6 Degrees – My Favourite Things, Parte 1 di 2: dal Trap allo Slapstick

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La canzone “7 Rings“, secondo singolo estratto da Thank U, Next, il quinto album in studio di Ariana Grande, è il 1° Grado di Separazione con cui vi chiedo di partire assieme a me in questo nuovo viaggio dentro i più o meno evidenti fili rossi di significanza che si trovano nel mondo dell’intrattenimento culturale pop, sia musicali, che cinematografici: come la volta scorsa, anche in questo caso il viaggio non sarà breve, tanto da essere stato da me diviso in due puntate, ma spero anche sufficientemente appassionante da spingervi ad arrivare fino in fondo.

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Uscito nel Gennaio di questo 2019, il brano della Grande è stato una hit dal clamoroso successo, restata per cinque settimane di fila in cima alla classifica di Billboard Hot 100 e questo malgrado, in tutta onestà, non sia certamente la più riuscita tra le canzoni della famosa pop star: eseguita certamente al meglio dalla Grande, non risulta particolarmente adatta nel mostrare le vere doti canore dell’artista di Palm Beach, con un ritmo Pop Rap, più che altro scimmiottante le sonorità ed i testi dei cantanti Trap più in voga.

Breakfast-at-Tiffany

Elemento portante della strategia di marketing di promozione del brano, è ovviamente anche la leggenda costruita e narrata attorno alla sua genesi: è la stessa Ariana, infatti, ad aver svelato ai media il significato della sua creazione, raccontando di come, in una giornata particolarmente difficile per lei, trovandosi a New York dopo la rottura sentimentale con il suo fidanzato Pete Davidson, aveva deciso di risollevare il suo morale passando tutto il tempo bevendo champagne con 6 delle sue amiche (Victoria Monet, Courtney Chipolone, Alexa Luria, Rim Taya Shawki, Tayla Parx e Njomza Vitia) e facendo shopping niente meno che nella celeberrima gioielleria Tiffany sulla 5th Avenue, esattamente quella immortalata nel 1961 dal film Breakfast at Tiffany’s, libero adattamento dello sceneggiatore George Axelrod dall’omonimo romanzo di di Truman Capote, interpretato dall’icona di bellezza ed eleganza Audrey Hepburn, ma soprattutto diretto da Blake Edwards (elemento che costituisce un piccolo corto circuito interno con il 4° punto di questa nostra digressione).

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In quell’occasione, Ariana Grande racconta che avrebbe comprato per se stessa e per le sue accompagnatrici 7 anelli con diamanti ovvero 7 gioielli di fidanzamento, trasformati per l’occasione in 7 gioielli di amicizia: sulla via di ritorno, una delle amiche, la cantautrice rapper Njomza, avrebbe detto ad Ariana «Hey, abbiamo bisogno di scrivere una canzone su questo!», come testimonia (sic!) il passaggio  riportato di seguito:

Wearing a ring, but ain’t gon’ be no “Mrs.”
Indosso un anello, ma non sarà da “Sig.ra”
Buy matching diamonds for six of my bitches
Ho comprato diamanti coordinati per sei delle mie troiette
I’d rather spoil all my friends with my riches
Preferisco viziare tutti i miei amici con le mie ricchezze

Il testo della hit è chiaramente di una stupidità agghiacciante, con particolare riferimento all’esaltazione della vacuità più promiscua, esaltando gli aspetti più edonistici del consumismo, con una visione del denaro idealizzata ad uso e consumo di chi in realtà lo sogna ma non lo possiede, come si può constatare da uno qualsiasi dei passaggi del testo:

Think retail therapy the new addiction
Penso che la terapia di shopping sia la mia nuova dipendenza
Whoever said money can’t solve your problems?
Chi ha detto che i soldi non possono risolvere i tuoi problemi?
Must not have had enough money to solve ’em!
Non doveva avere abbastanza soldi per risolverli!
They say “Which one?” I say “No, I want all of ’em”
Mi chiedono “quale?” Io rispondo “No, li voglio tutti”
Happiness is the same price as red-bottoms
La felicità ha lo stesso prezzo di un paio di pantaloni rossi

Malgrado in alcune interviste gli autori abbiano voluto far credere che dietro tale sfacciata esibizione si nascondessero ironia e critica nei confronti di un intero genere musicale, esaltante comportamenti vuoti e sessisti, tutta la canzone ed il video collegato stanno a dimostrare il contrario, in particolare quest’ultimo, con Ariana che davanti alla telecamera mette in scena tutto lo charme provocante e sexy di una modella di ombretti ed eyeliner saturi di colore, come in quei film in cui si dichiara di denunciare l’uso indiscriminato della violenza e delle armi in possesso personale e poi ci si crogiola nel costruire sequenze che vanno a solleticare esattamente gli stessi bassi istinti che ci si proponeva ipocritamente di mettere in discussione.

James-Gunn

Quello di esibire ciò che al contempo si vuole condannare è da sempre un gioco sottile e spesso equivocabile, in cui non sempre è semplice per il fruitore ultimo (spettatore o lettore) capire dove sia la verità: basti pensare alle ridole accuse di nazismo rivolte a suo tempo al grande regista Lars Von Trier (basate su interviste-trappola, orchestrate dallo stesso regista e che hanno fatto capitolare più di una penna superficiale, incapace di scoprire il trucco satirico) o più recentemente il finto scandalo legato al gruppo di tweet scritti e diffusi in epoca giovanile, con intento volutamente dissacratorio, dal geniale uomo di cinema James Gunn, dove questi giocava appositamente con argomenti tabù, quali ad esempio la pedofilia, per condannare l’acquiescenza comune sul turismo sessuale e sulle pratiche di blackmail tanto diffuse in certi ambienti, ma che è stato paradossalmente usato dai suoi detrattori politici (Gunn si è da sempre schierato pubblicamente contro l’attuale amministrazione Trump e contro i suoi ridicoli think tank) per etichettarlo come pervertito (cosa che gli ha procurato un iniziale e pomposo licenziamento in tronco dalla Disney/Marvel, successivamente rientrato per ovvie logiche commerciali).

Death-Wish

A volte effettivamente il confine e l’ambiguità sono sottilissimi, come nel caso del film Death Wish (da noi distribuito corentemente con il titolo di Il Giustiziere della Notte, giacché è di fatto un remake del film omonimo del 1974 di Michael Winner), per il quale il regista Eli Roth e lo sceneggiatore Joe Carnahan furono dalla critica giudicati in modo frettoloso troppo indulgenti nel bearsi delle scene di violenza efferata e nel finto senso di giustizia privata portata dal protagonista (oggi interpretato da Bruce Willis, in quello che un tempo fu il character che diede tanta popolarità a Charles Bronson, ma che, ahimè cristalizzò quel grande attore in un ruolo troppo di genere, da cui non riuscì più ad evadere), quando invece l’intento satirico del film è talmente palese da non essere in alcun modo equivocabile, come testimoniato dalle sequenze finali e dall’irreale reazione delle forze dell’ordine, nonché di tutta la macchina della giustizia statunitense, ponendosi nello stesso universo metaforico e distopico in cui agiscono praticamente tutti i capitoli della saga di videogames Grand Theft Auto, da sempre particolarmente caustici e critici sull’eccessiva libertà di un cittadino nordamericano di procurarsi legalmente e con estrema faciltà le armi più letali in commercio.

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Tornando al 7 Rings di Ariana Grande, non voglio soffermarmi ulteriormente sulla pochezza devastante del voler celebrare con un brano pop un gesto che non ha niente di più della nullità etica dello shopping compulsivo e della noia che attraversa la vita dei divi (specie se si considera come, in questi casi, la realtà si mescoli con la fantasia costruita a tavolino dai social manager e dagli image-maker, tanto che la seconda prevale quasi sempre sulla prima), giacché per il nostro viaggio è invece molto più interessante rimarcare il significato quasi allegorico di come questo successo pop sia stato musicalmente costruito in dichiarato omaggio al brano My Favourite Things, che è chiaramente il nostro 2° Grado di Separazione.

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Con un intento parodistico ed iconoclasta, infatti, il pezzo di Ariana Grande, oltre a citarne il titolo nel testo, muove le mosse del suo incipit come se fosse una cover della leggendaria canzone, composta da Richard Rodgers e Oscar Hammerstein II per il musical The Sound of Music (in Italia distribuito con il titolo più parrocchiale di Tutti insieme appassionatamente), portato in scena nel 1959 a Broadway con un successo impressionante e pochi anni dopo, nel 1965, trasportato al cinema, grazie alla sceneggiatura di adattamento di Ernest Lehman e la regia sopraffina di Robert Wise.

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Il personaggio femminile protagonista della storia è Maria, un’orfanella austriaca affidata alle cure delle suore di un convento, le quali avevano pensato bene di farla diventare novizia, ma i tanti dubbi sulle vera vocazione della ragazza, specie da parte della madre superiora, avevano spinto quest’ultima a decidere di mettere alla prova la giovane nel mondo secolare, assegnandole il difficile compito di divenire istitutrice e governante dei sette figli del comandante della Marina Imperiale Georg Ritter von Trapp, rimasto vedovo da qualche anno e rinchiusosi in un guscio fatto di disciplina e rigore quasi anaffettivi: come è facile immaginare, Maria porterà una ventata di novità nella staticità della vita di quella famiglia, dove suo malgrado e con non poca ritrosia, incontrerà l’amore.

