The Strain: Que viva Mexico!

The-Strain-Silver-Angel-01La prima volta che vidi il quarto episodio della seconda stagione di “The Strain”, pensai subito a quanto fossero benedette le sequenze riassuntive che spesso vengono poste all’inizio di una puntata di una fiction televisiva: come avrebbe fatto, altrimenti, il grosso del pubblico statunitense a capire, in quel caso, che non stava guardando un vecchio film, ma una deliziosa citazione televisiva meta-testuale, con cui il benemerito Chuck Hogan (co-creatore con Del Toro della fiction in oggetto e prima ancora della trilogia di romanzi da cui tale serie è tratta) stava rendendo omaggio alla cultura del fantastico di un’antica cinematografia?

The-StrainPensate che con queste mie parole io stia offendendo il pubblico americano, non ritenendolo in grado di capire la differenza? Oh, si, lo sto offendendo, assolutamente, poiché non parlo certo di quella ampia fetta di appassionati cinefili statunitensi o dei giovani studenti dei college o degli acculturati urbani o della platea di lettori di comic, dei nerd e dei geek di ogni razza e colore, no davvero, sto piuttosto pensando a quella ancora più vasta maggioranza di obesi e derelitti nello spirito, che popola le highway con i loro pick-up ed i loro carrozzoni, sospinti da un petrolio a buon mercato e da carne di manzo macellata in tutti i modi possibili, che paga il canone delle Tv via cavo e che è il primo destinatario degli spot pubblicitari, ma che soprattutto considera il vicino stato del Messico nulla più che un luogo di villeggiatura, dove poter esagerare senza prendersi troppe colpe o peggio ancora un paese nel quale i suoi emigrati clandestini spingono un po’ troppo fastidiosamente ai confini degli Stati Uniti.

El-Prisionero-13Ci fu un lungo periodo, dagli anni ’30 fino all’inizio degli anni ’60, in cui la cinematografia messicana fu un punto di riferimento per tutto il continente del Sud America: cineasti come Fernando de Fuentes o Emilio Fernández crearono film di grandissimo successo popolare, veri e propri blockbuster, catalizzando l’attenzione di enormi masse di pubblico, con storie semplici e dirette ed un linguaggio filmico dallo straordinario rigore: si pensi che persino il concetto di stella del cinema e di divismo nacque in quel contesto, per venire poi esportato, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ad Hollywood, la quale poi lo fece suo e non lo abbandonò più.

Dolores-del-RioErano anni strani, in cui persino la celluloide (con cui, si sa, fino al 1954 venivano fatte tutte le pellicole dei film) veniva razionata negli USA ed in Europa, per via della guerra, ma molto meno in Messico e questo, per tre decenni, creò il sogno di un Olimpo messicano al di sopra dei colonialismi e dove persino un genio del surrealismo, come lo spagnolo Luis Buñuel, trovò sicuro albergo per le sue creazioni filmiche.

Poi, nel vicino stato federale degli USA, l’emergenza economica finì e ripartì il rampante tripudio di progresso tecnologico, questa volta applicato anche al cinema: si allargarono gli schermi, il sonoro divenne sempre più definito ed importante e così anche il colore e tutte le tecniche di riprese, che si avvalevano di fotocamere sempre più prestanti e mobili; l’America del Nord aveva spianato la strada al cinema più ricco, variegato e potente che il mondo avesse mai conosciuto, ma se da un lato la golden age del cinema messicano si stava spegnendo, dall’altro questo non accadde mai alla creatività dei suoi autori, che continuò, quasi clandestina, a vivere celata nelle sceneggiature televisive, nei film di serie B, in particolare di genere horror e fantastico, producendo efferatezze visive rozze e indigeste, ma così piene di idee da far sopravvivere quello spirito etnico fino ai nostri giorni.

