The Wachowskis Parte 1 di 2: Deus Ex Machina Vs Neo

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Il cinema di Lana ed Andy Wachowski è un cinema politico.
Non nel senso provinciale e partitico che potremmo intendere noi italiani, con la nostra partigiana litigioseria da scuderia d’interesse, ma nel senso più filosofico e cosmico di visione di libertà, perché i loro film sono come il peyote per il nostro animo, un portale per accedere ai sogni lucidi di due visionari dei nostri tempi, due precursori e due assoluti rivoluzionari, nati e cresciuti nella dorata culla di Hollywood, che li ha amati e temuti, ad un tempo idolatrati e nell’altro schifati e ghettizzati.
La loro filmografia è un viaggio potente nel cuore del cuore della schiavitù e nell’istinto di ribellione ed è un percorso che promette meraviglie e che sa come mantenerle a chi ha il coraggio di tuffarsi con loro nella tana del Bianconiglio.

Nell’immaginario fantastico degli anni ’80, il regista Richard Donner ha un trono dorato, consegnatogli dal pubblico di allora per film epocali, come i primi due “Superman” (il primo del 1978 ed il secondo del 1980), lo straordinario “The Goonies” del 1985 ed il più bel fantasy romantico di sempre, quel “Ladyhawke” del 1985, in cui Rutger Hauer (il nostro replicante preferito) duettava con una splendida e bravissima Michelle Pfeiffer.
Donner fu però anche regista della serie action più famosa di quel decennio, parlo ossia del poker di pellicole “Lethal Weapon (Arma letale)”, con il Mel Gibson d’annata, attore di parti violente e scanzonate, quello con ancora tanti folti capelli lunghi e lo sguardo da pazzoide.

Tra il terzo ed il quarto capitolo di questa saga crime-action, Donner fu chiamato nel 1995 da Joel Silver (produttore tostissimo, oltre che di tutti i “Lethal Weapon”, anche di pellicole come “Predator” e “Die Hard”) per dirigere un ennesimo action, ma un po’ diverso dal solito, basato su uno script anomalo, acquistato dalla Warner da due ventenni, decisamente promettenti ma anche molto originali: Laurence e Andrew Wachowski, studenti di Chicago e scrittori di comics.

Assassins 01Da quella prima straordinaria sceneggiatura post-moderna, malgrado la completa riscrittura (in chiave più tradizionale) richiesta dal regista e realizzata da un mostro sacro del cinema autorale statunitense come Brian Helgeland (autore degli script di film come “L.A. Confidential”, “Mystic River” ed il capolavoro horror “Nightmare on Elm Street”), uscì un film ancora oggi molto sottovalutato, ma decisamente bello ed importante, “Assassins”, probabilmente l’action più iconico che abbiano mai girato Stallone e  Banderas (all’epoca appena sbarcato negli States ed interessato a costruirsi un immagine più commerciale di quella spagnola dei suoi inizi con Almodovar).

In fondo a questo post, nelle note a margine, chi lo desidera potrà confrontare le due sceneggiature integrali, dal cui esame emerge il palese maggiore rigore logico e la consecutio di azioni dello script dei Wachowski, nonché la maggiore enfatizzazione della storia d’amore trasversale ai due killers.

Né gli spettatori comuni, né Hollywood si erano accorti che quella pellicola era stato solo il primo vagito di due cineasti prepotentemente ribelli, i quali, dopo quell’esperienza e forti di un contratto già firmato per un pacchetto di tre film , si affrancheranno subito, acquisendo anche la regia, cosa che da allora sarà per sempre una loro prerogativa, con un totale dominio sull’opera artistica, sia come sceneggiatura che come direzione dei lavori.

Rivedere oggi “Assassins” ha il sapore retrò del divertissement semplice, perché la regia ed i dialoghi definitivi sono molto convenzionali, ma qui e là, in questo continuo inseguirsi e spararsi, incrociarsi di pistole e sguardi minacciosi, panoramiche rotatorie a 360° (nemmeno lontanamente parenti del “bullett time shot” che arriverà solo con “The Matrix”) e soprattutto in questa sospensione della logica tradizionale a favore di una logica altra, più metafisica, in cui i due killers agiscono e prendono decisioni etiche, ebbene in tutto questo si intravede l’inizio di un percorso straordinario.

Bound 01

Poi, dopo nemmeno un anno, i due fratelli se ne escono con il conturbante ed eclettico “Bound (Torbido inganno)”, pellicola da loro ovviamente interamente scritta e diretta, con una voglia di cinema assolutamente pura e scatenata, pieno di virtuosismi, di cambiamenti drastici ed inaspettati mutamenti di di stile, impregnato della sensualità sfacciata portata dalle due protagoniste e dalla loro relazione lesbica, per altro descritta in modo talmente convincente e realistico da non aver precedenti in un film destinato ad un grande pubblico non festivaliero.