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Sullo sfondo della reale vicenda storica dell’Anschluss ovvero dell’Annessione dell’Austria alla Germania Nazista (unica vera parentesi di seriosità della narrazione, con riferimenti rigorosi, ma trattati con la levità della commedia sentimentale, laddove il patriottsimo austriaco del protagonista maschile viene dipinto come una forma di anti-nazismo eroico e romantico), la storia si sviluppa con i toni dell’apologo educativo e pedagogico, mostrando in particolare come l’approccio più empatico e comunicativo di Maria, nei confronti del gruppo dei ragazzi, si dimostri con il tempo molto più efficace di quello fino ad allora tenuto dal padre, nel farli raggiungere non solo eccellenti risultati comportamentali, ma anche trasformadoli in provetti cantanti da coro.

Il brano musicale citato sopra è proprio un momento cardine di questo processo di conoscenza e di educazione condotto dalla giovane istitutrice: in occasione di un pauroso temporale, invece di tenerli a distanza, come previsto dalle regole precedenti, costruite sulla falsa riga di una specie di coprifuoco militaresco, Maria decide di accogliere tutti quei fanciulli nel lettone della sua camera e là, per distrarre soprattutto i più piccoli dai tuoni e dai fulmini che tanto li spaventavano, intona una specie di filastrocca, dove elenca per l’appunto tutte le cose che più le danno piacere nella vita quotidiana, mettendo in fila odori, profumi e descrizioni di visioni estremamente gradevoli, nel ricordo delle quali dichiara di rifugiarsi ogni volta che abbia paura o che sia triste.

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Per chi volesse divertirsi a fare un veloce confronto tra le due canzoni, mettendo in parallelo le frasi appositamente blasfeme e forzate del brano pop della Grande, con le rime scritte invece da Oscar Hammerstein II, in fondo a questo post può trovare entrambi i testi (in lingua inglese originale e relativa traduzione), oltre anche alla versione italiana del brano del musical inserita a suo tempo nel doppiaggio del film: si sappia infatti che quando la pellicola di Wise fu distribuita nei cinema del nostro paese, si decise in Italia di far ricantare tutte le canzoni da artisti italiani (per la Andrews, ad esempio, fu scelta la voce di Tina Centi), con una completa riscrittura dei testi di ogni brano, affidandoli al paroliere e commediografo Antonio Amurri, il quale per l’occasione creò parole e strofe assolutamente inedite.

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Come tutti ben sanno, il personaggio dell’orfanella austriaca, dapprima semplice novizia e poi educatrice alla scoperta del mondo e dell’amore, raccontato in questo film musicale pluripremiato (5 Oscar, 2 Golden Globe ed una miriade di altri premi specializzati e nomination e candidature in tutti i settori), che ha divertito e fatto sognare mezzo mondo, venne allora affidato alla talentuosissima Julie Andrews, attrice splendida e formidabile cantante, vera showgirl a tutto tondo, assurta rapidamente a diva di prima grandezza grazie al successo planetario della pellicola Mary Poppins della Disney, uscita appena un anno prima e nostro quasi obbligato 3° Grado di Separazione.

Mary-Poppins-mirror-scene

Effettivamente è praticamente impossibile parlare della Andrews prescindendo dalla sua leggendaria interpretazione del personaggio creato dalla penna della scrittrice britannica Pamela Lyndon Travers e voluto a tutti i costi sullo schermo cinematografico da Walt Disney in persona, che trasformò quella moderna fiaba per ragazzi in un musical con inserti animati, per la regia di Robert Stevenson, la sceneggiatura di adattamento di Bill Walsh e Don DaGradi e soprattutto le immortali canzoni composte dalla coppie di fratelli Robert e Richard Sherman.

Saving-Mr.-Banks

Quello di Mary Poppins è un caso più unico che raro, dove una coincidenza di grandi talenti ed una produzione in stato di grazia portarono al concepimento di un’opera cinematografica tutt’oggi unanimemente considerata un picco di eccellenza sia dal pubblico che dalla critica specializzata di tutto il mondo, tanto che persino la gradevolissima commedia agro-dolce del 2013 Saving Mr. Banks (diretta da John Lee Hancock, sullo script di Kelly Marcel e Sue Smith), oltre alla fenomenale interpretazione degli attori protagonisti (Tom Hanks, Emma Thompson, Colin Farrell e Paul Giamatti), ebbe come indubbio traino per il suo successo anche il ricordo del film Disney negli spettatori, che giocarono a riconoscere in questa pellicola una sorta di “dietro le quinte” del capolavoro disneyano.

Darling-Lili

In una delle sequenze inziali di Mary Poppins, il personaggio della magica tata, guardandosi allo specchio definisce se stessa «practically perfect in every way» ed effettivamente, non solo per tutta la durata di questo specifico film, ma anche nelle pellicole seguenti, nonché nei tantissimi spettacoli teatrali portati in scena a Broadway, il lavoro svolto da Julie Andrews non è mai potuto essere definito diversamente se non che impeccabile: per tutta la sua vita professionale, la diva è stata non a caso sempre ammantata da un aura di intoccabile professionalità e carisma, tanto da averle permesso di raggiungere, presso il grande pubblico, l’inusitato primato di essere vista sia come beniamina del pubblico familiare tradizionale (grazie all’aureola del character Disney), sia come icona gay, stimatissima dalla comunità LGBT (le cui battaglie, per il riconoscimento dei propri dititti civili, la Andrews per altro non ha  mai fatto mistero di appoggiare).

La carriera cinematografica della Andrews ha continuato sempre a scorrere in parallelo a quella teatrale, grazie anche all’estensione ed alla potenza della sua voce, che abbinata ad un’indubbia padronanza scenica le permise di essere vista sempre soltanto come artista sopraffina e mai come diva da gossip, saltando a piè pari qualsiasi possibile maldicenza, attraversando immune anche gli sperimentalismi di un regista scomodo per il mondo del cinema, quale fu suo marito, come nel caso eclatante del clamoroso ed inaspettato topless inscenato dal personaggio di Sally Miles (finta star di Night Wind, il film nel film, di cui nella clip sopra potete visionare la scena in questione e la sintassi meta-filmica e parodistica), protagonista femminile della pellicola molto poltically uncorrect e anti-hollywoodiana S.O.B. del 1981, sceneggiata e diretta dal cineasta già citato all’inizio di questo post, l’uomo che nel 1969 sposò la stessa Julie Andrews e che la diresse non solo in questa irriverente pellicola, ma anche in altri sei lungometraggi (senza contare una serie di partecipazioni quasi amatoriali e spesso nemmeno accreditate), Blake Edwards, ovvero il nostro 4° Grado di Separazione.

Princess-Diaries

Non è quindi casuale che se io fossi chiamato a decidere quale, tra i tantissimi ruoli di Julie Andrews, sia per me maggiormente memorabile, non avrei alla fine alcun dubbio e seppur con un iniziale imbarazzo nella scelta (fatta su così tanti indimenticabili ruoli, comprendendo non solo le interpretazioni storiche di inzio carriera, ma anche le parti minori e per così dire “crepuscolari”, come quelle di Clarisse Renaldi, Regina dell’immaginario stato europeo di Genovia, a fianco di una deliziosa Anne Hathaway, nelle due pellicole live action Disney The Princess Diaries 1 e 2 o quella di Lily, Capo delle Fate nella commedia Tooth Fairy – L’acchiappadenti a fianco di Dwayne Johnson), alla fine individuerei nella commedia musicale del 1982 Victor/Victoria (libero remake dell’omonima pellicola tedesca scritta e diretta nel 1933 da Reinhold Schünzel) il film che più di ogni altro ne ha consacrato il genio recitativo e canoro e che inoltre, per una meravigliosa molteplicità di coincidenze, fu anche l’apice creativo della coppia artistica Andrews-Edwards.

Victor-Victoria

Anche se all’epoca della sua uscita nei cinema, l’Academy cercò di relegarla in un angolino (elargendole solo un Oscar per la Miglior Colonna Sonora, a fronte delle doverose 7 Nomination inziali e tali solo perché costretta dal plauso generale degli addetti ai lavori), la fama ed il rispetto sia del pubblico come della critica specializzata, verso questa questa storica commedia musicale, crebbero in modo inarrestabile, tanto che oggi essa è considerata un vero caposaldo del suo genere ed anche, aggiungo io, un’opera cinematografica assolutamente imperdibile, per la deliziosa storia di equivoci e doppi ruoli (una donna che finge di essere un uomo che finge di essere una donna), per l’accurata e creativa messa in scena, per gli stupendi numeri musicali ed infine per l’interpretazione altissima di tutti gli attori coinvolti, a partire dai tre protagonisti assoluti (oltre alla Andrews, un grandissimo Richard Preston ed un convincentissimo James Garner), fino a tutti comprimari, alcuni dei quali visi noti ed attori sodali che il regista Edwards si è portato dietro in quasi tutte le sue produzioni, come il fenomenale caratterista britannico Graham Stark (anch’esso protagonista di un altro piccolo corto circuito di questo strano filo di gradi di separazione).