Maria-FelixAccadde così che nel 1961, mentre sui grandi schermi stava già da qualche anno lentamente tramontando ed appannandosi il fulgore dei grandi divi messicani (come Pedro Infante, idolatrato dalla gente comune e dalle classi meno abbienti o come il più chic e costruito  Jorge Negrete ed ancora la sensuale Maria Felix, che aveva raccolto il testimone di icona femminile messicana e femme fatale, che era stato prima di Dolores del Río) e delle loro storie di amore ed avventura, uscì una di quelle pellicole per le quali fu a suo tempo coniato il termine critico cult (oggi abusato per indicare qualsiasi stronzata appena un po’ originale), un antesignano di tutti i genuini B movies, una colonna portante del trash e che da allora visse per sempre nell’immaginario degli spettatori e dei creatori di questo genere filmico: “El Baron del Terror”, di Chano Urueta, distribuito nel 1962 negli USA e nel resto del mondo con il titolo di “The Braniac”.

The-BraniacNon ci si può rendere conto dell’enormità di delirio che attraversa tutta la pellicola, che narra le vicende orrorifiche di tal Vetelius Destera, un nobile del ‘600 condannato ad essere arso vivo su un rogo dalla Santa Inquisizione, per aver commesso atroci delitti e che, dopo 300 anni, ritorna sulla Terra in groppa ad una cometa, trasformatosi in uno strano essere, incrocio tra un grosso insetto ed un lupo mannaro, per vendicarsi dei suoi carnefici, bucando il cranio delle sue vittime (quasi tutte donne bellissime, presumibilmente pronipoti dei suoi giudici e boia) e succhiando loro il cervello, di cui si nutre con golosità (nella sua camera d’albergo, tra l’altro, tiene sempre anche una piccola scorta di cervelli in un vaso e su un vassoio, in bella vista).

The-Braniac-02Aldilà della palese spazzatura visiva che ci viene mostrata durante le efferatezze, si stagliano anomale le espressioni facciali degli attori, che si prestano ad una galleria di mimiche che oggi, senza alcun tentennamento, sarebbero scambiate per parodie ovvie e che invece venivano allora calibrate per la primissima volta: non è un film comico, ma usa tutti i caratteri del grottesco, come anche della fantascienza, del dramma, del melò e del fantastico, in un mix visivo che si limita solo a divertire e stupire, senza nemmeno fermarsi a spiegare la miriade di assurdità della trama; vedere “El Baron del Terror” è come aprire una finestra segreta nella parte creativa del cervello di un genio della narrazione fantasy, in cui ogni idea sta circolando liberamente ed in modo caotico, prima ancora di incasellarsi in una trama delineata, ma se tutto questo oggi potrebbe sembrare solo comodo e già visto, allora fu shockante ed emozionante, come assistere all’alba del sole in un mondo dove la notte si alterna al giorno ogni mille anni.

Munecos-infernalesSia prima che dopo dello stra-cult di Urueta, moltissime produzioni low budget di genere horror e fantasy affollarono gli schermi messicani, come l’antesignano di tutte le bambole assassine, quel “Muñecos infernales” del 1960 di Benito Alazraki (“The Curse of the Doll People” nella versione internazionale del 1961), che è forse l’unico film ad aver mai avuto una versione femminile del cacciatore di vampiri Van Helsing, in questo caso intenta a sconfiggere delle antichissime bambole assassine, riesumate da un gruppo di archeologi, che trasportano con loro le anime delle persone uccise.

El-Monstruo-AladoMi fermo qui,  perché potrei altrimenti continuare a elencarvi decine di titoli di film pazzeschi, tutti accomunati da una straordinaria vicinanza visiva con una delle cinematografie paradossalmente più lontane geograficamente ed ossia quella dei film di mostri giapponesi, ma questa è solo la deformazione di un palato bizzarro (quale è il mio), perché, in realtà, tutte queste pellicole horror e fantastiche, create in Messico in quel lungo periodo che va dalla prima metà degli anni ’50 fino agli anni ’70, avevano un unico vero ed imprescindibile denominatore comune: divertire la locale classe operaia, trasportando gli spettatori in mondi il più possibile lontani da quello dal quale provenivano prima di entrare nel buio della sala cinematografica e dallo squallore a cui sarebbero di certi tornati di li a poco.