Il film è all’apparenza una pellicola “caper” (particolare branca del thriller, in cui una banda di criminali deve organizzare un grosso colpo), ma si muove come se lo spettatore avesse in mano un cubo di Lemarchand, una scatola del dolore ma anche della gioia, fatta di intarsi riccamente lavorati e scanalature da seguire con le dita per trovare la giusta apertura e meccanismi che scattano rivelando violenza, sesso ed umorismo: non è facile etichettare un film come questo ed è anche sbagliato farlo, quindi, meglio preferire una visione senza preconcetti e lasciare che il vagone delle montagne russe sterzi ad ogni curva, s’impenni per inerpicarsi su ripide rampe e poi precipiti noi e lui in discese a capofitto.

Gina Gershon

Sin dall’inizio della storia, la passione sessuale e romantica tra le due donne è così elevata che non lascia adito a dubbi, ma è anche divertente, per la palese diversità di atteggiamento: così fascinosa ed elegante Violet (interpretata da Jennifer Tilly), la donna del boss, con la sua lingerie sexy, il suo fingersi svampita e la sua apparente fragilità, così dura e mascolina, invece, Corky (ruolo affidato alla formosa e prepotentemente femminile Gina Gershon), ex-detenuta che svolge lavori di idraulico ed imbianchino.

La chimica erotica diventa anche empatia criminale ed il piano comincia a ticchettare davanti allo spettatore incredulo (persino offeso, se moralmente bacchettone ed allora c’erano molto più persone fatte così), trascinandolo in cambi di stile che percorrono anche la strada della commedia grottesca.
Un film da manuale, per due autori di cinema che non sono capaci di lasciare indifferenti e sereni i propri spettatori.

The-Matrix-Splash-Page-01Tre anni dopo il successo di pubblico e di critica di “Bound”, arriva nel 1999 “The Matrix”, il terzo ed ultimo film a contratto Warner ed è anche e soprattutto per questa sorta di scadenza commerciale che nacque il mito infondato che la trilogia di cui stiamo per parlare non sia una saga, com’è realmente, ma solo un film originale seguito da due sequel.

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Quando, infatti, Lana ed Andy Wachowski concepirono il sogno di una saga fantascientifica basata sull’illusione e la realtà, essi non avevano ancora quel potere contrattuale che ottennero solo dopo il successo planetario del primo capitolo della loro trilogia: poco prima della fine del millennio, essi avevano ancora soltanto un film a disposizione, prima della scadenza del contratto e dovevano necessariamente concentrare tutta la narrazione il più possibile entro la conclusione della pellicola stessa.

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Ne nacque ugualmente un film potentissimo, vibrante emozione per tutti i suoi 136 minuti e con una sintassi narrativa incalzante, come non lo sarà nessuno dei film successivi: fu una scelta stilistica che lasciò tantissimi fili scoperti, spiegazioni rimandate e sospensioni di giudizio etico che furono allora fraintese, dai detrattori delle opere successive, come scelte artistiche, quando invece erano dettate solo dall’impossibilità per i nostri fratelli registi di prevedere il loro futuro artistico.

Morpheus

Il successo fu però devastante ed allora i Wachowski ebbero davvero la mecca del cinema ai loro piedi: avevano aperto la grotta di Aladdin e liberato il genio dalla lampada e come prima cosa vollero il potere di fare e disfare a piacimento le loro storie e per questo fecero un azzardo commerciale ed artistico incredibile: si fermarono.

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Non si limitarono, difatti, a replicare il successo del primo film, semplicemente raccontando le avventure di un “Super Neo” in giro per il Matrix, impegnato a sconfiggere le macchine cattive, come una sorta di Superman che alla fine del primo capitolo si mostrava capace anche di volare, no, essi non fecero come il loro personaggio più umano e simbolico, Cypher, il traditore che come gli altri ribelli conosce la menzogna del Matrix ma sceglie di non sapere, sceglie di dimenticare (fatto per il quale Agent Smith lo chiama Mr. Reagan, perché come il presidente Ronald Reagan, malato di Alzheimer, fa l’attore e non ricorda nulla).

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I nostri due fieri cineasti si riufitarono di cedere alle richieste della Warner che chiedeva loro semplcemente di dare un seuito al primo film, ma rimisero tutto in discussione, ritornando agli albori dell’idea che avevano partorito da studenti di college, che avevano maturato mentre lavoravano con i comics e cominciarono a delineare tutti i contorni della loro cosmologia, qualcosa che partiva dal Matrix e dalla trilogia che stavano scrivendo, ma che poi usciva e si allargava coinvolgendo tutta la loro filmografia presente e futura: in quel preciso momento, nel cuore di Laurence e Andrew, nacque l’idea di un cinema politico e rivoluzionario, in cui i dettami di libertà e gli aneliti di giustizia fossero scanditi con lo spirito orgoglioso ed indomito dell’entusiasta visionario di comics e manga, dello spettatore di wuxia e del lettore di sci-fi cosmica, del cinefilo impetuoso che non cita o plagia, ma vive letteralmente dentro lo spazio filmico creato dai suoi colleghi, come fosse uno spazio dimensionale ed un progetto di vita.