Inoltre, nonostante fosse un film prodotto agli inizi degli anni ’80, temi come l’omosessualità ed il travestitismo vennero trattati in modo modernissimo ed aggiungo io incredibilmente anche senza alcuna retorica, mostrando gli aspetti dolorosi della repressione da un lato e dell’esibizione forzosa dall’altro: persino il divertimento e l’umorismo generato dalle tantissime gag non si avvalse mai di facili battute da basso trivio o basate su squallido sessismo, ma piuttosto giocò con l’identità di genere in modo lievissimo e senza alcuna presa di posizione moraleggiante, usando la grandiosa recitazione di Preston nei panni del personaggio di Toddy (sodale della soprano senza lavoro Victoria Grant e suo complice nella sciarada di ruoli con cui assieme creano il personaggio fittizio del Conte Victor Grazinski) per sfuggire al classico clichè del “migliore amico gay”, così abusato nel cinema nordamericano, creando al suo posto un nuovo archetipo che farà scuola nel cinema, in cui vengono giocate l’alternanza tra un cinico senso dell’umorismo, condito di fascino scandalosamente sfacciato e l’amarezza di una silenziosa vulnerabilità affettiva.

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Ciò che infine rende questo film un piccolo capolavoro è il suo ritmo travolgente e le sue divertentissime sequenze comiche, in un equilibrio funabolico tra il vigore della trama della commedia, una dichiarata libertà di costumi (priva di qualsivoglia pedante intento sociologico o pedagogico) e gli interessi dello showbusiness: si badi bene che in Victoria/Vitctoria non parliamo mai di farsa (linguisticamente intesa come drammatizzazione buffonesca di scherzi e rozze caratterizzazioni, in situazioni ridicolmente improbabili), ma tuttalpiù dello splapstick, per lo meno nella sua essenza più raffinata, arte in cui Blake Edwards è stato maestro assoluto, con tutto il suo bagaglio teatrale e filmico di azioni deliberatamente maldestre da parte dei suoi personaggi ed un succedersi di accadimenti umoristicamente imbarazzanti.

Operation-Petticoat

Nell’animo artistico di questo prolifico regista, nato nell’Oklahoma ma formatosi a Los Angeles, sono effettivamente convissute tre potenti forze espressive, che hanno connotato (spesso persino distinto in modo netto) tutta la sua filmografia: un controllo totale dello spazio drammatico, che permetteva agli attori di avere tutto lo spazio recitativo utile per esprimere al massimo le tensioni emotive dei loro personaggi, inscenando melodrammi intimi con un realismo notevolissimo, come nel cupo atto d’accusa verso la piaga dell’alcolismo del suo Days of Wine and Roses –  I giorni del vino e delle rose, del 1962, con Jack Lemmon; un tocco leggerissimo e solare nel dipingere i toni della commedia all’americana (come nei due suoi campioni indiscussi di questo genere, Operation Petticoat – Operazione sottoveste, del 1959 (con Cary Grant e Tony Curtis a duettare in modo adorabile dentro un sommergibile militare durante la Seconda Guerra Mondiale) ed ovviamente il già citato Breakfast at Tiffany’s – Colazione da Tiffany del 1961); infine il rispetto per il silenzio e le pause comiche, che Edwards aveva nel suo codice genetico culturale, avendolo ereditato dalle due figure paterne con cui si era formato professionalmente ovvero il suo patrigno (regista teatrale e direttore di scena) e soprattutto il padre del suo patrigno, il regista cinematografico dell’epoca del muto J. Gordon Edwards, dal quale aveva appreso l’arte di quella comicità fisica ed elementare che era stata del primo Charlie Chaplin, di Buster Keaton , di Harold Lloyd e chiaramente di Stan Laurel ed Oliver Hardy.

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Nessuna di queste tre anime di Blake Edwards è mai stata del tutto prevalente nel determinare il valore dei suoi film, tranne forse che in senso evolutivo, laddove con gli anni il nostro cineasta finì per abbandonare completamente i soggetti drammatici e successivamente anche quelli piu morbidi della commedia classica, per cristallizarsi soltanto sulla commedia parodistica e sulla satira di costume, fino al termine della sua carriera, quando tuttavia i suoi film erano oramai solo un’ombra del suo prestigioso passato: per quanto forieri di ottimi incassi, pellicole come Blind Date – Appuntamento al buio del 1987 (con Bruce Willis e Kim Basinger) e Switch -Nei panni di una bionda del 1991 (con Ellen Barkin ad interpretare un maschlista creativo pubblicitario che si ritrova nel corpo di una donna) sono difatti opere decisamente minori e davvero dimenticabili.

Tuttavia, delle tre citate, l’anima capace di dominare l’arte dello slapstick è senza dubbio quella che ha permesso ad Edwards di produrre per il cinema una delle saghe comiche più famose di tutti i tempi, ma questo sarà oggetto del mio prossim post, con la 2° ed ultima parte di questo 6 Degrees – My Favourite Things.

Un grazie a tutti per la lettura e Stay Tuned!


In questo post abbiamo citato i seguenti film:

Mary Poppins“, USA, 1964
Regia: Robert Stevenson
Soggetto e Sceneggiatura: Bill Walsh e Don DaGradi
dall’omonimo romanzo di Pamela Lyndon Travers

The Sound of Music“, USA, 1965
Regia: Robert Wise
Sceneggiatura: Ernest Lehman
adattato dall’omominimo musical teatrale
con musiche di Richard Rodgers
e testi di Oscar Hammerstein II
a suo volta tratto dal film tedesco del 1956
Die Trapp-Familie” di Wolfgang Liebeneiner
nonché dal romanzo di Maria von Trapp
The Story of the Trapp Family Singers

S.O.B.“, USA, 1981
Regia: Blake Edwards
Soggetto e Sceneggiatura: Blake Edwards

Victor/Victoria“, USA, GBR, 1982
Regia: Blake Edwards
Soggetto e Sceneggiatura: Blake Edwards e Hans Hoemburg
dallo script dell’omonima commedia tedesca del 1933
Viktor und Viktoria” scritta e diretta da Reinhold Schünzel

Death Wish“, USA, 2018
Regia: Eli Roth
Soggetto e Sceneggiatura: Joe Carnahan
dal precedente omonimo film del 1974
diretto da Michael Winner e scritto da Wendell Mayes
a sua volta tratto dall’omonimo romanzo del 1972
di Brian Garfield


Canzoni citate nel post:

7 Rings“, USA, 2019

7-Rings

Composta da: A. Grande, V. Monét, T. Parx, N. Vitia, K. Krysiuk
Produttori: Tommy Brown, Charles Anderson e Michael Foster
Studio: Jungle City Studios (New York City)
Label: Republic

Testo integrale del brano (originale, con traduzione):

Yeah, breakfast at Tiffany’s And bottles of bubbles
Sì, colazione da Tiffany e bottiglie di bollicine
Girls with tattoos Who like getting in trouble
Ragazze con tatuaggi A cui piace cacciarsi nei guai
Lashes and diamonds, ATM machines
Ciglia e diamanti, bancomat
Buy myself all of my favorite things
Mi compro tutte le mie cose preferite
Been threw some bad shit
Ho passato un periodo veramente di merda
I should be a sad bitch
Dovrei essere una stronza triste
Who would have thought it’d turn me to a savage?
Chi avrebbe pensato che mi sarei trasformata in una selvaggia?
Rather be tied up with cuffs and not strings
Meglio essere legata con manette che non da legami
Write my own checks like I write what I sing, yeah
Scrivo i miei assegni come scrivo ciò che canto, yeah

My wrist, stop watchin’ My neck is flossin’
Il mio polso, smettila di guardarlo, Il mio collo dondola
Make big deposits, My gloss is poppin’
Faccio grandi depositi, il mio gloss si mette in mostra
You like my hair? Gee, thanks! Just bought it
Ti piacciono i miei capelli? Wow, grazie! Li appena comprati
I see it, I like it I want it, I got it, yeah
Lo vedo, mi piace Lo voglio, lo prendo, yeah

I want it, I got it I want it, I got it
Lo voglio, lo prendo Lo voglio, lo prendo
I want it, I got it I want it, I got it
Lo voglio, lo prendo Lo voglio, lo prendo
You like my hair? Gee, thanks! Just bought it
Ti piacciono i miei capelli? Wow, grazie! Li appena comprati
I see it, I like it, I want it, I got it (Yeah)
Lo vedo, mi piace, lo voglio, lo prendo (Yeah)

Wearing a ring, but ain’t gon’ be no “Mrs.”
Indosso un anello, ma non sarà da “Sig.ra”
Buy matching diamonds for six of my bitches
Ho comprato diamanti coordinati per sei delle mie troiette
I’d rather spoil all my friends with my riches
Preferisco viziare tutti i miei amici con le mie ricchezze
Think retail therapy the new addiction
Penso che la terapia di shopping sia la mia nuova dipendenza
Whoever said money can’t solve your problems?
Chi ha detto che i soldi non possono risolvere i tuoi problemi?
Must not have had enough money to solve ’em!
Non doveva avere abbastanza soldi per risolverli!
They say “Which one?” I say “No, I want all of ’em”
Mi chiedono “quale?” Io rispondo “No, li voglio tutti”
Happiness is the same price as red-bottoms
La felicità ha lo stesso prezzo di un paio di pantaloni rossi

My smile is beamin’ My skin is gleamin’
Il mio sorriso è smagliante, la mia pelle è luminosa
The way it shine I know you’ve seen it (You’ve seen it)
Il modo in cui brilla, lo avete visto
I bought a crib just for the closet
Ho comprato una culla solo per l’armadio
Both his and hers
Sia per lei che per lui
I want it, I got it, yeah
Lo voglio, lo prendo, yeah

