Eroe ed Onore nel Cinema Americano e Giapponese – Capitolo 2: Picard, King Arthur ed Heidegger

Jean-Luc-Picard-and-DathonLa sera del 30 settembre del 1991, nel corso del secondo episodio della quinta stagione (il 102esimo in ordine progressivo) di “Star Trek: The Next Generation” (la più bella e completa delle 6 serie televisive del longevo franchise, contando anche quella animata degli anni 1973 e 1974), l’equipaggio dell’astronave stellare Enterprise s’imbattè nella popolazione aliena dei Tamarians, con cui la Federazione Terrestre non era mai riuscita a comunicare, malgrado i potentissimi traduttori universali, da tempo in dotazione ai loro esploratori.

Jean-Luc-Picard-and-Dathon-02In particolare, a vedersela in un pianeta pieno di pericoli, faccia a faccia con un tamarian di nome Dathon, fu proprio il comandante dell’equipaggio terrestre Jean Luc Picard, senza ombra di dubbio il migliore e più carismatico di tutti i comandanti succedutisi in quel ruolo, anche grazie alla robusta e partecipe interpretazione dell’attore britannico, di ascendenza teatrale, Patrick Stewart, indimenticato Gurney Halleck nel “Dune” di Lynch e divenuto poi popolarissimo per via della sua interpretazione del professor Charles Xavier, nella saga degli “X-Men” di Synger.

Patrick-StewartAnche gli uomini dell’equipaggio dell’Enterprise quindi, spinti in questo caso dall’urgenza di riuscire a far comunicare fra loro i due dispersi sul pianeta, si cimentarono nell’impresa di analizzare quella stranissima lingua, apparentemente simile come struttura a quella terrestre, ma con un meccanismo segreto che ne impediva la comprensione.

Ciò che all’ultimo momento verrà scoperto dai terrestri fu che la lingua tamarian risultava composta interamente da metafore, basate sulla mitologia e sui racconti epici del loro popolo: i concetti, le emozioni, le situazioni e persino le giuste soluzioni da prendere in momenti di crisi, tutte le comunicazioni più importanti dei tamarian avvenivano, insomma, esclusivamente usando segmenti narrativi o momenti topici di storie leggendarie, che venivano tramandate da generazioni, sia in forma orale che scritta.

Excalibur-di-Boorman-01Per interloquire con i tamarians, il comandante Picard (anche aiutandosi, ovviamente, con i traduttori elettronici per la giusta translitterazione delle frasi) decise di provare dunque a comunicare con Dathon usando metafore letterarie attinte, a sua volta, dai grandi racconti epici e mitologici terrestri, dall’Iliade all’Odissea, passando anche per i racconti di Re Artù ed i Cavalieri della Tavola Rotonda: in questo modo, Picard riuscì a comunicare all’alieno i suoi stati d’animo, il senso di pericolo comune e persino le soluzioni possibili, da applicare in cooperazione, per sfuggire alle minacce del pianeta ostile in cui erano bloccati.

L’ideazione di questo particolare tipo di linguaggio e gli esempi dello stesso usati durante l’episodio, furono tutti frutto della mente geniale dello scrittore e produttore Joe Menosky, l’uomo a cui si deve anche la nascita e la diffusione del topos del numero 47, inteso come soluzione scherzosa per tutti i problemi matematici e da non confondere assolutamente con il numero 42, che invece, secondo Douglas Adams, autore del mitico “The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy”, è la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto il resto.

Star-Trek-of-JJ-AbramsDivenuto con il tempo cifra esoterica per tutti gli scrittori delle serie televisive di Star Trek, il gioco del numero 47 fu ripreso persino da JJ Abrams, che lo fece comparire in vari momenti cruciali, sia della sua fiction “Fringe”, sia dei reboot cinematografici del franchise che fu chiamato a produrre e dirigere.

Durante la puntata di “Next Generation” di cui abbiamo parlato sopra, diverse frasi vengono pronunciate dal personaggio di Dathon in lingua tamarian ed i trekker di tutto il mondo le hanno collezionate una ad una, per i posteri ad imperitura memoria, ma di certo la più famosa, divenuta persino idiomatica nel web, è senza ombra dubbio la seguente: “Shaka, when the walls fell… (Shaka, quando caddero le mura)”, metafora usata nella fiction per indicare un senso di fallimento o anche l’incapacità reciproca a comprendersi.

2001-a-space-odisseyCon quel gioco di specchi rivelatori (in cui la società mostra nel suo riflesso un mondo verosimile, frutto di speculazioni esenti dal sovrannaturale) che è sempre stato l’ossatura della buona fantascienza (dall’epoca avventurosa di HG Wells e Verne, passando per quella hard e matematica dei vari Asimov, Heinlein, Clarke, Bradbury, Lem e compagnia bella, fino a quella decadente e più problematica dei Dick e dei Gibson), la mitologia entra prepotentemente nella fiction televisiva e nel cinema con tutta la sua valenza di significanze, perché il figlio riconosce il padre e gli rende onore.

Vale la pena di ricordare, infatti, che in occidente il concetto stesso di film, inteso come racconto o romanzo ad immagini in movimento, prende origine in modo netto dalle storie raccontate nei romanzi a puntate e nelle riviste di genere pulp statunitensi, non a caso quasi tutti ambientati sulla frontiera Ovest degli USA.