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Dopo 4 anni di lavoro incessante nel loro personale laboratorio di idee, nel 2003, a distanza di pochi mesi l’uno dell’altro, escono tre progetti multimediali, “The Animatrix”, “The Matrix Reloaded” e “The Matrix Revolutions”, tutti dedicati alla mitologia del Matrix e che assieme al primo film (nonché ad un paio di videogames) compongono un preciso quadro d’insieme.

Animatrix

Dei tre progetti, quello a cui è stato affidato dagli stessi Wachowski il ruolo di guida nel loro mondo narrativo è senza dubbio l’antologia direct-to-video (solo per il mercato Home Video) dei nove cortometraggi animati di “The Animatrix”, realizzati da una collaborazione di studios statunitensi e giapponesi, che in modo magistrale crea il background storico di tutte le narrazioni, raccontando gli antefatti che hanno portato le macchine a governare l’esistenza, a creare l’artificio del Matrix e di conseguenza, quale reazione e valvola di sfogo necessaria, la stessa Zion umana.
E’ un’opera fondamentale, non solo per un appassionato di animazione, ma per chiunque voglia capire davvero come è cambiato il mondo del cinema e della sci-fi dopo Matrix.

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Proprio per questi motivi, anche se rilasciata sul mercato solo due settimane circa dopo il secondo film della trilogia (per questioni tecniche distributive), l’antologia di animazione andrebbe vista prima di “The Matrix Reloaded”, in cui invece, già dallo stesso titolo, si avverte l’urgenza per lo spettatore stesso di fermarsi anch’egli a riflettere su ciò che sta guardando.

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Reloaded” risultò infatti un’opera controversa, amata da chi attendeva il verbo dei due registi visionari ed odiata da chi si aspettava solo adrenalina e fascinazioni, senza dubbio maggiormente innovativa del narrativamente più semplice e concitato primo film, stracolma di fascinazioni provenienti direttamente dall’Asia e con un livello di tecnologia applicata al cinema da lasciare storditi, ma anche con un ritmo complesso ed altalenante, piena di momenti di spiegazioni filosofico-strutturali, fatte con l’irruente ingenuità propria del giovane rivoltoso, di chi ossia pensa che tutto il mondo debba stare ad ascoltarlo proferire la verità rivelata e che ha il suo massimo punto di crisi nella lunga sequenza del colloquio tra Neo ed il personaggio “The Architect”, il programma di computer che ha creato le varie release del Matrix, che ha progettato la stessa Zion e della quale ha pianificato la sua ciclica distruzione e rinascita.

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Senza avventurarci anche noi nelle spiegazioni del caso, di cui per altro il web è stracolmo da anni, in quella sequenza vennero date tutte le spiegazioni necessarie e se queste si sommavano a quanto già raccontato nei cortometraggi d’animazione di “The Animatrix”, allo spettatore non sarebbe teoricamene mancato nulla per godersi la visione e  capirne tutti i passaggi, ma Laurence e Andrew Wachowski peccarono, ahimé, di superbia ed ingenuità, pensando che tutto il mondo fosse fatto come loro, che tutti gli spettatori avessero la loro splendida predisposizione ad accogliere il fantastico ed il sogno ad occhi aperti (liquid dream) e quindi non previdero che  solo una piccola porzione del pubblico vide (o capì) davvero “The Animatrix” e che tutti gli altri affrontarono il secondo ed il terzo film della trilogia senza realmente voler capire nulla di più di quanto avessero già apprezzato nel primo e che pertanto accolsero con notevole frustrazione ed anche un po’ di fastidio le ulteriori spiegazioni presenti in quello ed anche nel film successivo.

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Come dice, infatti, Zack titolare del blog Per Un Pugno di Cazzotti ed anche uno dei miei più amati opinion leader, «Il cinema dei fratelli Wachowski è cinema di nicchia, ma realizzato con budget e ambizioni del cinema mainstream […] I Wachowski sono gli artisti e le personalità di cui la nostra società e l’umanità intera ha bisogno per crescere ed evolversi, ma sono anche gli artisti che non ci meritiamo perché non siamo ancora tutti pronti ad amarli e a comprenderli fino in fondo»

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Ancora oggi, a più di un decennio di distanza, dei due meravigliosi film conclusivi, tecnicamente ed emotivamente superiori al primo, restano davvero intonse, anche agli occhi dei più perfidi (o sbadati) detrattori, solo le meravigliose sequenze d’azione, come quelle in “Reloaded” ambientate sulla Highway ed il duello sopra il camion tra Morpheus ed i Twins (i gemelli, inviati all’inseguimento dei nostri eroi dal software denominato The Merovingian), ma anche i nuovi personaggi iconici, come Niobe (una spettacolare Jada Pinkett Smith, comandante abilissima della sua nave) o il Keymacher (software incaricato di creare scorciatoie per gli altri programmi per velocizzare il transito degli stessi dentro il Matrix).