I got my receipts, be lookin’ like phone numbers
Ho ritirato i miei scontrini, sembrano numeri di telefono
If it ain’t money, then wrong number
Se non sono soldi, allora sono numeri sbagliati
Black card is my business card
La carta di credito black è il mio biglietto da visita
The way it be settin’ the tone for me
Il modo in cui lavora è il suono giusto per me
I don’t mean to brag But I be like, “Put it in the bag,” yeah
Non intendo vantarmi, ma io sono il tipo “Mettilo nella borsa”, oh si
When you see them racks, they stacked up like my ass, yeah
Quando vedi gli espositori, sono impilati come il mio culo, oh si

Shoot, go from the store to the booth
Fotografa, vai dal negozio allo studio
Make it all back in one loop
Faccio tutto in un solo giro
Give me the loot
Dammi il bottino
Never mind, I got the juice
Non importa, ho la sua roba
Nothing but net when we shoot
Ho toccato solo la rete quando giriamo
Look at my neck, look at my jet
Guarda il mio collo, guarda il mio jet

Ain’t got enough money to pay me respect
Non sono abbastanza soldi per portarmi rispetto
Ain’t no budget when I’m on the set
Non c’è budget quando sono sul set
If I like it, then that’s what I get, yeah
Se mi piace, allora me lo prendo

Wearing a ring but ain’t got’ be no Mrs
Sto indossando un anello, ma non è da “Sig.ra”
Bought matching diamonds for 6 of my bitches
Ho comprato diamanti coordinati per 6 delle mie troiette
My smile is beaming
Il mio sorriso è smagliante
The way it shine, I know you’ve seen it
Il modo in cui brilla, l’avete visto
Bought a crib just for the closet
Ho comprato una culla solo per l’armadio
Both his and hers, I want it, I got it
Sia per lei che per lui, lo voglio, lo prendo

They say money doesn’t solve your problems
Ho le mie ricevute, sembrano numeri di telefono
Whoever said that must not have money to solve them
Chi ha detto che i soldi non possono risolvere i tuoi problemi
Lashes and diamonds, ATM machines
Ciglia e diamanti, bancomat
Buy myself all of my he, he, he, tea

They say “Which one?”I say “No, I want all of ’em”
Mi chiedono “quale?” Io rispondo “No, li voglio tutti”
I see it, I like it, I want it, I got it
Lo vedo, mi piace, lo voglio, lo prendo

 

My Favorite Things“, USA, 1965

My-Favourite-Things

Musica di: Richard Rodgers
Parole: Oscar Hammerstein II
Label: RCA Victor

Testo integrale del brano (originale, con traduzione):

Raindrops on roses and whiskers on kittens
Gocce di pioggia su rose e baffi sui cuccioli
Bright copper kettles and warm woolen mittens
Pentole di rame luminoso e caldi guanti di lana
Brown paper packages tied up with strings
Pacchetti di carta marrone legati con corde
These are a few of my favorite things
Queste sono alcune delle mie cose preferite

Cream colored ponies and crisp apple streudels
Pony color crema e strudels di mela croccanti
Doorbells and sleigh bells and schnitzel with noodles
Campanelli e campane da slitta e schnitzel con le tagliatelle
Wild geese that fly with the moon on their wings
Oche selvatiche che volano con la luna sulle ali
These are a few of my favorite things
Queste sono alcune delle mie cose preferite

Girls in white dresses with blue satin sashes
Ragazze in abiti bianchi con fasce di raso blu
Snowflakes that stay on my nose and eyelashes
Fiocchi di neve che rimangono sul mio naso e le ciglia
Silver white winters that melt into springs
Inverni bianchi d’argento che si sciolgono in sorgenti
These are a few of my favorite things
Queste sono alcune delle mie cose preferite

When the dog bites
Quando il cane morde
When the bee stings
Quando l’ape punge
When I’m feeling sad
Quando mi sento triste
I simply remember my favorite things
Io semplicemente Ricordo le mie cose preferite
And then I don’t feel so bad
E poi non mi sento così male

Le Cose che Piacciano a Me“, ITA, 1965

Versione Italiana di
My Favourite Things” di Rodgers & Hammerstein II
Parole di: Antonio Amurri
Voce: Tina Centi

Testo integrale del brano:

(Parlato)
Prati verdi, cieli pieni di stelle,
gocce di pioggia sul verde dei prati…

(Cantato)
Sciarpe di lana, guantoni felpati,
più che il sapore il colore del tè,
ecco le cose che piacciono a me.

Torte di mele, biscotti croccanti,
bianchi vapori dai treni sbuffanti,
quando ti portano a letto il caffè,
ecco le cose che piacciono a me.

Tanti vestiti a vivaci colori,
quando ricevi in regalo dei fiori,
le camicette di bianco piquet,
ecco le cose che piacciono a me.

Se son triste infelice e non so il perchè,
io penso alle cose che amo di più
e torna il seren per me.

Il miagolare che fanno i gattini,
ed il sorriso di tutti i bambini,
la cioccolata che è dentro ai bignè,
ecco le cose che piacciono a me.

Un bel quaderno appena comprato,
un fazzoletto che sa di bucato,
una gallina che fa coccodè
ecco le cose che piacciono a me.

Biondi capelli su un viso abbronzato,
pane arrostito con burro spalmato,
quando si ride ma senza un perchè
ecco le cose che piacciono a me.

Se son triste infelice e non so il perchè,
io penso alle cose che amo di più
e torna il seren per me.


 

69 pensieri su “6 Degrees – My Favourite Things, Parte 1 di 2: dal Trap allo Slapstick

  1. La domanda retorica della canzone di Ariana Grande (“Chi ha detto che i soldi non possono risolvere i tuoi problemi?”) può scandalizzare noi europei, ma verrebbe accettata da qualsiasi americano con estrema tranquillità, senza neanche una scrollata di spalle. Il materialismo estremo infatti fa parte della loro cultura, e lo possiamo vedere anche dal film “La ricerca della felicità”, dove la felicità non è nient’altro che la ricchezza materiale: se hai quella hai tutto, nella mentalità americana. La frase “I soldi non fanno la felicità” ai loro occhi non ha nessun significato, anzi è un vero controsenso. Non li sto criticando: ognuno si forma la scala di valori che preferisce, e anche se sarebbe meglio mettere i valori spirituali davanti a quelli materiali, non va criminalizzato chi fa la scelta opposta.
    Un altro film degli anni 80 che tratta il tema del travestitismo con intelligenza e giocosità allo stesso tempo è il celeberrimo Tootsie. Va detto però che in quel caso questo tema è soltanto un pretesto per denunciare la superficialità del mondo dello spettacolo, che non è disposto a dare una chance ad un attore brutto neanche quando possiede più talento di 100 bei faccini messi insieme. Da lì la sua idea di travestirsi da donna, con tutto ciò che ne consegue.
    In verità questo problema della difficoltà di fare carriera se non hai un bel faccino si pone più per le attrici che per gli attori. Prova a mettere a confronto gli Oscar al miglior attore e quelli alla miglior attrice degli ultimi 20 anni: ti accorgerai che tra i migliori attori ce ne sono tanti anche molto più brutti di Dustin Hoffman, tra le attrici invece ci sono quasi esclusivamente strafighe. Questo dimostra che nello scegliere a chi assegnare un ruolo maschile ci si focalizza di più sul talento, nell’assegnare un ruolo femminile invece si punta più sull’estetica.
    Questo lo possiamo vedere anche nei film italiani. Prendi ad esempio “Il grande spirito” (bel film uscito quest’anno): i protagonisti maschili sono Sergio Rubini e Rocco Papaleo (più bravi che belli), quella femminile Bianca Guaccero (più bella che brava).
    Le attrici sono consapevoli che per loro l’aspetto fisico è molto più importante rispetto agli attori: da lì il loro terrore di invecchiare, che loro cercano di allontanare riempiendosi di botulino fino a scoppiare.
    Tornando a Dustin Hoffman, quest’anno ho visto un suo film davvero strepitoso: Billy Bathgate. Se non l’hai visto, te lo consiglio caldamente.

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    • Mamma mia che bellissimo commento, Wwayne, davvero profondo e stupendo: aldilà di tutto, i tuoi studenti sono davvero fortunati per come riesci a spiegare le cose…

      Nello specifico sono daccordissimo con la tua osservazione sul modo di concepire il denaro negli USA ed questa loro diversa onotologia di valori (molto dovuta anche ad un’interpretazione tutta statunitense delle dottrine calviniste) da sempre mette il successo economico com frutto non di malversazione ma come risultato di tenacia e duro lavoro e sulla base di questo giudica il prossimo: per noi europei è davvero difficile comprendere ed accettare tutto questo, a maggior ragione per un vero cristiano, abituato a considerare gli ultimi del mondo come sfortunati e non come incapaci, ma di certo comprendere quello che tu hai enunciato aiuta a capire tanto cinema e tanta televisione statunitense… Come dici tu, qui non si giudica ma si comprende.

      Fantastica anche la citazione di Tootsie, perché è vero che è un altro film dove il travestitismo è trattato con la leggerezza di una piuma, ma è anche un altro esempio di come un cambio di sesso da parte di un attore permetta a lui/lei di ottenere parti che altrimenti non avrebbe avuto: tra l’altro il paragone con il film di Sidney Pollack mette in evidenza un paradosso sociale, giacchè nella Parigi di Victor/victoria essere un travestito (quindi non banalmente gay, ma drag, con tutta la connotazione di ambiguità di genere che aumentava l’effetto scenico e lo condiva di tragressione) era un punto di merito, così come l’essere donna nella società sessista descritta nel film con Hoffman.