Classic-HollywoodDopo quello straordinario periodo di creatività folle e disperata, ancora una volta la tigre elettrica dall’animo anarchico degli autori messicani di cinema fu costretta a tornare a nascondersi nel buio del fogliame più fitto ed Hollywood sparse come una lenta marea, fin oltre i suoi confini geografici, il suo oceano di film pieni di divi ed eroi meravigliosi, che fuori delle sale continuavano a strizzare gli occhi dai poster, dalle pagine delle riviste pulp e dei fotoromanzi, fumando  sigarette e bevendo whiskey come fosse acqua di fonte, mentre le nuove generazioni li guardavano sognando un sogno che appariva come acquistabile, ma a caro prezzo.

Nel maggio del 2013, il giornalista americano Phil Hoad, sulle autorevoli e blasonate pagine del “The Guardian”, si interrogò su quanta influenza l’industria cinematografica del suo paese aveva avuto nel danneggiare la cinematografia messicana e ne concluse che fosse di fatto in atto da tempo una sorta di appiattimento dei gusti della middle-class di tutta l’America Latina sui paradigmi dei generi comedy ed action statunitensi, ma ciò che Hoad sfiorò solo, con la sua intuizione, senza riuscire a concretizzarla nel suo articolo, fu che la strisciante rivoluzione portata sotto-traccia dal genio messicano, malgrado la straordinaria pochezza dei mezzi, stava letteralmente per invadere la roccaforte di Los Angeles.

GravityChiunque abbia studiato la storia dell’antica Roma, conosce infatti l’affermazione che il divino poeta Quinto Orazio Flacco fece nelle sue “Epistole”, quando scrisse “Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio”, ossia “La Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il selvaggio vincitore e portò le arti nell’incolto e contadino Lazio”; così accadde anche con il cinema messicano, in cui nomi immensi come Alfonso Cuarón ed Alejandro González Iñárritu, (solo per citare quelli oggi più conosciuti sia dal grande pubblico, sia dall’intellighenzia critica), dopo aver sedotto le più esigenti platee europee e festivaliere, con i loro film prodotti in patria (come “Y tu mamá también“ o “Amores perros”), hanno poi letteralmente conquistato sia il pubblico americano, sia l’Academy degli Oscar, con opere come “Harry Potter and the Prisoner of Azkaban”, “Children of Men”, “Gravity”, “21 Grams”, “Birdman” e “The Revenant”.

The-RevenantC’è però un grandissimo nome del cinema messicano che, più di qualsiasi altro, ha saputo esportare negli States il suo personalissimo modo di fare opere horror e fantastiche, esaudendo sempre i bisogni degli uffici marketing statunitensi, senza tuttavia mai tradire quell’antico spirito da divinità ctonia, bevendo in suo onore il sangue dei sacrifici umani, nel rispetto di quei demoni che con i mortali convivono da millenni in una terra salata e misteriosa, tra antiche religioni e narcoguerra: sto ovviamente parlando del nostro corpulento Guillermo del Toro, orafo luciferino delle creature di tutti suoi film, prima sognate e poi modellate con la cura del maniaco collezionista di incubi.

CronosPur essendo sceneggiatore e regista di produzioni americane (come “Mimic”, “Blade II”, Hellboy”, “Hellboy II: The Golden Army”, “Pacific Rim” ed il recente “Crimson Peak”), ha continuato nella sua carriera ad intervallare a queste anche produzioni interamente messicane, che non oserei mai definire superiori alle altre (anche perché io impazzisco letteralmente per le due pellicole tratte dai comics di Mignola!), ma certamente più autentiche e selvagge e dove un senso vago di tristezza e fatalismo, mescolato alla percezione religiosa (nel suo mash-up tipicamente latino, tra cattolicesimo e paganesimo), ci mostra come l’eternità sia spesso in mani indegne a reggerla.