Western-Pulp-MagazinesIl cinema nacque dunque come invenzione tecnica e diventò poi strumento (medium) per narrare storie, come avvenne per la radio e per la Tv: se questo concetto è chiaro, tutto il resto avviene per emanazione.

three-point-lighting---CasablancaL’origine popolare della sintassi narrativa filmica (perciò, per caduta, anche televisiva) determinò anche lo schema di illuminazione a tre punti dello spazio (rendendo più “reale” il luogo antistante la macchina da presa, che non era più un palco teatrale e quindi quasi bi-dimensionale), il montaggio di continuità e la narrazione focalizzata su specifici personaggi (intenti a superare ostacoli): individualizzando la narrazione sui personaggi, veniva appunto lasciata la descrizione della società sullo sfondo e da qui nascerà poi la grande differenza tra il cinema tradizionale americano e quello europeo, anche attraverso un diverso uso delle inquadrature, l’arrivo dei campi lunghi e la profondità di campo, ma questa è un’altra storia.

Excalibur-di-Boorman-02A loro volta, quelle storie pulp della letteratura popolare prendevano spunto, abbassandone ovviamente il codice linguistico, dai racconti epici europei, ossia quelli del Ciclo Bretone e del Ciclo Arturiano (compilazioni di amori, magie ed avventure nate intorno al XII secolo in Francia ed in Britannia, dove la “Chanson de Roland” diviene la storia Artù, Merlino, la fata Morgana, la spada Excalibur ed il tema del Sacro Graal): da quelle storie nacque, infatti, l’idea primigenia di cavaliere errante (Orlando/Roland e Lancillotto/Lancelot fra tutti), che poi attraverso il pulp letterario statunitense diventarono ad Hollywood il pistolero solitario, di passaggio nelle cittadine del selvaggio west e persino lo sceriffo federale, il Marshall, che arrivava per sistemare le questioni irrisolte e financo i soprusi di qualche banda di malfattori (capi-tribù) che tenevano in scacco una città o un popolazione.

Ulysses

Considerando, infine, che i tratti dell’eroe (coraggio, giustizia, prudenza, ragionamento pratico), presenti nei racconti epici europei, traevano forza e significanza direttamente dall’epica greca di Omero, otteniamo infine il filo conduttore della tipologia dell’eroe che, dai primi esempi letterari, infusi di virtù aristoteliche, giunge fino al cinema di genere western e da questi al genere bellico ed action (crime, thriller, noir).
Una bella rincorsa, non c’è che dire, da lasciare senza fiato!

Tutte le varie sotto-tipologie di eroismo che conosciamo oggi, partendo da quell’archetipo iniziale del cowboy western, si sprigioneranno con il tempo nel cinema americano, compresa quella tanto di modo oggi dell’eroe “esistenziale”, nato dopo che autori importanti lo hanno sdoganato anche nel cinema mainstream.

A-History-of-ViolencePenso ad esempio a David Cronenberg, ma non a quello dei suoi primissimi capolavori, tutti incentrati sulle mutazioni fisiche del corpo, ma a quello contemporaneo delle mutazioni dell’anima e agli eroi dei suoi “A History of Violence” (seconda grandiosa incursione del cinema americano nella collana di fumetti della Paradox/DC Vertigo, da cui era già stato tratto da Sam Mendes “Road to Perdition”), “Eastern Promises” (specie di esperimento di laboratorio sociale, in cui Cronenberg, più che raccontarci una storia, sembra voler verificare come si comportano dei character, blindati in uno stile ed in un ambiente chiuso come quello mafioso, all’arrivo di un nuovo elemento) o del recente “Maps to the Stars” (splendida versione di “Sunset Boulevard – Viale del Tramonto” al vetriolo, inacidito, deviante ed infinitamente più caustico).

The-Dying-of-the-LightStesso discorso vale per il personaggio interpretato da Nicholas Cage nell’ultima fatica del grande Paul Schrader, quel “The Dying of the Light” con una storia ed un character dalla tipica e riconoscibilissima impronta del nostro regista, ma talmente massacrata dai produttori, sia durante che dopo le riprese, da essere persino disconosciuta dallo stesso Schrader: una pellicola terribile, che immagino fosse probabilmente sbagliata anche nella sua stessa essenza e che si fatica a seguire fino alla fine, lasciando incredulo lo spettatore a pensare che ciò che ha visto sia un film scritto dalla stessa persona che nel 1980 ha saputo disegnare l’autodistruzione di un uomo con infinita maestria, in “Raging Bull” di Martin Scorsese.

BlackhatDella stessa categoria, infine, fa parte anche l’emblematica figura dell’hacker Nicholas Hathaway, interpretato da Chris Hemsworth in “Blackhat” di Michael Mann, film esageratamente sottovalutato e disprezzato, ma che, pur non raggiungendo gli apici stellari raggiunti  con “Collateral”, resta forse il miglior film di specifico genere cyber-crime degli ultimi anni, stilisticamente troppo evoluto per essere accettato dal pubblico e dalla critica statunitensi e pertanto accolto come un flop.

