Non temete il Cambiamento

Photo by Artem Yankovsky

Chi ha occasione di leggere con frequenza le mie esternazioni sa bene che uno degli adagi popolari che più spesso amo citare è quello che recita «sasso che rotola non fa muschio», sottolineando fondamentalmente il primato del cambiamento contro l’immobilismo, dell’evoluzione contro l’entropia, del progresso contro il conservatorismo: amo quel proverbio perché sono seriamente convinto che spesso sia meglio correre il rischio di slacciarsi le cinture di sicurezza e sporgersi pericolosamente per guardare fuori dell’auto in cui viaggiamo, agendo fuori dagli schemi, mettendo in discussione le proprie certezze e quelle di chi ci circonda, osservando il mondo in cui viviamo sotto diverse prospettive, sperimentando nuovi gusti e sapori, provando a raggiungere gli stessi posti da strade diverse ed uscendo, non solo metaforicamente, dalla propria bolla di filtraggio, cercando cose diverse da quelle a cui siamo abituati, spiazzando così anche gli algoritmi di ricerca dei colossi del web.

“Laurence Anyways” di Xavier Dolan (2012)

Il cambiamento non deve essere temuto in modo preconcetto, con la paura di peggiorare la nostra condizione o quella delle persone e delle cose che ci circondano, perchè i mutamenti che ci portano a regredire (come, ad esempio, l’aumento incontrollato della chimica di basso consumo nell’alimentazione, il riscaldamento globale, l’assottigliamento progressivo della biodiversità, la diminuizione delle tutele sociali, la perdita di diritti prima acquisiti o molto più prosaicamente il dover pagare per ciò che prima ci veniva elargito gratuitamente) non sono mai colpa di una vera e sincera volontà di progresso, ma dell’incancrenirsi di situazioni e di problemi antecedenti, di speculazioni economiche senza alcun interesse per un migliore risultato, di vecchie scelte sbagliate basate sull’eterna vigliaccheria da parte di governanti che preferiscono non rischiare il favore del proprio elettorato e di uomini di potere che ad ogni livello hanno scelto di percorrere solo le strade già sperimentate per ignavia o interesse personale, come quei baroni che nelle università e nei centri di studio oscurano i ricercatori innovativi per bieco spirito corporativo o ancora peggio per un più deteriore nepotismo.

“Euphoria” di Sam Levinson (2019)

All’opposto, la verità si nasconde in preferenza nelle pieghe nascoste di ciò che non conosciamo e che spesso temiamo, come ha ben spiegato il formidabile Louis Ferdinand Destouches, meglio noto come Céline, che nel 1924 dedicò la sua tesi di laurea alla vita ed all’opera del dottor Ignác Semmelweis: quando nel 1842 la febbre puerperale, che uccideva le partorienti dentro la clinica ostetrica dell’Ospedale Generale di Vienna, raggiunse il picco di 33 donne decedute su cento ricoverate, egli comprese che la morte veniva portata dalle stesse mani dei medici i quali, dopo aver dissezionato i cadaveri, andavano ad assistere le partorienti, ignorando l’esistenza stessa dei batteri; tuttavia, anche se a seguito della scoperta di Semmelweiss i medici cominciarono a lavarsi le mani dopo aver toccato i cadaveri (facendo crollare di colpo la percentuale dei decessi), tutto il mondo accademico, ferito nell’orgoglio di casta, fece quadrato contro quell’irriverente uomo di scienza libero e curioso, creandogli attorno un deserto di indifferenza e disprezzo tale da condurlo fino alla pazzia ed alla morte.

“The Knick” di Steven Soderbergh (2014-2015)

Quando si devono fare scelte di vita o di lavoro, così come quando si giudica un prodotto di intrattenimento culturale (che è poi ciò che davvero interessa al mio blog), il misero limitarsi a battere ogni volta solo la vecchia strada, evitando il rischio di un nuovo approccio, prima ancora che prudenza e buon senso, è spesso solo espressione di pigrizia intellettuale: in particolare, a spingere verso il rifiuto della novità, anche coloro che una volta sono stati appassionati delle nuove estetiche e che si sono sentiti, per una breve ed infiammata stagione, veri spiriti liberi, è la volontà pervicace di restare attaccati a ciò che si è sperimentato ed appreso da giovani, quando il cervello era ancora duttile e desideroso di apprendere nuove informazioni, falsando oggi, a posteriori, i propri giudizi e sopravvalutando quel misero tesoretto di conoscenze acquisite o di esperienze di lettura e di visione fatte, magari tristemente spalleggiati dai propri coetanei, affetti dallo stesso morbo di conservatorismo egoistico.