El-espinazo-del-diabloE’ certo il caso dello straordinario suo film di esordio del 1993, quell’immaginifico “Cronos”, con il suo amore per i grandi classici, gli alchimisti del XIV secolo ed i misteriosi dispositivi per la sospensione del tempo, ma anche del più maturo “El espinazo del diablo” del 2001, dove, assieme al topos (tipico del nostro regista) sui fantasmi del passato bloccati in una sorta di istante infinito, viene inaugurata quell’allegoria politica che troverà la sua massima espressione nel capolavoro assoluto di Del Toro, quel “El laberinto del fauno” del 2006, una pellicola tra le più belle non solo nel suo specifico genere, ma che travalicando l’horror si impone decisamente in vetta alle più alte creazioni della settima arte, strappando letteralmente lo sterno dello spettatore, affondando le mani nel suo petto fino a prendergli il cuore sanguinante ed a farlo piangere per la messa in scena di un’ontologia fascista e metafisica in cui appare, contemporaneamente in entrambe, come regola ordinata e corretta, persino pianificabile la morte di una bambina di undici anni.

El-laberinto-del-faunoIn uno dei tre manoscritti autografi, attribuiti al pittore spagnolo Francisco Goya e considerati opera di commento alla sua celebre acquaforte del 1797 dal titolo esplicativo “El sueño de la razón produce monstruos”, l’artista sentenzia che “[..] La fantasía abandonada de la razón produce monstruos imposibles: unida con ella es madre de las artes y origen de las maravillas […]”, ossia “La fantasia privata della ragione produce mostri inconcepibili: quando invece è unita alla ragione, essa è madre delle arti e origine delle meraviglie”; per Del Toro il fascismo di Franco, così come il Nazismo di Hitler, superano la semplice politica e sconfinano nel delirio, abbandonando ogni ragione e trovando similitudine con l’esoterismo, di cui sposano il culto per il potere illimitato e l’adorazione del padrone.

The-Strain-03Tutto questo ci riporta alla nostra fiction, dove tale allegoria politica continua e dove quel filo antico, inzuppato di lacrime e plasma, ci aiuta a farci largo tra schiere di anime condannate ed ingiuste punizioni, corridoi di lamenti e grida soffocate nelle gole strozzate e nelle quali anche una semplice videocassetta  di un vecchio film può assolvere al ruolo di oracolo, come nell’incipit di questa perla televisiva da cui ha avuto inizio la nostra digressione, lasciata da Hogan e Del Toro all’interno delle valve madreperlacee della splendida ostrica horror mainstream di “The Strain”.

The-Strain-02Non è la prima volta che mi fermo a parlare di questa serie televisiva (già lo feci diffusamente su questo mio blog, all’epoca dello sbarco in Italia della prima stagione, in un post apposito, al quale rimando chi fosse interessato ad un approfondimento sulla sua genesi produttiva), così come sono molti i contributi interessanti in tal senso da parte di tanti blogger, tra i quali consiglio caldamente quelli della possente Chezliza, dall’omonimo sito WordPress, dove ha pubblicato due articoli sulla Prima e sulla Seconda stagione, assai completi e dettagliati.

Questa mia, però, non vuole essere ora una ennesima e quindi ridondante recensione tardiva, quanto piuttosto una compiaciuta e piacevole restituzione, del tutto personale, di quel bacio appassionato che Hogan e Del Toro hanno spedito ai loro fan, con la meravigliosa sequenza iniziale dell’episodio intitolato “The Silver Angel”.

Luchador-Silver-Angel-03Quale sfrontatezza, per le semplici menti creazioniste e bulimiche del pubblico nord-americano, averlo costretto ad assistere a questa partenza di puntata così particolare, con tanto di schermata blu e caratteri bianchi (con cui partivano un tempo le registrazioni in VHS delle edizioni da cestone del discount), seguita poi da immagini vintage, in bianco e nero, di lottatori in maschera che combattono in modo bizzarro sul ring!

Ci sono talmente tanti non-detti e sotto-testi in questi pochi minuti di filmato (tra l’altro, diretti dallo stesso Del Toro, a differenza del resto dell’episodio a regia di J. Miles Dale), che solo un grande atto di amore e di orgoglio poteva confezionare, con l’audacia di quei pazzi e di quegli ubriachi privilegiati dal destino, il cui santo protettore non è quello “sbadato” che li fa precipitare dai ponti delle autostrade o schiantare contro i platani ai bordi delle carreggiate, ma quello militaresco ed eroico che ha portato per secoli tantissima giovane carne da macello al successo in attacchi sucidi, dopo che le truppe si erano inebriate di alcol o di droga nel buio delle trincee.