Le-deuxieme-souffleI protagonisti dei film appena citati, nei loro alti e bassi, sono tutti eroi che sembrano voler superare il nichilismo del noir classico (come quelli dell’indiscusso maestro francese Jean-Pierre Melville, il cui bellissimo “Le deuxième souffle – Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide” ha ispirato in modo esplicito il capolavoro di Mann “Heat – La sfida”) per esprimere l’essenza stessa dell’esistenzialismo Heideggeriano, trascendendo la futilità della vita e vincendo ogni superficialità con l’onestà, il coraggio ed il senso di responsabilità, in una lotta convinta per la libertà individuale.

The-GunmanQuando a suo tempo lessi le parole del critico statunitense Rowan Righelato che, a proposito dello scadente film “The Gunman” di Pierre Morel, disse che Sean Penn si muoveva nel film “[…] It’s almost as if Jean-Paul Sartre himself appeared on screen toting a 44 Magnum (E ‘quasi come se Jean-Paul Sartre stesso apparisse sullo schermo armato di una 44 Magnum) […], risi di gusto, perché, pur con la solita esagerazione dei giornalisti nord americani, era stato sintetizzato ciò che anch’io avevo sempre pensato ed ossia che le tipologie di eroe nel cinema USA si muovono per mode e per gruppi, in modo che ci sia sempre un campione adatto ad ogni pubblico, come un canale via cavo dedicato o un network streaming per ogni esigenza: sei un adolescente o un adulto comunque legato a gusti ed emozioni molto “teen”? Allora ti propino degli eroi in stile CW (Smallville, Supernatural, Arrow, The 100, The Flash, iZombie, etc.), ma se invece sei scolarizzato o acculturato ad un livello più alto, allora il tuo eroe sarà più scazzato, cinico ed ovviamente più politically uncorrect (Daredevil, Jessica Jones, etc.), ma sarà sempre un individuo solitario, contro tutto e tutti, sempre in grado di fare la cosa giusta al momento giusto, avendo però compiuto prima un percorso pieno di errori, di cui infine deve espiarne la colpa, attraverso il gesto eroico finale (con o senza happy-end).

The-100Lungi da me la volontà di demonizzare il mainstream, tutt’altro, perché, come dice la mission del mio blog, io “sguazzo” in esso, ma è pur sempre essenziale mantenere ferma la bussola durante la navigazione e la visione di un film o una fiction, così da essere in grado di apprezzare una bellissima prova recitativa o un grande script o una splendida messa in scena, anche quando tutto questo è al servizio di una semplice operazione di marketing: infatti, sottolineare semplicemente il bello ed il puro è filosoficamente tautologico e rischia di essere autoreferenziante, mentre la ricerca delle perle nascoste nel divertissement costruito ad arte è molto più appagante, ma sempre restando in grado di reificare ciò che si vede, senza mitizzarlo.

KagemushaAnche per questo secondo capitolo del nostro viaggio abbiamo finito: grazie al lavoro di consolidamento concettuale che abbiamo fatto sui miti e sull’archetipo dell’eroe nel cinema occidentale americano, possiamo finalmente volgere il nostro sguardo ad Oriente ed è esattamente quello che faremo nel prossimo capitolo, partendo dal Codice Bushido dei Samurai e nel confronto con il cowboy statunitense e, neanche a dirlo, sarà anche il turno di Akira Kurosawa.


In questo post abbiamo parlato di:

Le deuxième soufflé”, FRA, 1966
Scritto da Jean-Pierre Melville e José Giovanni
Diretto da Jean-Pierre Melville, interpretato da Lino Ventura e Paul Meurisse

Star Trek: The Next Generation”, USA, 1987-1994, 7 Stagioni e 176 episodi
Creata da Gene Roddenberry, con Patrick Stewart, Jonathan Frakes, LeVar Burton,
Gates McFadden, Marina Sirtis, Brent Spiner, Wil Wheaton

A History of Violence”, USA, 2005
scritto da Josh Olson, dall’omonima graphic novel di John Wagner e Vince Locke
diretto da David Cronemberg

Eastern PromisesLa Promessa dell’assassino”, USA, 2007
scritto da Steve Knight
diretto da David Cronemberg, con Viggo Mortensen e Naomi Watts

Maps to the Stars, USA, 2014
scritto da Bruce Wagner
diretto da David Cronemberg, con Julianne Moore, Mia Wasikowska, John Cusack

The Dying of the Light”, USA, 2014
scritto e diretto da Paul Schrader
interpretato da Nicolas Cage, Anton Yelchin e Irène Jacob

Blackhat”, USA, 2015
scritto da Morgan Davis Foehl e Michael Mann
diretto da Michael Mann


 

35 pensieri su “Eroe ed Onore nel Cinema Americano e Giapponese – Capitolo 2: Picard, King Arthur ed Heidegger

  1. Prima di rileggere il post (perchè i tuoi post li rileggo sempre 2 volte minimo prima di commentarli) debbo fare ammenda:
    Se il mio Luciano Canfora dice che Blackhat è sottovalutato e va riconsiderato, io non posso che cospargermi il capo di genere, rinnegare le 3 parole con cui lo etichettai (cacca, merda, puzza) e infine studiare qualche punizione corporale con cui espiare la grave colpa.