Chi a suo tempo comprese queste opere ed il dolore che raccontavano di un’umanità schiavizzata e ciclicamente distrutta o anche chi si è solo lasciato andare alla contemplazione di tanta meraviglia, avrà per sempre nel suo cuore immagini come quella dell’epica lotta senza quartiere tra umani e macchine, impersonata dall’eroico character del capitano Mifune (grazie anche al virile ritratto lasciatoci dall’attore neozelandese Nathaniel Lees), che in “Revolutions“, nella celeberrima scena nel porto di Zion, combatte fino all’ultimo anelito di vita contro l’impossibile orda di piovre meccaniche che piovono dal soffitto, in un conato infinito di violenza bellica) ed infine l’uso spregiudicato della computer graphic, usata a profusione per tratteggiare personaggi, fisicità impossibili e duelli che resteranno per sempre nell’immaginario cinematografico.

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Un capitolo a parte, trasversale a tutta la trilogia cinematografica, spetta senza dubbio all’anomalia, come tale la definì “Deus Ex Machina”, la macchina leader (che poi è anche The Architect e The Oracle, tutte facce della stessa entità), per la cui distruzione era costretto periodicamente a resettare il sistema, distruggendo il Matrix ed uccidendo tutti gli umani consapevoli (quindi, salvi quelli nei baccelli e morti quelli a Zion), quello che a mio avviso è uno dei 10 più importanti character della storia del cinema: Agent Smith, nella magica interpretazione di Hugo Weaving, che per tutti e tre i film continua a chiamare imperterrito il nostro eroe “Mr. Anderson”, con quel che di minaccioso e formale che attinge direttamente alla summa di tutti gli agenti della FBI, della NSA, dei MIB che il cinema e la Tv statunitensi abbiano mai raccontato.

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Nella prossima ed ultima parte della nostra panoramica in due puntate sui fratelli Watchowski, parlaremo di terroristi eroi, macchine da corsa psicadeliche, schiavisti e mietiture galattiche, il tutto raccontato dai capolavori di questi due geni della settima arte a cui va la mia imperitura gratitudine.

Continua su:

The Wachowskis Parte 2 di 2: all boundaries are conventions


In questo film abbiamo parlato di:

Assassins, USA, FRA, 1995
sceneggiato da Lana ed Andy Wachowski e Brian Helgeland
diretto da Richard Donner

Bound, USA, 1996
scritto e diretto da Lana ed Andy Wachowski
interpretato da Gina Gershon, Jennifer Tilly e Joe Pantoliano

The Matrix, USA, 1999
scritto e diretto da Lana ed Andy Wachowski
interpretato da Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss

The Animatrix, USA, 2003
scritto dai Wachowskis, Morimoto, Watanabe, Chung e Kawajiri
diretto da Morimoto, Watanabe, Maeda, Chung, Kawajiri, Jones, Koike

The Matrix Reloaded, USA, 2003
scritto e diretto da Lana ed Andy Wachowski
interpretato da Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss

The Matrix Revolutions, USA 2003
scritto e diretto da Lana ed Andy Wachowski
interpretato da Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss


Per chi desiderasse fare un confronto tra le due sceneggiature usate dal produttore Joel Silver per il film “Assassins”, trovate qui di seguito i link per entrambe le versioni:

Screenplay-Wachowskis

Sceneggiatura Originale
di Andy and Lana Wachowski

Screenplay-Helgeland

Sceneggiatura rimaneggiata
da Brian Helgeland


34 pensieri su “The Wachowskis Parte 1 di 2: Deus Ex Machina Vs Neo

  1. Non è mai facile entrare in contatto con l’opera cinematografica (intesa come tutto il percorso e tutta la filmografia) dei fratelli Wachowski. I due registi, dal loro primo film interamente scritto e diretto, cioè gestito e realizzato completamente dalle loro mani e dal loro genio, Bound, mostrano come il loro cinema vada costantemente oltre i generi, è impossibile da catalogare in modo corretto (il che si ricollega in parte al tuo discorso sulla mise-en-scène). Facendo un riferimento all’ultima loro creazione, la serie tv Sense8, posso affermare che il loro cinema si può definire emozionale. Ogni pellicola, ogni creazione dei Wachowski fa parte di un più grande schema ideato dai due registi, capaci di introdurre un qualsiasi tema, sociale o filosofico che sia, all’interno di un film basato su una trama già complessa e ben orchestrata. Passando al capolavoro Matrix, intendo tutte le opere realizzate a riguardo, appare chiaro come la potenza visiva dell’opera è solo la punta dell’iceberg, ciò che vede lo spettatore che, di fronte alla scena cult della scelta di Neo tra “pillola azzurra o pillola rossa”, grida e si sbraccia per convincere il protagonista a scegliere quella azzurra. Chi invece decide di prendere la pillola rossa, di addentrarsi nella tana del Bianconiglio, come hai fatto tu esplorando il sogno di cinema dei Wachowski, può realmente cogliere l’essenza del loro lavoro. Ci sono gli uomini, gli spettatori ordinari, parte del sistema, che non intendono andare oltre la loro realtà. Ci sono gli spettatori-Neo, coloro che provano a seguire i fratelli nelle loro visioni e nella complessità ordinata del loro mondo.

    Questo è evidentemente uno degli articoli più complessi, forse insieme al tuo excursus sulla serialità, che tu abbia mai pubblicato fin’ora (e lo dico già adesso, senza la seconda parte..) perchè parlare del cinema e dell’ideologia dei fratelli è difficile. Ma sei stato in grado di fornire una panoramica perfetta e sufficientemente dettagliata, che rende pienamente giustizia al cinema che stai omaggiando con passione. Stupendo articolo Kasa, aspetto con ansia la seconda parte!

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    • Mi hai sempre seguito con grande spirito di libertà intellettuale, in ogni mio post od elucubrazione e di questo te ne sono sempre stato grato, ma nel frattempo sei cresciuto talmente tanto come pubblicista che le tue parole acquisiscono un senso più forte e quindi anche il mio orgoglio.
      Ora hai firmato uno dei commenti penso più lunghi su WP (mi stai superando!), perché hai collegato la tua recensione su “Ssnse8” e quindi i tuoi pensiero ed il tuo giudizio critico al mio post, quasi fossero un tutt’uno e questo è un gran complimento!
      Sull’immagine di me che scelgo la pillola giusta per addentrarmi nel mio viaggio, poi, mi ha reso un uomo appagato, perché è un immagine che per ovvia modestia non avrei mai potuto citare di persona, quindi, whaoo, grazie di cuore!
      Tra l’altro la seconda parte è stata ovviamente già scritta assime alla prima e ne è evoluzione e prosecuzione assieme, perché una volta delineato il percorso si va fino alla fine!
      Anzi, come dice il grande Rorschach, sia nel “Watchmen” fumetto come nel film, non ci si ferma nemmeno di fronte all’Armageddon!

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      • Eh, dopo aver infettato Zack con la “sindrome da commento troppo lungo”, hai infettato anche me. Ormai sono segnato!
        E sappi che si tratta della prima parte del commento, ovviamente. La conclusione del tuo articolo non passerà inosservata 😉

        Lo dissi già in passato, ma sono sempre più convinto che, con la tua conoscenza enorme circa il mondo del cinema, dei fumetti, delle serie tv, del mondo dello spettacolo in generale, con il tuo modo do scrivere complesso e articolato, ma soprattutto con la tua passione, dovresti scrivere ALMENO un libro a riguardo. Ma io direi più che altro una serie di volumi, magari divisi per argomento. Una sorta di antologia del cinema Made in Kasabake.

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  2. Ho amato il primo Matrix, ho sostanzialmente schifato i due capitoli successivi.
    Non ho visto The Animatrix e, pur avendoli visti e apprezzati, ho ignorato fino a prima di leggere questo post che Assassins e Bound fossero frutto delle menti dei fratelli Wachowski.

    Ho chiarito subito questi punti, così che il mio giudizio possa essere giustamente inquadrato da chi legge (tornerò poi su questo aspetto bidirezionale della comunicazione).

    I fratelli Wachowski non mi piacciono più e ti confesso che dubito guarderò le loro nuove produzioni. La visione di Jupiter ha tolto in me ogni dubbio sul loro reale valore e, di questo passo, rischiano di finire nel nutrito gruppo di autori che hanno realizzato un grande successo circondato da tanta merda più o meno puzzosa (il primo che mi viene in mente è quel Taylor Hackford che prima e dopo l’immenso Devil’s Advocate realizzò solo schifezze).

    Il punto, per me, è uno soltanto: la narrazione va intesa come processo in cui sono coinvolti due attori (chi narra e chi ascolta) ed entrambi devono SEMPRE AVERE COSCIENZA dell’altro. Nel momento in cui chi narra non si cura più di quanto e come sia stato compreso il messaggio, non sta più narrando, bensì riflettendo: si specchia e parla con se stesso. Parimenti, se chi ascolta non si sforza di farsi prendere per mano ed entrare nel mondo di chi narra per capirlo DA DENTRO, allora è solo un sordo che non vuol capire.