El-Santo-Vs.-las-mujeres-vampiroIl rimando al più bello dei film interpretati a suo tempo da El Santo (il nome d’arte di Rodolfo Guzmán Huerta, uno dei più famosi luchador, termine che indica lo specifico praticante dell’orgogliosa e popolare versione messicana del wrestling) è evidentissimo, ma solo per un pubblico di cinefili, perché malgrado “El Santo Vs. las mujeres vampiro” sia unanimemente considerato un cult divertente ed appassionante, parliamo sempre di una nicchia tra le nicchie, un po’ come navigare nel web con Tor piuttosto che con i browser tradizionali: tutti fingono di usarlo e di sapere cosa davvero implica, ma poi in solitudine si lancia Chrome o Firefox standard.

El-Santo-Vs.-las-mujeres-vampiro-02Tornando alla nostra fiction, il nostro cuore amante di buon cinema e buona televisione non può non avere un sussulto passionale, quando si osserva quell’armadio muscoloso del luchador salire sul ring tra l’ovazione del pubblico assiepato intorno, con il suo mantello di scena e soprattutto la sua máscara, che gli copre il volto e gli dona assieme la sua identità quasi magica (come un passaporto per il sovrannaturale) di prestigiatore della lotta, con tutte quelle evoluzioni aeree e quei movimenti rapidissimi, che sono il vero segno distintivo della luche libre.

Silver Angel scambia poche battute con i suoi allenatori e gli assistenti all’angolo, ma rigorosamente in spagnolo-messicano (ci sono più di 60 lingue native nello stesso stato), tradotte dai sottotitoli in inglese e così, quando si accorge della vera identità di vampiro del suo avversario, il quale, vista la mala parata, si trasforma in pipistrello e fugge via, il nostro campione urla “Al castillo!” e sembra quasi un’intonazione elfica quell’incitazione ad inseguire il demone fino alla sua tetra dimora.

Luchador-Silver-Angel-04Non è certo casuale l’identità di cavaliere della luce del campione di lucha libre, come un alfiere del bene contro le forze oscure del male, poiché esso è in perfetta sintonia con una mitologia dell’aldilà che, pur essendosi fusa con la religione cattolica, mantiene intatta la teatralità millenaria ed i retaggi dei popoli mesoamericani, come l’uso azteco degli scheletri, presenti anche come colorato e divertente sberleffo alla morte stessa, attraverso la preparazione delle calaveras, dolcissimi teschi di zucchero, preparati e venduti nella festa del Día de Muertos.

Luchador-Silver-Angel-02Ogni tanto compaiono ad arte sullo schermo dei piccoli disturbi d’immagine, a simulare le striature di un video riprodotta su un vecchio supporto magnetico ed ancora in vari punti il filmato appare addirittura accelerato, mostrando in piena evidenza che qualcuno sta usando la funzione forward su un lettore VCR, per arrivare più rapidamente al punto che gli interessa ed è proprio lo stesso plot che preme per mostrare il suo artifizio ed arrivare così al momento dell’agnizione e del riconoscimento dell’eroe della puntata, ma per ora siamo ancora nel cuore della finzione artefatta: l’angelo d’argento si aggira nei netti chiaro-scuri del dungeon del castello, dove si stagliano le palesi rimarcature horror delle bare, delle silhouette di asce minacciose e soprattutto del laboratorio segreto, dove l’horror metafisico si fonde con la scienza oscura dei professori pazzi: con stile fumettistico da golden age ci viene regalata anche la chicca del grande macchinario infernale, pieno di luci e manopole ed una bella targhetta che recita in modo chiaro “Maquina de Muerte”, a scanso di equivoci.