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    • In realtà, carissimo amico, penso che Salomone sarebbe felice nell’apprendere che abbiamo ragione entrambi nei nostri giudizi: il film di Mann si prende delle libertà ridicole nel trattare la materia informatica che sono le stesse in cui incappano praticamente tutti gli sceneggiatori ed i registi quando debbono fare un film con soggetto da thriller informatico (ne discutemmo sotto al tuo meraviglioso post, a suo tempo, per il quale, in tempi non sospetti ti feci tantissimi complimenti e tali rimangono ora); pur tuttavia, io ritengo che ancora una volta Mann eccella come regista che rende praticamente metafisico qualsiasi soggetto trasportato in film (a volte incappa in una sceneggiatore potentissima, come nel caso di “Collateral”, altre volte rischia con un flop quasi assicurato sulla carta).
      Non a caso, “Blackhat” è paragonabile a “Miami Vice”, perché entrambi hanno un soggetto idiota, in cui il fascino della visione è tutto nella sontuosità della messa in scena, nella spiritualità di come viene raccontata la storia banale e non nella storia in sé, stupida, appunto: un film fatto di contrasti, di luci luminosissime e rumori assordanti, persino fastidiosi, in cui la violenza fisica è roboante e cacofonica (negli impattamenti, nelle sparatorie, nei tavolini rotti) in contrasto con l’assoluta invisibilità dei cyber criminali).
      Un film da guardare due volte: la prima per seguire la trama e rimanerne quasi infastiditi; la seconda per guardare solo l’impatto sonoro e visivo con cui Mann ha scelto di raccontare una storia che lo spettatore sente subito non usuale, anche nei rapporti di amicizia e amore.

      Mi commuovo ogni volta che mi paragoni a cotanto professore…

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  2. Concordo con Doppia W. Da quando ti seguo imparo ogni volta qualcosa di molto interessante sul mondo del cinema.

    Uhm… hai citato Blackhat. Il film non è esente da difetti (e ce ne sono), ma la pellicola mi è piaciuta anche per il modo con cui era costruita. Peccato per l’insuccesso.

    Il tema della mitologia ripreso dal cinema è stata una parte molto interessante. Mi piacerebbe tanto rivedere un film oggi tratto da opere epiche come l’Odissea fatte bene senza essere private della loro bellezza (come invece avviene in certi film).

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    • Siamo d’accordo, Butcher, su tante cose ed anche sul film “Blackhat”: come potrai leggere anche nel commento di risposta al collega aed amico Lapinsù, i difetti ci sono e si vedono, ma la messa in scena è potente ed anche anomala, ma a questo Mann ci ha abituato e non è un caso che i suoi film abbiano sempre più successo in Europa che non negli USA…
      Per il resto, beh, come sempre tanto orgoglio dalle tue parole ed anche un po’ di infantile imbarazzo …

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  3. C’è un motivo se ti chiamo “Maestro” 🙂
    C’è sempre da imparare dai tuoi post, in questo tuo ultimo articolo sei riuscito a saltare, o meglio, a fluttuare da un argomento all’altro, da un film all’altro, da una decade all’altra senza mai perdere mordente.

    Il concetto di eroe americano è mutato moltissimo negli anni, come hai scritto tu [e come condivido al 200%] si muove per moda.

    Nel mondo cinico e disincantato di oggi l’eroe senza macchia non attira più come prima, si cerca l’antieroe, il “campione per sbaglio”, quello che salva la situazione suo malgrado. Penso a personaggi come il nuovo Max Rockatansky di Tom Hardy, la banda di FAST AND FURIOUS, Katniss di HUNGER GAMES, eroi poco eroici e molto “tormentati” insomma [oppure sempre antieroi ma più simpatici come Star-Lord de I GUARDIANI DELLA GALASSIA].

    D’altra parte però viviamo anche in un grande periodo di “nostalgia” dove ci vengono riproposti numerosi action heroes del passato e attori indissolubili dal tempo [ma non della vecchiaia]: Stallone, Schwarzenegger, perfino Kevin Costner, forse solo Bruce Willis è stato il più costante nella sua carriera mentre altri si sono ritrovati in film d’azione solo a “tarda età” come Liam Neeson, Morgan Freeman o il da te citato Sean Penn.

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    • Una marea di grazie, Brilliant Poe Dameron!
      Il tuo commento è praticamente una postilla ed una prosecuzione del mio post: il tuo discorso sull’eroe e le citazioni che hai fatto completano il quadro, che avevo iniziato con l’eroe “esistenziale” e che potremmo proseguire a lungo, ma la chiave è sempre quel meccanismo di rappresentazione comunque solo narrativa, avulsa dal reale (anche quando gli assomiglia), pomposamente autoreferenziante nel cinema autorale europeo (attori che fanno sesso come lo farebbero solo degli schizzati nevrotici, conflitti familiari da manuale di psicoanalisi, sfigati compulsivi, eremiti che non fanno una cippa da mattina a sera e pontificano sulla vita ed il mondo) ed elaborati al computer dall’ingegneria del marketing in quelli USA (il nerd, l’hipster, l’affetta da shopping compulsivo, la ricca ebrea dell’upper east-side, il meccanico muscoloso che convola a nozze con l’ereditiera bella, etc. etc.).

