione dei nemici, sarebbe toccato ai due re o alle due regine farsi la guerra per l’unico trono) ed è anche noto oggi che la storia della specifica Sesta stagione doveva essere il tentativo di Frank di uccidere Claire (di questo è rimasto un accenno nella confessione finale di Doug): quando i due showrunner ricevettero il terribile dictat che il personaggio di Kevin Spacey era scomparso (bada bene, completamente azzerato, non sostituito da un altro attore, come nel film di Ridley Scott, ma abolito, scomparso, annichilito, come colpito da un dardo divino) e che inoltre tutto doveva chiudersi in una stagione e che oltretutto quella stagione avrebbe avuto 5 puntate in meno (per risparmiare sulla penale che comunque da contratto ha dovuto pagare a Spacey), ciò che fecero fu eleggere subito la Regina e tenerla in vita fino alla fine, perché un vincitore doveva esserci, altrimenti la fiction avrebbe perso il suo valore iniziale: il potere assoluto è il male assoluto, con anche la beffa che da un mostro (Claire) poteva dare vita forse al primo vero governo liberale degli USA (come si capisce dal gabinetto amministrativo che crea e come era stato preannunciato dal bastone nell’occhio conficcato da adolescente, contro lo stupido agressore maschile, dal buco nel granaio).

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                • La mia più grade soddisfazione, ti dico in tutta sincerità, è constatare l’attenzione con cui mi leggi e questo è una vera carezza per l’animo! Grazie di cuore, amico mio, perché se è comunque sempre bello essere apprezzati o applauditi, di certo lo è maggiormente se le lodi arrivano da chi si stima: ora mi ritiro nelle mie stanze, in attesa che arrivi il nuovo giorno e si dia di nuovo aria alle stanze della magione…

                  Scheriz a parte, sei stato assente per una manciata di giorni e poi, boom! Sei tornato ed hai sollevato un gioioso e simpaticissimo polverone, mostrando i miei incartamenti segreti!!! Ovviamente è stato bellissimo rileggermi e rileggerti!

                  Ah, dimenticavo, non pensare che questo polverone mi abbia nascosto la tua affermazione sulla cugina… Non so se ora, ma a breve passerò anche nell’altro post per dire la mia sul tuo commento: sono reduce da una maratona di ripasso di tutte e tre le stagioni di Supergirl, comprese le puntate crossover con Flash (deliziose), Arrow (un testone impemeabile anche alle idee) e Legends of Tomorrow (serie indefinibile perchè cambia da stagione a stagione, anzi da mid season a mid season) per via di un post che vorrei scrivere, tanto che in questi giorni mi sembra di lavorare al DEO e anche al lavoro mi sembra da lontano di scorgere in presidenza la sagoma di Lena Luthor, ma come dicevo ne parleremo altrove…

                  P.S. Che ne pensi di Krypton? Hai visto la prima puntata su Mediaset Premium Action di Sky?

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  3. mi è molto piaciuta la parte dove stronchi le recensioni frettolose, fatte da un continuo copia-incolla per darsi una somiglianza qualunquista e sostanzialmente dire e non dire niente credendo di dire tutto, anzi, spesso si vuole stroncare solamente perché una certa moda sta dando il passo ad un’altra, o al contrario si celebra come capolavoro una ciofega immonda, perché il mercato lo vuole. Bisogna come sempre saper scegliere il giornalista intelligente con cui c’è una sinergia intellettuale che accomuna gusti e passioni, perché il mondo della rete è infinito e spesso nell’infinito ci si perde. House of Cards è stata una delle grandi serie di culto e come tale è giusto che si sia chiusa in questo modo, per evitare che la continua ripetitività impoverisse tutta la messinscena (vedi voce Lost), e penso che bisogna avere anche il coraggio di capire quando la parola fine sia giusta proprio per quel momento, come questo per esempio, in cui la conclusione era necessaria, non solo per la dipartita dell’attore simbolo, ma tutta una serie di ragioni legate alla tipologia della serie stessa (non avrei voluto essere nei panni degli sceneggiatori per scrivere le trame di questi ultimi episodi dopo tutto il bailamme fuoriuscito). E’ giusto che ora esca un’altra serie di culto per l’evoluzione della storia di questo genere e per noi spettatori che cerchiamo qualcosa di nuovo, per un ulteriore spasso dove perderci e ritrovarci senza remissione .
    Alla prossima… (puntata?)