Luchador-Silver-Angel-01Non mancano nemmeno le mogli del vampiro, le concubine del demonio, come le avrebbe definite il Van Helsing più grande di tutti i tempi, ossia l’Anthony Hopkins del capolavoro immortale “Bram Stoker’s Dracula” di Coppola: ovviamente qui siamo in zona pulp e popolare e le disgraziate meretrici infernali non hanno la grazia e la bellezza della Bellucci, ma la carnale goffaggine dei villain da baraccone in stile Rodriguez ed è appositamente imbarazzante il loro ritrarsi di fronte ai carnascialeschi crocefissi da pugno, con i quali il nostro campione si difende fisicamente, mollando spinte e botte.

Poi il sogno finisce con una gamba spezzata, sia nella finzione che nella realtà, ricordo di un cinema di frontiera, dove non solo gli animali (forse non tutti sanno quanti cavalli furono abbattuti nei film western dell’epoca d’oro e portati al macello, per via dello stratagemma della corda legata alle loro zampe e che, strattonata al momento opportuno, spezzava i garretti, gettando i fieri puledri  a terra,  per simulare il loro abbattimento a colpi di fucile, durante le scene di sparatoria tra giubbe blu ed indiani) , ma anche gli attori sovente si facevano davvero male, giacché gli stunt-man erano solo per i divi e di certo appannaggio dei gringos e non dei peones messicani del cinema fantastico di serie B.

The-Strain-04Con l’estrazione della videocassetta dal lettore, si ritorna al tempo presente, alla realtà a colori dell’oggi del vecchio attore, rimasto invalido e senza gloria, ma con celata nel profondo del suo animo indomito, la voglia di riscatto che lo porterà a nuovi eroismi: sarà proprio questo il vero regalo che Del Toro e la sua combriccola di collaboratori hanno fatto al suo cinema delle origini, con una vigore di revanscismo privo di frustrazioni, ma anzi orgoglioso attante di un senso del cinema mostruoso e onirico, che ha reso grandi alcuni blockbuster horror e fantascientifici nord-americani.

E’ per tutto questo, quindi, che vi chiedo umilmente di fermarvi cinque minuti a guardare il filmato seguente, con la sequenza di cui abbiamo parlato fino ad ora ed alla quale questa mia lunga dissertazione è dedicata, con affetto e stima.


In questo post abbiamo parlato delle seguenti opere:

El Baron del Terror”, MEX, 1961 (“The Braniac”, USA, 1962)
Scritto da Federico Curiel e Adolfo López Portillo
Diretto da Chano Urueta

Muñecos infernales”, MEX, 1961 (“The Curse of the Doll People”, USA)
Scritto da Alfredo Salazar
Diretto Benito Alazraki

El Santo Vs. las mujeres vampiro”, MEX, 1962
Scritto da A. Corona Blake, R. García Travesi, A. Orellana e F. Osés
Diretto da Alfonso Corona Blake

Cronos”, MEX, 1993
Scritto e diretto da Guillermo del Toro
Interpretato da Federico Luppi, Ron Perlman e Tamara Shanath

El espinazo del diablo”, MEX, 2001 (USA “The Devil’s Backbone”)
Scritto da Guillermo del Toro, Antonio Trashorras e David Muñoz
Diretto da Guillermo del Toro (prodotto da Pedro Almodóvar)

El laberinto del fauno”, MEX, 2006 (USA “Pan’s Labyrinth”)
Scritto e diretto da Guillermo del Toro
Interpretato da Ivana Baquero, Sergi López e Maribel Verdú

The Strain TV SERIES Episodio 2×04“, USA, 2015
Titolo “The Silver Angel”, scritto da Chuck Hogan
Diretto da J. Miles Dale e Guillermo del Toro (segmento iniziale in B/N)


 

38 pensieri su “The Strain: Que viva Mexico!

        • In una delle primissime volte in cui ci scambiavamo commenti l’un l’altro, parlando proprio di serie TV, tu mi dicesti che quando parlavo di fiction televisiva tu giocavi in casa, perché ne eri esperta ed appassionata e da te, effettivamente, ho sempre avuto ottimi consigli e visioni laterali anche laddove altri esprimevano l’ovvio.