      In mezzo a tutto questo baraccone da Luna Park, tra gli specchi che distorcono la realtà per farci divertire, nella cortina di fumo colorato e speziato che annebbia la vista e fa colorare i laser nel cielo come le spade di Star Wars, in tutto questo brillano le belle sequenze, le belle storie, il “fatto bene”, senza se e senza ma, perché alzare il dito medio come se fosse un meccanismo a carrucola lo fanno tutti, ma quando lo fa Pratt lo fa meglio, perché Saldana che fa la poliziotta all’immigrazione nel Terminal di Spielberg ti fa amare anche un cattivo di Heroes che fa Spock, perché lo sguardo duro come la pietra di Kitano ti scioglie il cuore quando lo vedi sorridere in “Zatoichi”, perché quella stronza dell’interno 23 ti fa emozionare quando impersonando Jessica Jones dice “ Humanity sucks and they don’t deserve saving”, perché ci si stupisce ancora quando un vecchio pazzo di un regista fa sfrombolare gli stunt-man da macchine in corsa lungo il deserto come se fosse uno spettacolo on the road del “Cirque du Soleil”, perché resti con la bocca spalancata a vedere cosa è stato in grado di fare uno come Refn prendendo uno script fatto su misura per essere un clone di Fast & Furious e trasformarlo in una pellicola sublime con un silente Gosling, perché chi pensa che Clooney sia buono solo a fare il dottorino in ER o a vendere caffè dovrebbe guardarsi “ Confessions of a Dangerous Mind”, così come chi pensa che Jim Carrey sia il comico che parlava con le natiche in “Ace Ventura”, solo un po’ cresciuto, non ha davvero mai visto la sua interpretazione di Andy Kaufman, perché incredibile bellezza ed incredibile bravura possono convivere nello stesso corpo (basta chiederlo alla Theron o alla Chastain), perché Jean‑Louis Trintignant che accudisce Emmanuelle Riva oramai non più autosufficiente nel film di Haneke ti resetta l’agenda dei sentimenti e della morale, perché Di Caprio che si trascina sbavando verso la sua Ferrari incapace di articolare qualsiasi muscolo è la fisicità di un attimo di meraviglia, come Tom Cruise che passa lentamente dal sorriso ebete allo sguardo stupito e poi incredulo ed infine angosciato mentre la Kidmann gli rivela di averlo tradito sotto la regia di Kubrick, perché come un bambino mi emoziono ancora quando all’affermazione di Selina “ My mother warned me about getting into cars with strange men”, Bruce le risponde “ This isn’t a car” o quando Tony Stark punzecchia Banner per vedere se il dolore e l’emozione lo trasformano in Hulk o quando Cisco continua ad arrogarsi il privilegio di coniare nomignoli per i super cattivi di Flash ed ancora le mosse degli artisti dei wuxia che ti uccidono premendoti tutti i punti del Chakra e ti aspetti che anche in un film di Tarantino prima o poi qualche killer usi il Rasengan di Naruto, perché sono settimane che stai chiamando il tuo amico e collega blogger con i nomi di tutti i character che ti vengono in mente di Star Wars e non c’è forse in questo secolo un’operazione di marketing più studiata di quella dell’acquisizione da parte della Disney dei diritti del franchise creato da Lucas eppure sei qui che dici che non vedi l’ora di andare al cinema (star wars zombie… eccomi, sono io…), perché, cazzo, quanto scrivo, scusa!

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  4. L’ho riletto ieri sera (dopo il mio commento irriverente) e stamattina. E mentre stavo chiudendo la rilettura mi sono bloccato. Sono tornato su con il mouse e mi sono riletto un passaggio in preciso:

    la lingua tamarian risultava composta interamente da metafore, basate sulla mitologia e sui racconti epici del loro popolo: i concetti, le emozioni, le situazioni e persino le giuste soluzioni da prendere in momenti di crisi, tutte le comunicazioni più importanti dei tamarian avvenivano, insomma, esclusivamente usando segmenti narrativi o momenti topici di storie leggendarie, che venivano tramandate da generazioni, sia in forma orale che scritta

    e non so perchè, mentre i miei occhi indugiavano tra “leggendarie” e “metafore” le mie sinapsi svalvolate hanno partorito un collegamento assurdo, ma che poi a pensarci bene, mica è tanto assurdo:

    Il mito della caverna di di Platone: https://it.wikipedia.org/wiki/Mito_della_caverna

    Che poi qui può essere declinato in due espressioni: quella immediata della puntata di Star Trek di cui parli nell’incipit, ma pure quella celata nel sottotesto del tuo trattato (perchè è evidente che qui siamo in zona saggistico-divulgativa e non di semplice intrattenimento).

    Lo vedi che sei il mio CANFORA????????