    Confesso di essermi sforzato in tutti i modi di capire i fratelli Wachowski, ma invano. E il dubbio che siano loro ad esser diventati autoreferenziali è grande.
    Che poi abbiano una fantasia multicolore e impavida, che sappiano creare rappresentazioni cromatiche e dinamiche meravigliose, che abbiano il coraggio di sperimentare e azzardare è tutto fuori discussione. Ma questo non basta a fare di un film un filmone.

    Leggendo il tuo post ho avuto poi la conferma ai miei sospetti: i vincoli commerciali e produttivi che imbrigliarono la realizzazione di The Matrix furono probabilmente la chiave di volta che permise al film di diventare un capolavoro, per il semplice motivo che i Fratelli Wachowski furono LIMITATI e INDIRIZZATI.

    Tuttavia voglio essere onesto fino in fondo. Non detengo il VERBO e ci capisco anche poco. Pertanto voglio sempre mantenere l’umiltà e ammettere che forse il problema sono io, che non ne so abbastanza, non ne capisco abbastanza, mi faccio trasportare dai miei pregiudizi e dalla mie per forza di cose parziali conoscenze. Mi metto in discussione, quindi, perchè se qualcuno che ne capisce più di me mi dice che là in fondo c’è la luna, io non voglio fermarmi a guardare il dito, ma mi sforzo per trovarla, questa benedetta luna. Se poi non la vedo, pazienza, almeno c’ho provato. E comunque posso sempre passare da un bravo oculista 😀

    PS: sempre piacevole leggerti, anche quando sono sostanzialmente e profondamente in disaccordo 😉

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    • Carissimo Lapi, penso che sia davvero una questione di punti di vista ed aspettative: già in passato abbiamo avuto divergenze fortissime su film che io ritenevo capolavori e tu delle emerite schifezze ed è proprio questa straordinaria differenza di valutazione, questi opposti, a rendere il tutto appassionante!

      Tu hai espresso molto chiaramente nel tuo commento un giudizio lapidario sul modo di fare cinema dei Wachowski che è esattamente l’opposto di quello dato da me e questo rende praticamente inconciliabili i nostri giudizi sui loro film, perché ciò che secondo me è l’evoluzione di un percorso rivoluzionario fatto in un crescendo di libertà artistica, per te al contrario è il continuo declino di chi ha fatto un bel film praticamente quasi per culo e poi non ha fatto altro che peggiorare in mancanza di vere capacità: per me la filmografia dei Wachowski è l’esempio senza eccezioni di due cineasti dotati dell’incredibile pregio della purezza e della voglia quasi primitiva di fare cinema, per te invece la prova di una straordinaria bravura tecnica al servizio di una quasi masturbatoria autoreferenzialità.
      Mi sbaglio? Non penso… In quest’ottica un loro film non potrà essere per me bello e per te bruttino, ma sempre diametralmente opposti, con differenza di giudizio abissali, proprio sulla messa in scena, non sulla bravura degli attori o sugli effetti speciali, un po’ come, mutatis mutandis, il giudizio lapidario che io ho dato su Emmerich.
      Ora, se fossi un politico, dovrei trovare il modo di conciliare queste due antitesi, ma siccome non lo sono, né temo di perdere la tua amicizia o stima, mi limito ad archiviare il tuo giudizio come diverso dal mio e come il frutto di un’operazione matematica fatta con gli stessi numeri ma su due sistemi metrici diversi.
      La vita è bella perché varia, no?

      Contraccambio l’enorme piacere di leggerti, sia negli articoli come nei post!

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  3. Carissimo Kasa, con me sfondi una porta aperta 🙂
    Amo moltissimo il cinema dei Wachowskis e mi ritrovo a difenderli anche quando non dovrei [e non ho ancora visto JUPITER e stando ai commenti in rete il mio paraculismo nei loro confronti deve ancora affrontare una grande sfida], ma continuerò a seguirli perché in ogni loro film riesco sempre a trovare qualcosa di nascosto, qualche ideale, qualche pensiero o filosofia. THE MATRIX è il massimo esponente di questo loro modo di lavorare [un punto che non raggiungeranno mai più a mio avviso], dietro quello che ai più è sembrato “solo” un fighissimo film d’azione rivoluzionario negli effetti speciali, si nasconde veramente un universo di idee e di ispirazioni che spaziano dalla religione, alla psicologia passando per la filosofia il tutto impacchettato da una resa visiva straordinaria, figlia di film come BLADE RUNNER, fumetti come GHOST IN THE SHELL e del movimento Cyberpunk in generale.
    Ogni membro del cast ha dovuto [sotto indicazione dei Wacko-Bors] leggere il libro “SIMULACRI E SIMULAZIONI” segno dell’enorme cura che i due fratelli hanno impiegato nella realizzazione del film [e a conti fatti di un mito] della loro passione e del loro impegno nel realizzare delle pellicole [anzi, dei racconti, visto che si sono occupati sia dei corti che del videogioco che dei due volumi a fumetti] mai scontate e per niente bidimensionali.