          Per questo motivo non mi sento di liquidare l’argomento “The STrain” con un banale e tardo-adolescenziale giudizio del tipo gran figata!

          No, DoppiaW merita di più, tu meriti di più: come accade spessissimo per i prodotti di arte ed intrattenimento visivo che più mi appassionano, anche la fiction di Hogan e del Toro vive di una sua triplicità, poiché fa convivere un pressapochismo imbarazzante e persino fastidioso nella caratterizzazione (dialoghi insulsi compresi) dei personaggi umani nord-americani (con risvolti amorosi e risoluzione dei conflitti talmente prevedibili da sembrare volontariamente tali), un insolito sguardo obliquo e ricco di rispetto per i personaggi provenienti dalle comunità ispaniche (specie dalla seconda stagione in poi) ed infine una perfezione assoluta nella strutturazione, descrizione ed evoluzione dei mostri (siano essi vampiri immortali, gladiatori non morti o nazisti), garantendone la massima resa possibile.

          Quindi, se non ti piace o non ti interessa l’horror o il fantastico, evita, perché di questo si tratta, anche se nelle sue declinazioni più alte (con sempre costante quella metaforica critica sociale che contraddistingue tutto l grande cinema fantastico da Metropolis a Zombie a 28 Days Later); se invece ami queste cose, non vederla è un delitto di lesa maestà.

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          • Non ho mai messo da parte il tuo consiglio, certo l’horror non è il mio genere preferito, ma ne ho viste di cose…
            Se poi mi inizi a parlare di punti di vista nuovi e altre angolazioni allora non posso che incuriosirmi.
            Come tu ben sai dopo tante visioni e tanti prodotti che ad occhi ben attenti diventano un po’ tutti uguali e noiosi, si sente molto la necessità di una ricerca del diverso, chiamalo diventare un po’ più schifettosi, o più esigenti, ma questo è secondo me 🙂

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  1. Articolo sublime! Oltre ad aver parlato di The Strain (che mi sta sinceramente appassionando) hai anche parlato di alcuni dei miei registi preferiti (Del Toro, Cuaròn,). E oltre ciò ci hai dato un ottimo resoconto della storia cinematografica messicana. Sono molto curioso di vedere queste pellicole che hai citato, mi ispirano tantissimo.

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    • Guarda, carissima Blackgrrl, mi permetto di rimandarti alla risposta che ho fatto ieri al commento di DoppiaW, cin cui esprimo anche a lei le miei indicazioni di visione sulla fiction Tv… nord-americani tratteggiati in modo sciatto ed approssimativo, ispanici leggendari e soprattutto mostri e vampiri da manuale ed in più un continui guizzi di genialità nel trattamento del plot… la fiction vive di questa dualità costante, che la fa amare o odiare… Non ha la costanza qualitativa di un Fargo, di un Mr. Robot, di un The Americans o un The Good Wife, ma il genio e la sregolatezza di un cinema di eccessi.
      Buona Pasqua, amica!

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  2. volevo scrivere diverse cose, poi ho letto dei cavalli e ho pensato “poverini!”
    Comunque, mi hai spiegato una cosa che nel romanzo avevo colto come citazione ma non sapevo di cosa. La serie ho inizato a vederla, poi però ho interrotto perché volevo vedere Stargate SG1… Poi è arrivato Netflix e mi sto vedendo il dottore in maniera decente finalmente e non “quando mi ricordo che lo fanno in tv”.
    Mi hai ricordate inoltre che ho iniziato la recensione dei romanzi e le ho lasciate lì, non so neanch’io perché xD
    Io sono una voce fuori dal coro e di Del Toro mi è piaciuto solo Crimson Peak e la serie di romanzi di The Strain. Non mi piace molto il suo stile, però non nego sia bravissimo come regista, semplicemente non mi piace come rende alcune cose.

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    • Grazie moltissimo Lupo, mi fa piacere che riesci sempre a trovare del buono nei miei polpettoni… ultimamente mi sono spinto molto aldilà del sopportabile e sapere che malgrado tutto continui a seguirmi (tu, come altri), mi riempie il cuore di gioia!
      Comunque Del Toro è un grande, sia quando fa il messicano, sia quando fa l’americano!!