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    • Non sei svalvolato e nemmeno lo sono le tue sinapsi, ma di certo una qualche strana alchimia deve esserci tra noi due e non solo positiva… il delay time tra quello che scriviamo l’uno all’altro e le risposte conseguenti sta assumendo dimensioni elefantiache e questo perché, aldilà della bizzaria delle nostre tempistiche (chi si alza presto, chi va a letto tardi, chi ha delle incombenze familiari, chi lavorative, etc.), WordPress ci mette del suo, inspiegabilmente: oramai, pensa, non mi arriva più alcuna notifica dei tuoi commenti e quando dico nessuna, intendo davvero nessuna!
      Tu mi hai scritto alle 15:52 ed io alle 23:22 vedevo solo il commento di Pizza Dog, a cui ho ovviamente risposto in tempi normali (lo vedevo e mi era anche stato notificato, quindi, why not?).
      Non so perché ho aperto di nuovo il mio post, ma l’ho fatto (forse peccato di vanità? Mi volevo riguardare la creatura?) e pensa la sorpresa quando vedo che mi hai scritto ed anche ieri pomeriggio, oltre tutto!
      Impressionante… Ad ogni modo, andiamo avanti…

      Questa cosa che mi stimi come divulgatore mi devasta nell’orgoglio e nell’autostima, perché il tono da professorino l’ho sempre avuto e ripetendolo solletichi i miei bisogni morali più bassi… per altro, chi è refrattario ai complimenti, seriamente?

      Platone… non un filosofo qualsiasi, ma addirittura Platone ed oltre tutto, te ne esci citando il mito della Caverna, una delle metafore filosofiche più costruite e simboliche che mente umana ricordi ed anche uno dei dettami da me preferiti, che da solo riassume il sottotesto di tutto il mio blog e di tutto il mio essere ogni volta che apro bocca: ciò che vediamo è solo l’ombra distorta della realtà, naturalmente nascosta ma che ci illumina con la fiamma della conoscenza; tuttavia la filosofia può aiutarci ad uscire dalla grotta, a vedere le cose per ciò che sono realmente ed infine a condividere e trasmettere questa conoscenza… bellissimo!
      Hai ragione (non nel giudizio qualitativo, perché sono meno meritevole di quanto scrivi, ma in quello di merito) quando parli di intento divulgativo in tutto quello che scrivo, barzellette comprese, perché è palese: io sono fatto così… pontifico, pontifico, pontifico sempre, anche quando dovrei tacere.
      Il fatto poi che tu mi sopporti, è quasi commovente!

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      • Ci sono due tipi di professori: quelli che sanno e quelli che sanno spiegare.
        Nella prima categoria sono ascritti tutti quei docenti che ne sanno a pacchi, hanno studiato, sono preparati, custodiscono nel loro cervello miliardi di cognizioni. Hanno un solo semplice banale difetto: non sanno divulgare quanto sanno. Questo, il più delle volte, è sintomo di incapacità relazionale nella vita sociale e professionale o, nel peggiore dei casi, di supponenza ed arroganza. Sta di fatto che un professore del genere sarà incapace di trasmettere alla sua platea qualsivoglia cognizione in maniera duratura nel tempo.

        Nella seconda categoria sono ascritti invece tutti quei professori che hanno l’impagabile virtù di saper diffondere il loro sapere, di essere in grado di instillarlo nella mente di chi li ascolta come abili mastri vasai che modellano il cervello come terracotta. Questi sono i professori migliori in assoluto e, quand’anche fossero un po’ meno “sapienti” di altri, sforneranno alunni infinitamente più preparati.

        Al liceo ho avuto due esempi mirbaili di queste categorie:
        la prof di filosofia era una che ne sapeva veramente a pacchi, ma veniva da una delle famiglie più nobili e ricche di Macerata, aveva la puzza sotto al naso, considerava gli alunni come mosche fastidiose e spiegava la filosofia con la stessa verve di un operatore di call center che ti chiede l’autorizzazione al trattamento dei dati personali. Quando, in prima liceo, ci spiegò il mito della caverna di Platonem, il mio primo pensiero fu: “ma che stronzata è mai questa”?. Furono anni dopo, quando per diletto ripresi alcuni autori capisaldi della filosofia classica, che (ri)scoprii la bellezza e la profondità di quegli insegnamenti vecchi di millenni.

        Di contro, avevo la prof di Greco e Latino che era una vera erudita (sapeva di tutto, ma veramente di tutto: una voltà, prima di un compito di scienze, ci spiegò addirittura i vulcani peleani…) che aveva la somma virtù di saper spiegare le sue materie. In 3 anni non ho preso mai un appunto durante le sue lezioni: ascoltavo, capivo, memorizzavo, tutto in automatico. Alla maturità portai Latino all’orale e mi presentai senza aver mai aperto un libro su Lucrezio (era il suo autore preferito e ci aveva fatto una testa tanta così): mi chiesero proprio Lucrezio e lasciai a bocca aperta tutti i commissari, non già per bravura mia, bensì per la bravura di lei.
        Tutt’oggi ho miliardi in informazioni stampate in mente solo grazie alle sue spiegazioni orali. E forse la mia passione per la Roma Antica dipende anche dai suoi insegnamenti sul latino, che mi hanno fatto amare a dismisura quella lingua e il popolo che la parlava). Penso che se fosse nata proprio allora, sarebbe stata una novella Cicerone o, al più, qualcosa di molto vicino a Tito Livio.

        Tutto questo pippone semiautobiografico, per dirti una semplice cosa: tu hai la stessa virtù della mia prof di latino.
        Hai una conoscenza profonda ed erudita.
        Hai la passione per ciò che conosci.
        Hai una mente elastica per la tua età (spero perdonerai l’irriverenza 😀 )
        Hai la virtù di saper spiegare chiaramente quel che sai di modo che diventi un secondo dopo patrimonio anche di chi ti ha letto.