      Entranmbi i film uscirono negli States nel 1982 e verosimilmente hanno matrice artistica comune: infatti il film di Blake Edwards è un remake di una famosa commedia tetrale, mentre quello di Pollack è stato scritto da Larry Gelbart, autore di teatro e commediagrafo prestato alla televisione e che sicuramente aveva vsto ed apprezzato l’opera del tedesco Reinhold Schünzel, molto apprezzato nell’ambiente degli scrittori di teatro.

      Il tema del travestitismo al cinema è enorme e solo ultimamente vien trattato come aspetto di gender fluid o di ricerca di identità sessuale (penso anche a commedie italiane leggerissime, come Puoi baciare lo sposo di Alessandro Genovesi, con il personaggio di Donato, interpretato da Dino Abbrescia o di contro a serial televisivi ingombranti come Transparent ed il character di Maura interpretato da Jeffrey Tambor), mentre fino ad ora era solo uno stratagemma comico (anche satirico e feroce, come nella commedia di culto Some Like It Hot – A qualcuno piace caldo di Billy Wilder con Marilyn Monroe, Tony Curtis e Jack Lemmon) o addirittura avventuroso (persino nel cartoon classic della Disney Mulan, l’eroina decide di far travestire tutti i suoi compoagni darmi da cortigiane per entrare indisturbati nel palazzo dell’Imperatore assediato dagli unni)… A naso, penso che il primo sdoganamento forte (come impatto sul grande pubblico popolare, non parlo quindi di film autoale che avevano già da decenni trattato il tema) del travestitismo sessualmente motivato sia stato quello gestito nel 1992 da Neil Jordan nel suo celeberrimo The Crying Game – La moglie del soldato, ma potrei sbagliarmi.

      Infine di Billy Bathgate ne avevamo già parlato sotto un commento che tu avevi fatto al comune amico Lapinsu ed è chiaro che l’ho visto: non sono più colto di te, assolutamente no, ma solo più vecchio… Sei tu, mio giovane amico, che mi sorprendi ogni volta per quanti film hai visto di periodi storici passati!

      Grazie per esserci sempre e quando dico sempre, dico davvero sempre!

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      • Tra l’altro i due elenchi di “favorite things” (io aaamo gli elenchi!) mi fanno venire in mente, per analogia, la poesia “Considero valore” di Erri de Luca. Che non so se sia ricalcata su qualche altra poesia o filastrocca più datata, o se sia una cosa nuova nuova. In entrambi i casi, è un tipo di testo che mi attira.

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        • Devo essere onesto, non lo so. Conosco la poesia ma non saprei dire se è ricalcata o meno su qualche altra poesia… Certo è che il sistema è vecchio e con precedenti illustri nella letteratura umanista europea… Basti pensare alla cantilena morale di Kipling con la sua If di fine ‘800 nonché uno dei miei testi letterari più amati in assoluto.

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        • Visto che condividiamo la passione per gli elenchi, condivido con te e con Kasabake la lista dei film che ho visto finora nel 2019, nella speranza di darvi degli spunti per le vostre visioni future:

          Suspiria
          Jill Rips – Indagine a luci rosse
          Cocaine – La vera storia di White Boy Rick
          City of Lies – L’ora della verità
          Glass
          Benvenuti a Marwen
          Allarme a Scotland Yard: 6 omicidi senza assassino!
          A star is born
          Affari di famiglia
          Tequila Connection
          Creed II
          Vivere e morire a Los Angeles
          Indagini sporche
          L’agenzia dei bugiardi
          Il caso Grüninger
          Roma
          Mio cugino Vincenzo
          Il castello
          Libere disobbedienti innamorate
          Widows – Eredità criminale
          Il corriere – The Mule
          Ancora vivo
          Freedom Writers
          Come eravamo
          New Jack City
          Scacco alla città
          Detroit
          The Greatest Showman
          Amici miei
          Red Sparrow
          Blow
          The son of no one
          Maria regina di Scozia
          Onora il padre e la madre
          Amici miei – Atto II
          Triple Frontier
          Serenity
          Giulio Cesare
          Io, robot
          Non abbiate paura – La vita di Giovanni Paolo II
          Fuoco assassino
          La maschera di cera
          Suspense
          Billy Bathgate – A scuola di gangster
          Tootsie
          Sindrome cinese
          Civiltà perduta
          Rock of Ages
          Escobar – Il fascino del male
          The Infiltrator
          Full Monty – Squattrinati organizzati
          Baarìa
          Green Book
          Cruise
          Papillon
          La contessa scalza
          Black Panther
          Tonno spiaggiato
          Mi chiamo Giulia Ross
          Fa’ la cosa sbagliata
          Hardwired – Nemico invisibile
          American Ultra
          The Good Shepherd – L’ombra del potere
          Il nome della rosa
          Pensieri pericolosi
          Il campione
          Il gatto dagli occhi di giada
          King of New York
          L’impero del crimine
          Most likely to die
          A.I. Rising
          Chi ucciderà Charley Varrick?
          Padre
          Quel pomeriggio di un giorno da cani
          Six – La corporazione
          Non ci resta che ridere
          The Night Crew
          La ruota delle meraviglie
          Pet Sematary
          Slow West
          Logan
          Intrigo a Berlino
          Ted Bundy – Fascino criminale
          Spider – Man: Un nuovo universo
          Adventureland
          Il grande spirito
          Poliziotto speciale
          Sully
          Gli uomini della terra selvaggia
          Anime sporche
          The Kid
          Legend
          Il traditore
          Follie di Hollywood
          Due settimane in un’altra città
          Squadra omicidi
          La seconda signora Carroll
          Rocketman
          Il dittatore
          La strada dei quartieri alti
          La terra degli Apaches
          Quanto basta
          Pets – Vita da animali
          Dolor y gloria
          Istinti criminali
          Pets 2 – Vita da animali
          I morti non muoiono
          Milano trema: la polizia vuole giustizia
          I am Mother
          Rapina a Stoccolma
          Un tè con Mussolini
          211 – Rapina in corso
          Bersaglio di notte
          Affari di sangue
          Red Joan
          Torino violenta
          Wrong Turn – Ingranaggio mortale
          Delitti inutili
          Doppia colpa
          Welcome home
          Escape Plan 3 – L’ultima sfida
          Colors – Colori di guerra

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          • Ti chiedo giusto com’è Pet Sematary (e qual è il regista, anche, visto che di solito della roba di King sfornano più film per un solo titolo).
            Lo sto leggendo ora – ebbene sì, mi mancava – e son circa a metà.

            Comunque, quest’anno a Natale niente bagnoschiuma, please, devo diffondere il verbo e ottenere una “bustina” da investire in un abbonamento al cinema, ‘ché non ci vado da troppo tempo.

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            • Pet Sematary è un film inutilmente triste. Va bene attaccare il male di vivere allo spettatore quando è essenziale per lo svolgimento della trama (come in Pelle di serpente ad esempio), ma qua si poteva fare un horror puro, senza alcun bisogno di dargli questo tono depresso e depressivo. Per questo l’ho definito inutilmente triste.
              Riguardo al tuo ritorno al cinema, come ricorderai dal mio ultimo post (che hai già letto e commentato, e te ne ringrazio) adesso è nelle sale un thriller da urlo, Welcome home: se vuoi riabituarti alla magia della sala cinematografica, quello è un ottimo film da cui ripartire! 🙂

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              • Lo vedrò con cautela e Kleenex di fianco, allora! (Ancora un po’ e chi mi legge penserà che ci provo gusto a fiondarmi su tutte le cose che mi vengono descritte come poco promettenti, o strane.
                E’ che quando scatta la curiosità, anche se il punto di partenza è critico, poi chi la scaccia?).

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                • Ti capisco benissimo. Segnalo a Kasabake che un altro film in cui si usa il tema del travestitismo come pretesto per parlare d’altro è Mrs. Doubtfire: in quel caso il vero interesse dello sceneggiatore è denunciare il dramma delle separazioni giudiziali, e soprattutto la discriminazione che subiscono i padri in queste circostanze. Problema ancora irrisolto, purtroppo. Quel film riesce a parlarne con grande delicatezza e riuscendo perfino a divertire, grazie soprattutto ad un Robin Williams allora al top della forma. Non che oggi faccia schifo, ma quant’era bello il cinema negli anni 90! 🙂

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                  • In realtà sto leggendo con grande attenzione, ma anche discrezione, tutto il vostro scambio di battute e sappi che sono assolutamente concorde sulle pellicole che hai segnalato e consigliato… Sul discorso anni ’90 non riesco a pronunciarmi perché temo l’effetto di ridondanza della nostalgia e spesso attenuò apposta i miei giudizi, un po’ come quelle persone che indossando le cuffie alle orecchie abbassano troppo il volume della voce perché, non sentendo la loro voce, temono di fare la figura dei cretino parlando troppo forte!
                    Hai una cultura cinematografica davvero molto vasta sul cinema italiano ed americano, Wwayne!

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                    • In realtà non ci vuole molto a farsi una cultura sul cinema: è un’arte molto giovane, quindi basta passare qualche anno a vedere film a tutto spiano (e magari leggere qualche buon libro sull’argomento) per arrivare a conoscerla in modo quantomeno passabile.
                      Riguardo agli anni 90, li considero il decennio di maggior splendore nella storia del cinema. Se guardo ai decenni precedenti, sul momento mi vengono in mente pochi film definibili come capolavori:

                      – per gli anni 60 Anime sporche e La dolce ala della giovinezza;
                      – per gli anni 70 …. e giustizia per tutti!, Profondo rosso e Sindrome cinese;
                      – per gli anni 80 Il mio piede sinistro e Jimmy Dean, Jimmy Dean.