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    • Effettivamente è proprio così, amcio Barman: io odio quel modo così lecchino e umiliante (per il lettore) con cui tantissimi recensori si limitano ad unirsi al gruppo di testa solo per pubblicare (leggasi “presenziare”), così come di contro disprezzo anche quanti godono nelle stroncature solo per cercare l’effetto sarcastico (il sarcasmo fine a se stesso è la cifra stilistica della nuova pseudo-intellighenzia dei social network), ma ciò che mi fa ancora più tristezza è quel modo ingordo che l’industria dell’intrattenimento (sia asiatica che nordamericana) ha nel servire all’infinito la stessa portata, intasando i recettori del gusto del pubblico che si addormenta così sul piacere momentaneo del ritrovare lo stesso gusto apprezzato all’inizio e per questo si replica, si fotocopia sbiadendo, si allunga la trama, si complca un plot già risolto e si uccide la creatività a favore del marketing.

      Ma il furbo crea profitto su castelli di sabbia, mentre il genio da vita all’archetipo… Fortunatamente, da una disgrazia è nata una scappatoia ed il network principe nei sequel infiniti (Netflix) è stato costretto a chiedere agli autori di staccare la spina ad House of Cards e la sua morte è arrivata in tutta la dignità non di un sucidio ma di una dipartita serena e civile.
      Fosse sempre così…

      Do nuovo grazie per le tue visite ed i tuoi commenti sempre puntuali ed ispirati, nonché gentilssimi con me!

      Ora, complice un sole freddo su Bologna, mi preparo alla tua salute un Moscow Mule, visto che in casa ho una discreta vodka ed ho preso l’ottimo ed economico Ginger Beer della Coop (sembra strano ma è un gran prodotto!), mentre il Lime in frigo non manca mai… Za zdorov’je!

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  4. House Of Cards è stata la mia prima serie Netflix (malgrado, come è noto, sia stata ed è attualmente disponibile su altra piattaforma televisiva in Italia) e mi ricordo come rimasi letteralmente di stucco nel seguire le prime puntate. Da appassionato di politica made in USA, una serie così non l’avevo mai vista. Dall’idea della rottura della quarta parete, passando per una sceneggiatura che ti teneva in costante tensione per tutto il tempo e senza dimenticare le mostruose interpretazioni del duo Spacey-Wright, ho letteralmente adorato le prime due stagioni. Dopo qualcosa si è rotto. Sarà che una volta raggiunto lo scopo prefissato, non riuscivo a capire quali altre imprese avrebbero potuto far compiere a Frank e ho abbandonato la terza stagione a metà, senza più riprendere la serie. Dopo questo tuo accorato post, però, mi hai incuriosito a tal punto che recupererò le puntate perse per gettarmi in quest’ultima stagione, rinfrancato dal sapere che non è stata “tirata via”.
    P.S. Per farti capire quanto mi sia rimasta impressa House Of Cards, ogni volta che ritrovo sul grande o piccolo schermo una faccia nota della serie in questione, mi ricordo delle scene memorabili che la hanno vista protagonista. Così, ad esempio, il Corey Stroll visto come villain in Ant Man e recentemente come Buzz Aldrin in First Man mi ha subito fatto pensare al machiavellico stratagemma di Frank volto alla sua ascesa ed alla immediata caduta.

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    • Grazie Amulius del tuo commento e soprattutto grazie della dimostrazione di fiducia che hai nei confronti delle mie parole, tanto da spingerti a guardare ciò che avevi invece deciso e non considerare nemmeno più!