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    • Scherzi? Ci mancherebbe ed è pratica normale citare fonti autorevoli quando quando si vuol scrivere un bel pezzo…
      Piuttosto, che ne pensi del punto in cui l’ho inserita?
      Mi sembrava adatto anche come “ritmo” interno del discorso, quasi una conclusione delle mie argomentazioni, supportate dalle tue.
      Che dici?

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  4. Non ho parole.
    Però devo trovarne, altrimenti che commento sarebbe?
    Complimenti vivissimi per aver scritto un articolo così complesso e completo sui fratelli Wachowskis e, in particolare, su Matrix, del quale hai offerto ermetiche sfaccettature. Io l’anno scorso ho tentato di buttare giù qualche riga sulla pellicola, ma niente di lontanamente paragonabile a questo tuo post.
    Sei un critico eccellente, ti ammiro!

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    • A parte che hai un avatar meraviglioso (sono anzi curioso di sapere cosa ne pensi dell’ultima fatica di Chris “Gremlins” Columbus ed ossia “Pixels“… come nerd mi aspettavo molto di più, ma mi sono divertito comunque…) e sappi che sono uno Zeldadipendente e ringrazio varie divinità ogni giorno per aver permesso alla Nintendo di regalare al mondo un asga così bella e che sto sudando in attesa dell’uscita a fine mese del nuvo capitolo per Gameboy…
      A parte che ho intravisto la foto della tua consegna postale, con quel Gameboy Advance…
      A parte che ho notato che entranbi condividiamo apprezzamento per un character sublime ed epico come Agent Smith

      Neo-Agent-Smith-in-The-Matrix-Revolutions-the-matrix-22575637-570-300A parte tutto questo, gongolo per le tue bellisisme parole: sembro saccente e presuntuoso, ma in realtà sono timido e solo quando riesco ad interfacciarmi bene con qualcuno, allora “slego” con una marea di cazzate e condivisione di deliri personali (come potrai notare, ad esempio, da quella sorta di chat presente nei commenti dei post di Godzilla/Gojira e dei Pirati!!).
      Quindi grazie ancora e perdonami se ogni tanto farò incursioni poco trattenute come questa, ma, come cantava la Cristina d’Avena, nella sigla italiana del cartone animato “Il était une fois… la Vie” di Albert Barillé, SIAMO FATTI COSI’…

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      • Ah, un fratello nerd! Piacere mio!
        Questo significa discussioni complesse, allora.

        Certo, i deliri ci sono, sono intrinseci nella nostra natura, però questo non toglie che la tua lunga ed intricata analisi sia frutto di un impegno elevato, di ottime capacità e di una ispirazione costante; non è lo svarione del momento. Te li meriti tutti i complimenti!

        Riguardo a Pixels, devo ancora vederlo e sicuramente lo farò perché dai tempi dell’episodio di Futurama in cui i videogiochi tentano di conquistare la Terra sogno un film come questo, ma purtroppo parto con il presupposto che sarà un film “leggero”, ovvero di quelli che guardo senza impegno… intendo dire una cavolata, in maniera cortese.
        Insomma, c’è Adam Sandler! Se togliamo Reign Over Me ha fatto solo commediole… E non dico che questo film non lo debba essere, però ci sono commedie e commedie: paragoniamo Zombieland a Indovina Perché Ti Odio? Certo che no!

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        • In due righe hai colto esattamente il concetto di “<i<Pixels“: si deve vedere perché è un DOVERE per i motivi da te elencati (Futurama compreso), ma le aspettative debbono restare sul livello che verosimilmente non poteva essere superato nè dal comparto degli autori nè degli attori. Ci si diverte e si sorride, con anche un pizzico di sana nostalgia, ma non siamo in zona capolavoro, eh!
          Grazie ancorta per la stima e per i riconoscimenti… Dōmo arigatō!

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  5. Bell’articolo veramente complimenti. Se posso mi permetto di consigliarti la lettura di Cultura Convergente di Henry Jenkins. Lo ritengo un libro fondamentale per capire meglio molti dei fenomeni culturali attuali e tra questi c’è un intero capitolo su Matrix e il suo mondo. Sono certo che li troveresti particolarmente interessante, a presto e ancora complimenti per l’articolo!