                      Gli anni 90 invece sono stati strapieni di capolavori e anche di ottimi film, come ha dimostrato la serie di post che https://gramonhill.wordpress.com/ ha dedicato a quel decennio d’oro.
                      Nel citare i capolavori dei vari decenni ho ovviamente evitato di citare i film di John Wayne: quando c’è il Duca di mezzo non sono obiettivo! 🙂

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                    • In effetti potrebbe essere un ambiente adatto a me. Dico potrebbe perché sono una persona profondamente provinciale (vivo in provincia, lavoro in provincia, faccio perfino le vacanze in provincia), e quindi non ho mai avuto l’opportunità di aderire a queste iniziative culturali tipicamente “cittadine”. Forse l’unica eccezione è stata pochi mesi fa, quando sono andato a vedere Amici miei ad una casa del popolo: tuttavia, a parte una breve introduzione della maschera prima della proiezione del film, quell’evento non assomigliava in niente ad un cineforum. Chissà, magari in futuro mi capiterà un’occasione come questa… nel caso, sarai il primo a saperlo! 🙂

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  2. La cosa che in ogni tuo articolo mi sorprende sempre e mi fa capire la tua grande conoscenza è come riesci a passare da un argomento all’altro nonostante questi due all’inizio non sembrino per niente legati. E lo stesso vale qui, sei riuscito a passare da una canzone di Ariana Grande, che parlava in modo superficiale di shopping e oggetti, a Julie Adrews, della sua carriera cinematografica, delle musice che nei suoi film ti hanno colpito sia per la bellezza del testo che nella rappresentazione. Sono stato anche molto felice di come tu abbia citato Victor/Victoria, una delle sue pellicole milgiori che purtroppo in pochi ricordano.
    Un ottimo articolo, non vedo l’ora di leggere la seconda parte!

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    • Sai quanto ti stimi ultimamente e sapere che hai gradito questo mio personalissimo excursus è una grande soddisfazione! Il seguito è ovviamente già scritto, ma pensavo di far passare un paio di settimane prima di pubblicarlo…

      Victor/Victoria è una commedia immensa e non ho resistito ad inserire nel post almeno una clip!

      Cui si vede a breve sul tuo blog, amico!

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  3. Cosa si può commentare ad un post come questo che, per dettagli, approfondimento e analisi ha toccato ogni aspetto possibile? Stupenda analisi che condivido in tutto.
    Non amo personaggi come Ariana o come tanti altri cosi detti “VIP” che fanno ostentazione della loro ricchezza in questo modo, lo trovo di pessimo gusto, dovrebbero considerare che la loro, la maggior parte delle volte, è una fortuna che non dura molto….infatti poi, quando la fortuna inizia a svanire così come i soldi poi vanno in crisi e spesso si ammazzano….
    Sono un pessimo esempio, per tutti ma soprattutto per i più giovani che ne fanno i loro idoli.
    Buona serata 🙂

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    • Ti ringrazio moltissimo per le belle parole che dici sempre nei miei confronti, Silvia! Come avrai notato e come ci siamo detti sempre tra noi bloggers, si scrive per la passione e non per la notorietà, ma quando si incontrano spiriti affini è comunque emozionante!

      Approfitto anche, con un certo imbarazzo, per confessarti che ancora non sono riuscito ad ottemperare alla mia promessa di lettura e non perché l’abbia sostituita con altro, ama solo perché questo periodo estivo è stato paradossalmente per me molto (piacevolemente) impegnativo, tra le rassegne cinematografiche bolognesi ed altre varie attività: ti chiedo scusa, perciò, per la mia lentezza, ma manterrò quanto detto!

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  4. In questi giorni sto leggendo (con un po’ di fatica, lo ammetto) l’ultima raccolta di racconti edita da Claudio Magris, autore italiano poco note (forse) ma di grande talento. Il libro porta un titolo fuorviante, Tempo curvo a Krems, che sembra si un episodio di qualche fortunata serie tv di taglio sci-fi. In realtà il significato è ben altro e può essere riassunto alludendo alla percezione e alla valutazione sempre diverse che il tempo assume nella terza età, quando inevitabilmente ci si volta a guardare il passato, cogliendo tratti e colori prima invisibili, perchè il tempo curva, per l’appunto.
    Questa assunzione quasi metafisica della relatività temporale si declina perfettamente nel caso in questione, ossia nel momento in cui lessi per la prima volta questo mirabolante articolo. Avevo anche iniziato a un commento, poi spentosi per improvvise incombenze e quindi eccomi qui, dopo dotte discussioni in cui professori di ruolo come wayne e professori di fatto come te, hanno già sviscerato con grande profondità alcune delle tematiche da te proposte in questo articolo.

    Prima di chiudere, voglio soffermarmi su un personaggio cui hai dato molto spazio in questo post, ossia Julie Andrews. Ricordo ancora che quand’ero bambino (anni 80) RaiUno promuoveva frequentemente quelli che io chamavo i “cicly disney”, ossia per molte settimane venivano proposti film targati disney per tutta la famiglia. Ricordo ancora e con profondo piacere moltissimi di quelle opere: le varie versioni del Maggiolino tutto matto, Tutto accadde un venerdì (1976), I figli del capitano Grant (1962), F.B.I. – Operazione gatto (1965), Un papero da un milione di dollari (1971), Pomi d’ottone e manici di scopa (1971), e qualche altro di cui sicuramente non ricordo il titolo. Ma su tutti, ovviamente svettava Mary Poppins, il film per eccellenza dell’infanzia di chiunque sia nato nel secolo scorso. La cosa assurda è che, allora come oggi, io disprezzi i musical tranne appunto Mary Poppins, di cui Julie Andrews è l’icona unica e sola (con tutto il rispetto per Emily Blunt).
    Ebbene, pensavo che la mia idiosincrasia per i musical fosse ormai senza recupero e che mai avrei visto un altro musical di mio gradimento finchè, la scorsa estate, non mi imbattei nella pomeridiana trasmissione televisiva su La7 proprio di Tutti insieme appassionamente.
    Mi capita di rado, perchè ormai non guardo più la tv intesa come trasmissione di onde ricevute da un’antenna, ma solo come proiezione di ciò che è salvato sul mio hdd, ma devo ammettere che ha un fascino irripetibile imbattersi per caso in un film e scoprire, fotogramma dopo fotogramma, quanto sia bello. Un po’ quando esci per berti una birra e stare per i fatti tuoi e poi ti ritrovi a fare amicizia col vicino di posto al bancone del bar, che nemmeno sai come si chiama però ti ci diverti alla grande.
    E mentre guardavo Julie Andrews, ero quasi sempre a bocca aperta ma, a differenza di quanto molti di voi staranno pensando, non per la sua impagabile bellezza, bensì per la messinscena di un talento assolutamente fuori dal comune. La compostezza e la compiutezza di ogni suo singolo gesto ha i carattere dell’essenzialità: ha tutto quel che deve avere, niente di più e niente di meno. Questa cosa mi ha sempre sconvolto, anche adesso che tu hai riportato alla mia memoria questo pezzo incredibile di cinema.

    Ora però sono veramente arrivati i momenti dei saluti. Ma prima c’è una cosa che mi preme dirti. Mentre leggevo questo tuo mirabile post e mi perdevo beato tra i vari passaggi e declinazioni della narrazione, non facevo altro che pensare a uno dei libri che in assoluto preferisco, le Lezioni Americane di Italo Calvino. Non solo perchè, come i gradi di separazione di questo post, sono 6 (lo so che sul libro sono 5 ma anche i sassi sanno che in realtà sarebbero dovute essere 6), ma perchè proprio come quelle mirabili pagine scritte dall’immenso letterato italiano riesce a tradurre in significanze e significati la rete di interconnesse riflessione che fotogravano i pensieri umani mentre vagano tra alcuni concetti cercando spesso invano (ma non in questo caso specifico, sia chiaro) di trovare durature correlazioni.
    Insomma, mi trovo dinanzi all’ennesimo regalo di cui mi hai fatto dono e che ha arricchito il mio intelletto più di tante altre cose viste e lette nelle ultime settimane.
    Quindi grazie, sentitamente grazie!!!!!

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    • Magris è un nome enorme, triestino di nascita e di elezione politica, vero intellettuale di sinistra ed uomo intelligente e come tale, una volta eletto dai suoi triestini, non davvero militante nel PD (la qual cosa sarebbe stata in contraddizione con le affermazioni precedenti sulla sua intelligenza), scrittore che per tutti questi motivi (compresi i miei antenati friulani e trentini) mi è vicino ed anche da me assai appezzato, malgrado poi alla fine abbia letto di suo davvero poco (Danubio e Microcosmi)…

      Calvino, poi… Ne abbiamo già discusso in passato, proprio della genialità di questo scrittore e persino della bellezza delle sue Lezioni Americane…

      Perciò i tuoi accostamenti con essi sono motivo di smisurato orgoglio per me!!