      In un commento sopra, Lapinsu mi chiedeva dove avrei posizionato questa Sesta Stagione in una scala di bellezza e gradimento In confronto alle altre cinque… E considera oltretutto che lui mi faceva questa domanda avendo comunque visto sia la Terza, sia la Quarta, come anche la Quinta, mentre tu, dalle tue parole, mi sembra di capire che hai abbandonato House of Cards a metà della Terza..

      Questo mi mette in una posizione più difficile nel consigliarti di guardarla o meno, perché il maggior pregio assoluto di questa stagione finale è proprio quello di aver finalmente interrotto lo strazio di una fiction che aveva esaurito le sue idee alla fine della Terza stagione e che aveva visto la Quarta e la Quinta come una stanca ripetizione: il numero 3 non era assolutamente casuale, visto oltretutto che i romanzi di riferimento erano appunto una trilogia, così come tre erano state anche le stagioni televisive della prima versione originale britannica, tratta proprio da quei libri, ma come tu ben sai, perché ne abbiamo parlato tante volte, Netflix è ingorda e se decide che una serie deve continuare la farà andare avanti all’infinito, finché il pubblico la seguirà, a costo di allungare il brodo, creando nuove complicazioni e nuovi nemici, quando invece la storia principale è già conclusa da tempo.. Ed è esattamente quello che è accaduto ad House of Cards, giacchè dal momento in cui Frank Underwood, alla fine della terza stagione, diventava Presidente degli Stati Uniti, la storia era di fatto conclusa.. Ma adesso fortunatamente eventi fortuiti hanno costretto a staccare la spina.

      Come posso ora, dopo tutto questo, consigliarti di vederti più di 30 inutili episodi solo per poterti gustare gli 8 di questa sesta stagione? È un quesito a cui non so rispondere, ma a cui forse potresti tu, l’unico che ha la possibilità davvero di quantificare lo sforzo in virtù del risultato.

      Qualsiasi cosa dovessi comunque decidere, grazie come sempre per la tua generosità.

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      • Kasabake, delle tue disamine mi fido e con i tuoi consigli mi sono sempre trovato bene. Sapere che la serie ha un degno epilogo mi “sosterrà” anche quando perderà mordente in qualche puntata. Dopotutto, seguendo i tuoi suggerimenti, ho sempre visto opere degnissime se non spettacolari (l’ultima, in colpevole ritardo – forse per paura che non fosse all’altezza del prequel – è Blade Runner 2049, del quale mi parlasti in qualche commento sul mio o tuo blog, ora non ricordo. E’ quasi superfluo dire che è stato un “filmone” e mi sono goduto pure i corti su youtube da te segnalati). Quanto alle serie, devo confessarti che sono rimasto basito quando ho scoperto che non posso più recuperare Legion on demand. Ho aspettato troppo ed ora non so come vedere una delle serie di cui avevi parlato in maniera talmente entusiastica che non potevo non iniziarla.

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  5. Siceramente questa è stata una delle recensioni più interessanti che abbia letto su questa stagione di House of Cards. Effetivamente tutte quelle che leggo sembrano quasi un copia incolla e, dal tono con cui sono state scritte, sembra proprio che questi recensori siano partiti prevenuti contro questa stagione.
    Mi fa piacere sentire un parere diverso da quello della massa e soprattutto sentire un giudizio così maturo e non infatile o “offeso” come quello di tanti altri. Complimenti veramente, quando posso cercherò di vederla.

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  6. Mi incuriosisce tantissimo.
    Ovviamente non l’ho vista perché io sono una donna noNetflix-noSky-noTIMvision-noMediasetPremium-noInfinity ecc. Ce l’ho in wishlist, dalla 1° alla 6°, in dvd. Ma finché non esce l’ultima in formato popolare, non mi azzardo a vedere le precedenti, sarebbe un delitto mozzare la serie.
    Nel frattempo comunque e sempre viva Kevin Spacey.

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