        Avresti dovuto fare il professore, dico sul serio. E sono certo che i tuoi alunni, anche a distanza di 20 anni, avrebbero ricordato con piacere te, le tue lezioni e gli insegnamenti impartiti. Esattamente come ho fatto io poco fa con la mia vecchia prof di latino.

        buona giornata socio!!!!

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        • Fortunatamente il tuo commento era molto lungo ed il tuo come sempre gustosissimo racconto biografico (che oltre tutto getta una luce sulla genesi della tua passione per la Roma antica) “copre” parzialmente lo strabordante complimento che mi hai rivolto: non penso che si possa dire una cosa più piacevole di quello che hai detto a me, soprattutto se il mio scopo dichiarato è condividere con gli altri miei pensieri ed i miei ricordi…
          Noam Chomsky (personalità del mondo linguistico, filosofico e persino politico, che ammiro in modo smisurato) definiva la comunicazione lo scopo primario di qualsiasi linguaggio e come tale, persino la grammatica si doveva ad esso asservire: vuoi che si parli per immagini o per sensazioni (fotografi, poeti, registi visionari), vuoi che si scriva (giornalisti, scrittori, saggisti, divulgatori), vuoi che si suoni e si componga musica e canzoni (cantanti, musicisti, intrattenitori), ogni forma di arte e comunicazione raggiunge il suo apice se alla bellezza intrinseca si aggiunge la comprensione (foss’anche, in modo paradossale la negazione della comprensione , assumendo l’ermetismo come cifra per analizzare un disturbo sociale).
          Un blogger, può dunque sperare di meglio che non essere capito, anche quando dice cose non semplici?
          Quindi, grazie, grazie, grazie.

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  5. Ancora a lezione dal maestro Kasabake, come dice anche DoppiaW, sempre più impaziente di vedere la serie di articoli completa per ricomporre l’enorme puzzle che stai realizzando con cura e pazienza. Anche oggi arrivo in ritardo, ti chiedo scusa, sono stato di nuovo a Napoli, l’intera giornata di ieri e sono tornato a Taranto solo oggi alle 14. Tutto questo perché sono stato invitato, con altri del gruppo PugliaPress (che gestisce Ultimissime) all’anteprima di “Natale col Boss”. Lascia perdere il film (tra l’altro ho dovuto scrivere una recensione, già su Ultimissime e domani sul blog, totalmente neutra e “professionale”, senza dare dei veri giudizi personali per non degenerare nel parlare male del film), per me, per ciò che voglio fare, è stata un’esperienza straordinaria ed un assaggio di quello che spero sarà il mio futuro da giornalista.

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    • Tu stai diventando un giornalista e con orgoglio ho sempre pensato che ne avessi la stoffa e le capacità e ti assicuro che questa notizia (come il momento simbolico stesso della visione in anteprima) è già da sola la cosa più bella!
      Persino la notizia della tua evoluzione personale e professionale l’hai fornita oramai con quel taglio anglosassone che sta diventando chiave stilistica principale (pur swingando da un capo all’altro della scala dei tuoi toni linguistici, in base al pubblico, all’utenza e perché no, alla committenza) ed è quindi ancora più bello che continui a leggere i miei post con la stessa passione e lo stesso calore di quando ci siamo conosciuti come blogger… penso che la nostra sarà un’amicizia che durerà a lungo… Ancora complimenti Dave ed ovviamente grazie per la stima che riponi in me!

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  6. Sei un jedi, lo sai, e noi tutti ti seguiamo. Curioso che il tuo avatar sia del palp nazionale, a sto punto credo che obi one o yoda sarebbero piu’ indicati…perche’ gli vogliamo bene al maestro!!!! (Anyway io tifo impero quindi va bene l avatar del palpatine 😀 ) l ‘articolo e’ spettacolare e la scelta delle foto mi ha commosso (soprattutto quella del caro figluolo di morgana, in armatura dorata, dal mitico excalibur) mi ispira un tot la penultima ( c’e’ un facciotto di sfondo niente male’ ma non ho saputo riconoscere il film) . Salto di palo in frasca e ti dico, siccome mi hai citato (grazie) che star wars 7 e’ superlativo. Una bomba atomica. Trovi gia’ la rece da me. E intanto rinnovo i complimenti all infinito, da una galassia lontana lontana…che la forza sia con te.