      Che dire dei tuoi complimenti, quindi, se non che sono a doverti ringraziare, sul serio e preferisco per l’imbarazzo cambiare subito discorso, buttandomi sulla Andrews e chiederti due cose:

      1. Hai visto Victor/Victoria? Se si, cosa ne pensi… Se no, rimedia!

      2. Quanto era grande anche come regina vicino alla Hathaway?

      Buon weekend…

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      • Ma sai che non ho visto nè l’uno nè l’altro?
        Il primo ci può anche stare: è un film datato, è un musical (li aborro, ricordi?) e prima di leggere il tuo post non sapevo che la protagonista fosse la Andrews.
        Il secondo invece no, giacchè la Hathaway è una delle mie preferite, come ben sai. Negli anni però ho sviluppato una sorta di ritrosia verso le sue performance più giovanili a carattere favolistico legati ai personaggi di Mia Thermopolis e Ella. Per fortuna vennero subito Havoc , I segreti di Brokeback Mountain e Il Diavolo veste Prada che la sdoganarono dalla nicchia in cui rischiava di rimanere incastrata.
        Tuttavia a questo punto scatta l’operazione recupero per in entrambi i film che hai citato, noblesse oblige!
        E buon weekend anche a te.

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        • Ne rimarrai assolutamente soddisfatto, te lo posso garantire ed inoltre sono visioni da fare in modo “coniugale” con la Sig.ra Jarvis, che rispettosamente saluto: su Victor/Victoria riderete di cuore e sorriderete per l’impostazione classica delle scene, con interpreti d’eccellenza che lasciano un sapore corposo in bocca; sulle altre due pellicole leggerissime, invece, sorriderete bonariamente per i character pieni di clichè e per la classe delle due interpreti femminili (d’altronde entrambi i “The Princess Diaries” sono diretti da un maestro della commedia come Garry “Pretty Woman” Marshall e lo stile è il medesimo).
          Buona Domenica a te e famiglia

          P.S. Ieri notte, Piazza Maggiore a Bologna si è rimepita delle note di Zimmer e delle immagini gigantesche di Nolan per la proiezione pubblica e gratuita di Interstellar… L’enormità della visione, la pizza stracolma, la musica assordante e le immagini ipnotiche mi hanno scombussolato il cuore, ancora una volta, facendomi perdere nel ricordo del film che ci fece conoscere su WordPress.

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            • Scherzi? Collaboro con orgoglio (anche se con ruoli di bassa manovalanza) con le iniziative della Cineteca Comunale ed iniziative così ce ne sono tutto l’anno… In particolare il vero fiore all’occhiello sono proprio le rassegne estive, quando in piazza Maggiore viene allestito il maxischermo all’aperto più grande d’Europa dove vengono proiettate tutte le sere di Giugno e Luglio dalle 21:45 fino al termine della proiezione, grandi classici della storia del cinema restaurati dal Comune di Bologna (spesso con soldi provenienti da privati appassionati, come Martin Scorsese e Francis Ford Coppola) e film recenti…
              Il vero plus sono le presenze degli autori, come nel caso di Coppola che ha presenziato alla proiezione dell’ultima release Redux del suo Apocalypse Now…

              Anche se il sito fa davvero schifo, ti incollo il link della pagina relativa, da dove si può scaricare anche il PDF del programma…

              Buona domenica!

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              • Bene, ho visto il programma.
                Le tre cose per me più papabili (Via col vento, Drive e Gabin) sono già andate, ma nel frattempo c’è un’ulteriore possibilità che incroci la mia orbita col pianeta Gnocco Fritto (lo so, dovrei fare attenzione alle zone di provenienza ed alle relative cibarie o rischio di scatenare un caso diplomatico, ma abbi pazienza) nei prossimi mesi – tanto non sono così ardita da raggiungere Bologna per una rassegna, anche se favolosa: sarebbe in fondo solo una scusa.
                Ma se alla fine plano da quelle parti, permettimi di avvisarti.

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                • Certamente, ma debbo avvisarti di due cose: la prima è che in genere non incontro mai le persone che conosco su WordPress ed in genere inventò scuse rocambolesche per non farlo, la seconda è che a Bologna ti accuserebbero di gravissima blasfemia se chiedessi dsllo gnocco fritto, che è solo modenese, mentre a Bologna si chiama crescentina!

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          • Stavo già per risponderti con il cipiglio vagamente saccente che assume Sherlock Holmes quando Watson afferma qualcosa di scorretto, o almeno tale solo per una mente eccelsa come quella di Holmes, perchè ero fermamente convinto che il nostro primissimo scambio di battute risalisse non al film Interstellar, bensì all’articolo che tu dedicasti alle innumerevoli trasposizione cinematografiche proprio di Sherlock Holmes (articolo che, ci tengo a ricordarlo ogni volta che ne ho l’opportunità, considero ad aggi il pezzo più interessante e intelligente pubblicato nella piattaforma WordPress in questo secolo, questo il link https://kasabake.wordpress.com/2015/01/02/mr-holmes-tradurre-tradire-ricreare/ )

            Mi sarei sbagliato e avrei fatto la figura del fesso, sarei stato un po’ come lo Sherlock Holmes farlocco e tontolone di Michael Caine in SENZA INDIZIO, perchè avevi ragione tu, il nostro primo scambio di battute risale proprio al tuo post di Interstellar e solo in seguito venne Holmes.
            Probabilmente la passione comune per il detective figlio della penna di Conan Doyle ha distorto la realtà fino a piegarla in una sfumatura non vera ma più romantica, se mi passi il termine.

            Detto ciò, doverosa quanto inutile premessa, non posso che rosicare un po’ per l’opportunità che hai avuto l’altra sera, ovverosia di gustare un capolavoro (perchè Interstallar non può essere definito altrimenti) in un contesto così suggestivo come Piazza Maggiore.
            E’ in rarissimi casi come questi che rimpiango che vive in una grande città, perchè la ricchezza culturale di cui si gode in provincia, dove abito io, non è minimamente paragonabile a quella di città nobili e sempre in continuo fermento intellettuale come Bologna (o Firenze, o Torino, o Milano, o Verona, insomma, scegli tu 😀 )

            Leviamo i calici a Nolan, dunque, sperando che il suo prossimo lungometraggio (Tenet, https://www.imdb.com/title/tt6723592/?ref_=nm_flmg_wr_2 ) veda la luce quanto prima.

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        • Caro Kasabake, non ci crederai ma anche io e Lapinsù ci siamo conosciuti grazie a un film di Nolan. 7 anni fa lui pubblicò un post sui migliori film del 2012: avendo incluso “Il cavaliere oscuro – Il ritorno” nella classifica, mise “Batman” tra le tag dell’articolo. Io sono un follower di quella tag, quindi ogni volta che qualcuno la inserisce in un post WordPress mi manda una notifica: così avvenne anche con il post di Lapinsù, e da allora è partita una splendida amicizia virtuale che dura tuttora. Nel frattempo lui è diventato padre, io sono diventato professore, ci siamo consigliati decine di film (restandone quasi sempre soddisfatti), lui mi ha fatto scoprire Bruce Springsteen (Tucson Train è un CAPOLAVORO)… insomma, si potrebbe scrivere un libro sull’amicizia tra me e Lapinsù, e ovviamente il capitolo più corposo sarebbe su di te, che hai stretto un rapporto bellissimo con entrambi! 🙂
          Ti lascio il link dell’articolo da cui è partito tutto, con il primo storico scambio di battute tra me e Lapinsù nei commenti: https://lapinsu.wordpress.com/2012/12/24/top-film-2012/

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          • Si tratta di un piacevolissimo amarcord e, chissà, magari quel post un giorno sarà lo spunto per la sceneggiatura del buddy-movie che gireranno sulla nostra amicizia. Ovviamente la protagonista femminile sarà una bonazza supertettona che dopo averci illuso con le sue curve, darà un bel due di picche ad entrambi 😀

            Detto ciò, il tuo commento mi ha instillato un dubbio tremendo.
            Ho usato il termine inglese “TAG” come fosse una parola di genere maschile. Tu invece, per ben due volte, l’hai declinato al femminile. Il dubbio quindi mi assale!!! L’avesse scritto chiunque altro, avrei pensato ad un refuso, ma dato che in oltre 7 anni di frequentazione su wordpress non ho mai visto un tuo errore ortografico (e il mai non è un’esagerazione, ma la pura realtà), va da sè che la scelta del femminile sia voluta.
            Quindi TAG è una parola femminile? O almeno con questo genere è stata assimilata dalla lingua italiana.
            Chiedo il supporto tuo e anche del padrone di casa, perchè l’anima accademica della cruca che mi ritrovo è in totale fibrillazione!!!!

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            • Stando al vocabolario Treccani è ammessa la coniugazione sia al maschile che al femminile. Io preferisco quest’ultima, perché in inglese tag sta ad indicare anche la firma che i graffitari appongono a margine dei loro murales: dato che firma in italiano è femminile, mi sembra logico coniugare allo stesso modo anche la parola tag.
              Dalla tua replica a Kasabake apprendo che già l’anno prossimo vedremo un nuovo film di Nolan. Imdb lo presenta come un film di spionaggio: in effetti le trame intricate tipiche di questo genere ben si sposano con il cinema cervellotico di Nolan, quindi era solo questione di tempo prima che lui si cimentasse in un film di questo tipo.
              Noto che il protagonista sarà Robert Pattinson: era caduto in disgrazia dopo la fine della saga di Twilight, e ora nel giro di pochissimo è stato scritturato per ben 2 film importanti, questo e Batman. O ha cambiato agente, oppure è semplicemente la ruota della fortuna che ha ricominciato a girare.
              Tornando ad imdb, ho guardato i tuoi ultimi voti, e ho visto che Padre è piaciuto anche a te: non avevo dubbi che l’avresti apprezzato, e ti ringrazio per aver seguito il mio consiglio! 🙂

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              • Padre è stata una lietissima sorpresa: un film arcigno e polveroso, come il messico rurale dove è ambientato, che va capito per essere apprezzato. E poi tutte le imterpretazioni sono ottime: Roth e Nolte, ma anche Guzman e la ragazzina messicana. Sempre in bilico tra l’ironia e il dramma, senza mai pendere veramente per l’uno o per l’altra.
                Ti consiglio anche l’ultimissimo film visto stamane, La vita in un attimo (titolo originale Life Itself). In alcuni tratti è un po’ cervellotico, però è ben strutturato.E poi c’è Oscar Isaac, attore amatissimo da entrambi.