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    • Ma grazie davvero!
      Stavo leggendo il tuo pezzo su Grendel quando mi è arrivato il tuo gentilssimo commento!!
      Ho fatto una rapida ricerca ed ho visto che il libro di cui parlo (che comprerò senza dubbio aluno) è in offerta nuovo su IBS (http://www.ibs.it/code/9788838787768/jenkins-henry/cultura-convergente.html), ma il mio amico Palmerini che lavora dentro la sede dedicata all’usato (“Il Libraccio”) di IBS, quella vicino alla Due Torri a Bologna, mi ha detto via whatsapp che ne hanno una copia anche usata… mi sa che ci vado questa Domenica… Grazie anche per i like che hai messo in altri miei post, specie quello in cui ho ricopiato l’articolod i Citati sulla DC, una perla di giornalismo ancora oggi…

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    • Tra l’altro, giusto per andare Out of Topic (cosa che faccio spessissimo), lo sai che il vinile del tuo “In the court of the crimson king” sta diventando un pezzo da collezione?
      L’ho visto a 50€ alla fiera del disco di Bologna, quella che fanno al parco Nord… mica scherzi…
      Lo so che è una di quelle notizie etichettabili come “chissene”, però te l’ho detto lo stesso… tschüß (cius, come fanno i tedeschi…)!

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  6. No, non è banale mettere i “like” per indicare l’apprezzamento per un post, ma verosimilmente sta diventando meravigliosamente desueto, per l’ipocrisia con cui i social hanno standardizzato sia i semplici apprezzamentisia anche (persino) le amcizie, facendone un business (pensa a quelle app gestite da social che dovrebbe ricompensarti economicamente per il numero di apprezzamemnti che si ricevono su una foto… certe volte invocherei l’angelo sterminatore interpretatao da Matt Damon in “Dogma“…).
    Ti farò sapere del libro!

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  7. È più affascinante che inquietante, come tra le tue parole trovo delle stelle che conformano una bellissima costellazione illuminante. È tutto così strano ma ha così tanto senso che nessuno lo potrebbe mai capire, forse solo tu che senza spiegarti nulla arrivi lo stesso anche di troppo. Non sai il bene che fanno le tue parole in un momento così privo, dove tutto ti abbandona, ti gira le spalle, pure te stesso, anche se in quel caso, forzatamente. Ma questi istanti apparentemente fermi sono intensi e densi di contenuto quanto un’intera vita vissuta in assenza, ancora impreparati per questi tsunami.

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    • Con colpevole ritardo rispondo solo ora al tuo commento e si che ad una carezza bisognerebbe correre a porgere non solo l’altra guancia ma tutto il viso, per farsi sconvolgere un po’… ma il tempo, così presente anche nelle tue liriche, è strano perché davvero rallenta ed accelera a piacimento e forse siamo tutti come i navigatori della Gilda Spaziale, immaginati nel film di Lynch Dune, navigatori che invece di muoversi essi stessi, muovevano tutto lo spazio ed il tempo per avvicinarlo a loro…

      E’ una sensazione piacevolissima saperti andare a zonzo nel mio blog, leggendo, sfogliando, fermandoti a guardare incuriosita un particolare e poi affacciarti alla finestra, fuori del sito, per specchiarti nell’aria via via nuvolosa o solare o tempestosa… ti lascerei girare per ore, anni forse ed è bello sapere che ogni tanto, lungo quei corridoi, potrei incontrarti… anzi, lo faccio già regolarmente…

      Grazie ovviamente delle belle parole che spendi per me.

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      • Ti racconterò un curioso aneddoto: Un venerdì, quello scorso, c’è stata una tempesta, pioggia e fulmini inclusi. Una donna che chiamerò “Black girl” perché dal viso somigliava molto a Blackgrrrl, voleva io prendessi per forza, insistentemente, il suo ombrello. Era in macchina e si era fermata sul marciapiede. Pochi giorni prima avevo scattata una foto di un viso scolpito sulla pietra con una enorme linguaccia. Guardando dall’alto si potrebbe dire, se non mi sfugge qualche altro elemento, che si è creato una sorte di triangolo tra la mia casa, l’ombrello e la linguaccia, insomma un vero e proprio kasabake. L’ombrello è pure rimasto chiuso perché non l’ho preso, dopo te ne faccio un disegno. È divertente come queste realtà sconnesse prendono altre forme che sono sempre le stesse per congiungersi insieme in modi surreali. Viene in mente inevitabilmente Lautréamont.

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        • Invece della tesi che indicava nello pseudonimo appunto di Lautréamont la volontà di Ducasse di omaggiare l’omonimo romanzo di Sue (che pare invece Ducasse non amasse particolarmente), ho sempre preferito la tesi che voleva il nostro poeta aver fatto un gioco di parole con Altro Mondo e quindi altra verità…
          Così sei tu, a mio avviso, uno spirito in grado di vedere connessioni esistenti in una dimensione parallela a quella che vivono tutti gli altri e che in certi momenti diventano presenti contemporaneamente in entrambe le dimensioni.
          Benedizione? Maledizione? Entrambe le cose o nessuna delle due? Definire questo è probabilmente banale ed anche inutile.
          La cosa certa è che così ovvero una capacità che tu hai, di questo non ho dubbi

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