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    • Ho finito di leggere adesso la tua NON RECENSIONE di Star Wars “Made in JJ” e volevo aspettare questo week-end per commentarla in modo degno… ma forse non resisto…
      Intanto ho detto a tutti che oggi eri di stanza al cinema… in missione per conto di Dio, come Elwood e Jake (quest’ultimo, non a caso, sposato con una tizia impersonata proprio da Carrie Fisher (scoppiata come nella realtà, per altro…).
      Ci sono dei ritorni nella vita e dei destini che si compiono… la Forza scorreva da tempo, sia in me come in te: siamo Sith e non Jedi, ma tutti e due, però, molto affascinati dal lato buono della Forza…

      Grazie ovviamente delle bellissime parole di elogio sul mio post!
      Il prossimo giro andiamo in Giappone (forse) o comunque ci vado vicino!
      Sabato sono da JJ e poi tu dico, ma so già che mi piacerà…

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  7. Grande articolo.
    Riguardo a blackat peró non penso che la critica sia stata violenta. ce da prendere in considerazione che l’azione del film non è assolutamente simmettrica alla tipologia del film. cosi come molti dettagli tecnici. Sonori colori e il moto dell’inquadratura(che tra l’altro trovo squallido)

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    • Grazie Cerach per l’apprezzamento, sempre molto generoso nei miei confronti!
      Blackhat” ha ricevuto sonore stroncature e come abbiamo detto tutti in questo spazio commenti (compreso me), ma a mio avviso eccessive: penso che alcune scelte registiche, percepite come distonie, fossero volute, il che non le rende più belle, ovviamente, ma certamente sotto un filtro critico diverso (scelte opinabili o veri errori? Spesso ce lo si domanda…).
      Comunque il film non è in ogni caso memorabile ed il personaggio era per me solo funzionale al discorso che facevo sul tipo di eroe.
      Ammiro il tuo spirito critico e ti ringrazio per essere sempre presente nei commenti!

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  8. Qui dove mi citi il Picarderrimo capitano ti linko un premio di cui non saprai che fartene e che potrai ignorare bellamente ma che mi pareva giusto assegnare a chi mi ha insegnato la tecnica là dove pensavo ci fosse solo una regia…
    https://ilperdilibri.wordpress.com/2015/12/29/29-premi-auguri-e-orsi-pelosi/

    Come detto il Crom Award non è una catena di s.Antonio, si può anche ignorarne la prosecuzione ma… Brindare si deve! 🙂

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    • Con l’abituale oramai totale assenza di vita da parte del servizio notifiche di Word Press, mi accorgo ovviamente solo ora di essere nell’ambitissima cinquina dei vincitori del NON PREMIO assegnatomi da te!!

      crom

      Come “Not-Award”quello dedicato a Crom (al quale mi inchino devotamente, per poi alzarmi e bere a collo una pinta di quelle buone, pronunciare “WINDOWS DIECI” ruttando e quindi scolarmi un’altra pinta) è ovviamente un premio preziosissimo e soprattutto divertente, come gli “unbirthday party” di Lewis Carroll in “Through the Looking-Glass”, una perla di delirio che pigola ai bordi della logica, in quella zona dove serve un asciugamano per viaggiare nel cosmo e si fanno esperimenti per cercare le Proprietà endocroniche della tiotimolina risublimata…

      Unbirthday

      Rimando al tuo blog per i ringraziamenti commossi ed invito tutti a recarsi con me alla cerimonia di premiazione

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      • Eloquenza degna di un imperatore! Hai colto la sfumatura principale di questo premio e non è da tutti gridare Windows dieci al chiuso ruttando! 😀
        Dovrei citare io questo tuo commento, perché effettivamente è uno dei motivi per cui bloggo e ribloggo: do 10 ma ricevo 10.000!

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  9. E torno qui come si torna sul luogo del delitto perché mi sono dovuto rileggere tutto quel che è stato scritto nel post e nelle risposte al post. Anche questo post è qui nel cranio che rinterza tra le pareti vuote del mio cervello in cerca delle informazioni e conoscenze che servirebbero a capire la filosofia.
    Ma alla fine non importa. L’importante è quei film averli visti.

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    • Stavo leggendo la nona parte di Emma La Strega (che aodro, tra l’altro), quando mi sono accorto che avevi commentato e mi scuso per il ritardo (in tutto) ed assieme ti ringrazio per questi mantelli di eleganza che mi regali ogni volta, per queste spade di verità con cui posso continuare a sferzare la vegetazione selvaggia che mi blocca il cammino ed infine per gli scudi di saggezza che mi doni per difendermi dai colpi della vita che vorrebbhe spesso arrestarmi nel grigiore.
      Molto di ciò che scrivo lo devo a te.

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      • E vale anche per me, perché mi apri dolorose ferite nel pensiero. Io sono qui che penso di avere capito e poi sento un graffio nella mia certezza, nel mio saputo “aver capito” e mi dai un altro punto di vista. Impagabile.

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  10. È proprio un viaggio, la sensazione che ci si prova nel leggerti. Forse sono io che sono pazza ma sempre mi trasporti risvegliando pensieri che non esprimi direttamente, descrivendo sagome che nutrono l’immaginazione, fuoriuscendo dai post, rimbombano idee che nascono rielaborandosi su di se stesse, come vive da una vita fuori di me, sussurrando, attizzando fuochi molteplici che mi portano ad osservali imbambolata come quando ci si fissa una candela. Comunque mi hai fatta pensare a quanto complesso sia il concetto d’identità, e quanto terribile sia quel sentimento collettivo che trova forza con quel senso di superiorità distruttiva molto legata ad un modello popolare, affogando l’individualità che ha bisogno di affermarsi senza la repressione dell’inadeguatezza, emulsionando all’infinito. È difficile capire i meccanismi che non proprio seguono una retta via per arrivare effettivamente ad un qualcosa che pretende un’universalità senza che questa rappresenti una regressione od una sterilità.

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