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                • Ce l’ho in watchlist da tempo, ma non mi sono mai deciso a vederlo. In realtà l’avevo messo nel mirino non per Oscar Isaac, ma per Olivia Wilde. Tra l’altro il 22 Agosto esce nei cinema italiani il suo primo film da regista: dal titolo (La rivincita delle sfigate) sembra la classica commedia demenziale americana, quindi con uno sconosciuto alla regia lo avrei saltato a piè pari, ma dato che la regista mi ha fatto rifare gli occhi più e più volte non posso esimermi dal regalarle 7 miseri euro di biglietto, anzi glielo devo.
                  Una settimana dopo uscirà un film su un ragazzo la cui passione per Bruce Springsteen è così profonda da indurlo a fare un pellegrinaggio in New Jersey per vedere i luoghi in cui è cresciuto il suo idolo: il film in questione è Blinded by the light, e davvero non potevo non segnalartelo.
                  Già che ci sono ti segnalo anche che su Internet gira già una versione in HD di Welcome home: lì la Ratajkowski non si spoglia con la stessa generosità dimostrata ne L’amore bugiardo, ma è comunque una cosa spettacolare, te l’assicuro! 🙂

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                  • Olivia Wilde ha assunto una bellezza un po’ troppo spigolosa per i miei gusti, resta comunque una passera formidabile e con quegli occhi potrebbe fare quel che vuole, quindi hai pienamente ragione nel dare una chance al suo film. Che poi sta diventando una moda: tantissimi attori vanno ora dietro la macchina da presa, alcuni con risultati ottimi altri pessimi. Alla fine molto dipenderà dalla sceneggiatura, come sempre quando il regista è alle prime armi.

                    Riguardo Blinded By The Light è ovviamente nel mio mirino da tempo. Il trailer è spassosissimo e si tratta di un film imperdibile per qualunque fan del boss. Per altro sembra sia stato accolto molto tiepidamente dalla critica, ma questo non mina in alcun modo il mio desiderio di vederlo. Tra l’altro il film è finito sotto l’egida ufficiale del Boss, giacchè nel disco con la colonna sonora del film sono state inserite due versioni live inedite di canzoni di Sprignsteen (su youtube già ci sono i video d’annata delle registrazioni).
                    Insomma, nonostante ci sia il forte rischio che si tratti di un’operazione ad uso e consumo dei fan, sono comunque molto curioso.

                    Riguardo la ratapasserosky, corro subito a cercare suddetti video. Ovviamente per mero interesse cinematografico perchè, come ben sai tu e l’anfitrione nel cui blog siamo ospitati adesso, giammai mi accosterei ad un film solo per mirare le grazie della protagonista.

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            • Quesito affascinante che però ha solo una risposta aperta: in grammatica italiana il maschile è il cosiddetto genere di assegnazione automatica ai sostantivi “non marcati” ovvero a quei nomi che non hanno storicamente o linguisticamente un genere proprio, come gli anglismi e tutti i prestiti da lingue estere… Tuttavia è buona norma in italiano, anche secondo l’Accademia della Crusca (che da sempre è non solo d della tradizione, ma anche attenta osservatrice del normale evolversi della lingua), attribuire il genere in base a quello del corrispettivo italiano del termine straniero: perciò “tag” in quanto primariamente “etichetta o marcatura” si declina molto più correttamente come LA TAG, al femminile, come ha detto Wwyane.

              Questo, sia chiaro, non determina come errore una declinazione al maschile: nessuno può correggerlo ma tutt’al più indicarlo come preferibile al femminile.

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            • Stallone è tornato al centro della scena, e quindi il risultato è stato dignitoso. O meglio, dignitoso se riesci a non fare il confronto con il primo Escape Plan.
              Riguardo ai film visti per la sola presenza della protagonista, in questo io sono peggio di te. Tu magari guardi un film per quel motivo, ma conservi un minimo di obiettività e quindi se fa cagare te ne accorgi; io invece appena vedo la mia beniamina sullo schermo divento totalmente incapace di intendere e di volere, e mi faccio piacere anche le puttanate più colossali. Non è questo il caso di Welcome home, comunque: sul finale ha delle trovate di sceneggiatura che avrei definito geniali anche se al posto della Ratajkowski ci fosse stata un’attrice normale. Non ti dico altro per non rischiare uno spoiler: mi limito ad augurarti buona visione! 🙂

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  5. Delizioso post e deliziosi commenti.
    Ieri avevo scritto tutto un commento su questo articolo, un sacco di bla bla, ma poi la connessione mobile se ne è andata… segno del destino. E allora il commento? Potevo salvarlo, ma l’ho riletto, e l’ho lasciato andare al suo destino.

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  6. Pingback: Liste .1: (Musica) In memoriam – Le cose minime

  7. Mia madre che di norma non azzecca un’accoppiata brano/artista quando ha sentito di sfuggita il brano della Grande ha subito nominato Tutti insieme appassionatamente, questo tanto per farti capire quante volte lo abbiamo visto. E per farti capire che per me quello che ha combinato è stato davvero un sacrilegio.
    Per il resto niente da dire se non tantissimi complimenti per l’articolo che come al solito è esaustivo ed impeccabile. 😊
    Mchan

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    • Che bello il racconto di tua madre che ha colto al volo il richiamo all’originale cantato dalla Andrews!!!
      Mi hai fatto morire…
      Sulla “nullità” del brano della Grande, direi che concordiamo pienamente…
      Mchan, sei sempre molto gentile con me, che quando mi impegno so essere veramente verboso!!!

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  8. Pingback: Carnet (Agosto 2019) – Le cose minime

  9. Con il mio tempismo arrivo persino in ritardo sull’ultima uscita di Ariana Grande … ma per imparare c’è sempre tempo, o no?
    Credo che difficilmente da sola mi sarei mai soffermata su questa apologia dei sette anelli, nonostante io sia anche molto per il caro vecchio “girls just want to have fun.”
    PIù che gradi di separazione, io ho trovato millemila punti di contatto o incroci con cose che piacciono a me, discorsi che mi interessano e personaggi che ammiro.
    Colazione da Tiffany chettelodicoafare, Julie Andrews inarrivabile, di Mary Poppins invidierei lo shopping, piuttosto che la versione wild di Ariana & friends, io punterei sulla borsa di Mary: la sogno da sempre!
    Scherzi a parte, a me piace anche Bruce Willis, ho un po’ faticato con “il giustiziere” che non è il giustiziere, e sono invece fan di appuntamento al buio, forse perchè è uno dei primissimi film che sono riuscita a vedere in lingua originale con una videocassetta della collana English movie collection, robe da paleozoico.
    Ad ogni modo, in tutto ciò, il punto fermo è che Blake Edwards è un genio.

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        • Grande citazione da Hollywood Party… Anche se non conosco la versione in lingua originale… Chissà se dice davvero così, lo spero…
          Ogni tanto scopro cose che mi cambiano la percezione di quanto ripetevo in pubblico: ad esempio il fatto che Eddie Murphy NON abbia mai avuto la risata che tutti noi conosciamo in Italia, perché se l’era inventata di sana pianta Tonino Accolla, il suo doppiatore italiano oggi defunto (che quindi non sarà presente nel remake e le nuove generazioni non conosceranno mai la risata fake di Eddie Murphy) oppure che il personaggio della mamma di Bubba, quando Forrest Gump la va a trovare dopo la guerra, NON prouncia assolutamente la parola “Vangelo” come sentenza per la correttezza delle parole di Forest “Scemo è chi scemo lo fa” (che invece è davvero la traduzuione letterale di un vecchio proverbio statunitense “Stupid is as stupid does”)…
          Insomma, molto spesso l’originale è così diverso che ti fa capire molto del mondo…
          Se riesco a fare in tempo prima di andare a lavorare in Fiera a Carrara, domani posto una recensione di un capolavoro dell’animazione giapponese presente anche su Netflix che tu dovresti assolutamente vedere!!
          Buon week-end

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          • Eh hai ragione! Quasi sicuramente la versione originale è diversa. In effetti a volte quando cerco di tradurre mi perdo nei meandri delle differenze delle versioni nostrane.
            Se dico che non ho mai sopportato la risata di Eddie Murphy sono una brutta persona?
            Fiera a Carrara? Cosa di bello?
            Spero che tu sia riuscito a scrivere!
            GRAZIE e buon week end anche a te!

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            • La fiera di Carrara è il famoso “Gamics”, dedicato ai videogiochi e ai fumetti, organizzate dalla stessa persona (la fantastica Teresa Bortolani! Appassionata di anime e manga e imprenditrice illuminata) a cui si devono tutte le fiere di settore più belle del momento, come ad esempio il Nerd Show di Bologna e Modena o il Comofun o altre in giro per l’Italia: tantissimi stand e tanto spazio per ì cosplayer, inoltre concerti di voci storiche delle televisive italiane. Cristina Ravenna e Giorgio Vanni…
              No, non sei assolutamente una brutta persona se dici che non ti piaceva la risata artefatta che è stata appioppata a Murphy… la penso come te!

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