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  3. The strain ancora non l’ho visto, ma è “in lista d’attesa”, però, come sempre accade leggendo i tuoi articoli, mi soffermo sulla lezione, di carattere quasi universitario-enciclopedico che ci hai regalato oggi. Un’analisi generale della storia e dei caratteri del cinema messicano e del ruolo del Messico nella storia del cinema mondiale, partendo dalle origini fino ad arrivare ai “nuovi messicani” della settima arte, i vari Cuaron, Iñarritu e soprattutto Del Toro che incarna al meglio lo spirito della sua nazione, proiettandolo sullo schermo, grande o piccolo che sia. Ancora una volta, grazie Kasa!

    P.S. perdonami per l’enorme ritardo con cui arrivo a commentare, non entravo su WP da un po’

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    • Adoro questo scambio molto tecnico che ci facciamo reciprocamente, non solo sul contenuto di nostri post (articoli, nel tuo caso) ma anche sul contente e quindi sugli aspetti formali… penso che non ci stancheremo mai di leggerci vicendevolmente, anche dovessero intercorrere grandi lassi di tempo tra un nostro intervento e l’altro: se la vita ci impone i suoi tempi, noi imponiamo alla vita i nostri gusti.
      Come sempre, grazie Dave, sul serio.

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  4. Non ho mai creduto che il cinema messicano fosse inutile. Molto più semplicemente non sapevo che esistesse un cinema messicano.
    Beata ignoranza.
    Vorrei tanto fare il figo e dirti che vedrò questo e quell’altro, ma siccome non sono figo e non mi piace dire le bugie a nessuno – figurarsi a un amico come Kasa – ti dico senza troppi premaboli che:
    a. leggere il post è stato al solito bellissimo
    b. col tempo, anche se può sembrare impossibile, stai diventando sempre più bravo
    c. Canfora “te fà na pippa”
    d. ho scoperto una realtà molto interessante
    e. tale realtà resterà a me ignota di sicuro fino a quando non sarà andato in pensione. Poi chissà.

    Detto questo, vado clamorosamente OT per ringraziarti.

    Kasabake non dà mai consigli, è un fine conoscitore della settima arte quanto della retorica ciceroniana, quindi lui “tesse le lodi”. E siccome lo fa bene, io mi segno le sue lodi e le metto in fila (non tutte, come specificato nel preambolo, ma molte).

    Ebbene, il retore erudito Kasabake, tempo fa scrisse un bel post sui crossover, focalizzandosi su uno in particolare tra BONES e un’altra serie TV di cui non ricordo il nome. All’epoca misi l’informazione nel cassetto e lì la lasciai senza pensarci troppo, fino all’altra sera.

    Tutto è nato da una discussione con mia moglie: è una pia donna, ma di cinema non capisce un cavolo. Nella stessa sera ha preteso di iniziare 5 film diversi, bocciandoli tutti come “stupidi” o “pallosi” dopo nemmeno 4 minuti di visione. Detto che poi erano tutti buoni film che io avevo già visto, ma tant’è…
    Ero disperato.
    Perchè le occasioni in cui la bimba ci concede due ore di divano accoccolati a guardare la tv sono rare e dal momento che non avevamo più serie tv da guardare insieme, i film che le proponevo non le piacevano, allora non restava che guardare i SUOI film. Ma siccome lei di cinema non capisce – coma detto sopra – ero già rassegnato all’idea di polverizzarmi i coglioni con una serie di film su storie vere, possiblmente narranti le vicissitudine di donne o bambini orientali (dove per orientali si va dagli Emirati Arabi al Giappone).
    Memorie di una geisha
    Lanterne rosse
    Il cacciatore di aquiloni

    Mentre meditavo il suicidio, mi è tornato alla mente il post di kasabake, di corsa ho recuperato i primi due episodi di BONES e li ho fatti vedere a mia moglie.

    LE SONO PIACIUTI

    MIRACOLO

    Grazie Kasabake, hai salvato se non il matrimonio, almeno i miei attributi 😀

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