“Fitzcarraldo” di Werner Herzog (1982)

Per rendersi conto dell’entità di questo diffusissimo pregiudizio critico, basta chiedere al nostro prossimo quali siano i libri, i film o le serie televisive maggiormente apprezzate e quasi sempre, dopo un iniziale e falso excursus di autori contemporanei scelti a caso, ci si ritrova ad ascoltare il piagnisteo nostalgico di qualcuno che esalta tutto ciò che è stato prodotto in un decennio passato, guarda caso proprio coincidente con quello della sua giovinezza: è così che periodicamente vediamo fiorire in TV e sui social patetici gruppi di esaltazione onanistica non solo di pellicole e show rappresentativi di un certo periodo storico, ma anche di gruppi musicali, gadget, snack e vari oggetti di consumo, santificando persino jingle e spot pubblicitari, nemmeno fossero reliquie preziose, in un delirio di rincoglionimento al cui confronto le chiacchiere ripetitive di un gruppo di ottuagenari in sedia a rotelle e catetere urinario, seduti in circolo in qualche cronicario, apparirebbero più sensate.

“Stranger Things” di The Duffer Brothers (2016-2020)

Quante volte mi è capitato di sentire, nel periodo in cui gestivo una fumetteria specializzata in prodotti multimediali d’importazione, certi miei coetanei sentenziare che gli anime trasmessi e distribuiti allora in Tv ed in Home Video non avevano la bellezza e lo spessore narrativo di quelli di anni prima, come Candy Candy o UFO Robot Goldrake e se in quel periodo quelle affermazioni venivano già clamorosamente smentite da serie televisive contemporanee meravigliose, come Serial Experiments Lain , Cowboy Bebop o Neon Genesis Evangelion, oggi anche coloro che a suo tempo ridevano di quei conservatori nostalgici si ritrovano adesso a ripetere lo stesso errore, non tentando nemmeno di restare in sintonia con le nuove produzioni.

“UFO Robot Goldrake” di Gō Nagai (1975-1977)

Come nella ricerca scientifica, così anche in arte l’immobilismo è la morte, almeno quanto il didascalismo lo è per la creatività narrativa: se non fosse il triste sintomo di una precoce sclerotizzazione critica, farebbe sorridere, ad esempio, la strenua ed insensata difesa che da molti viene fatta di canoni letterari consolidati, persino nelle storie di magia o fantasy, come quando si rigettano le rappresentazioni di vampiri che si muovono liberamente alla luce del sole o che non temono il crocefisso, perché le persone purtroppo tendono a restare bloccate sulle nozioni apprese, anche quando esse non sono frutto di analisi scientifica ma solo di finzione e cliché reiterati.

“Climax” di Gaspar Noé (2018)

Giacché alla fine ciò che dovrebbe contare è solo e soltanto la storia e come questa sia stata realizzata, è squallido e patetico, ad esempio, giudicare negativamente i romanzi o i film della serie di Twilight soltanto per la loro non ortodossia alle regole fenomenologiche del vampirismo classico, perchè queste non sono dettami obbligatori o leggi divine sacre ed immutabili scolpite nella pietra, ma sono solo una finzione letteraria ed un espediente narrativo: molto più calzante e corretto, invece, esaminare le storie di Stephenie Meyer per ciò che sono state sin dall’inizio ovvero romanzi sentimentali, dove la bigotta scrittrice mormone ha voluto raccontare i turbamenti sentimentali di una adolescente trapiantata nella provincia montana statunitense dopo il divorzio dei genitori ed affetta da un onnipotente delirio onirico di essere posseduta, anche carnalmente, da un semi-dio.

“Twilight” di Catherine Hardwicke (2008)

Nulla, in quest’ottica di critica letteraria, impedisce successivamente, come è avvenuto a me, di etichettare l’intero franchise come spazzatura letteraria (dello stesso bidone della raccolta differenziata della trilogia di Fifty Shades – Cinquanta Sfumature, l’altro irricevibile franchise, orchestrato dalla britannica Erika Leonard James, qui citato per gli svariati punti semantici in comune con la saga della Meyer), distinguendolo invece dall’esercizio di marketing rappresentato dalle sceneggiature della valente Melissa Rosenberg, per altro già scrittrice e showrunner della fiction Jessica Jones), furbissima artefice della trasformazione di quella storia d’amore (dai romanzi al cinema) in un plot supereroistico.

“Fifty Shades of Grey” di Sam Taylor-Johnson (2015)

Negli ultimi decenni la letteratura è cambiata profondamente (così come i nuovi linguaggi videoludici e cinematografici), seguendo il doppio binario della normale evoluzione stilistica da una parte e degli strattoni del commercio dall’altra, ma per poterla giudicare va prima capita, senza rifiuti trascendentali (slegati ossia da una vera esperienza diretta ma basati solo su vecchi giudizi consolidati), altrimenti si rischia davvero di non comprendere fenomeni di massa come l’invasione nel mercato editoriale internazionale della narrativa Young Adult e New Adult (quest’ultimo genere più recente del primo e destinato ad un target maggiorenne, con l’abbandono degli scenari fantastici o futuristici, privilegiando la descrizione dei problemi concreti che personaggi ventenni o trentenni inontrano nei momenti salienti dello loro scelte di vita).

“Divergent” di Neil Burger (2014)

Più in generale, si può affermare che non abbia alcun senso giudicare un’opera artistica per la sua fedeltà ad un canone o peggio per il rispetto ad una tradizione: adagiarsi su un metodo consolidato, da parte di un autore, non è un maniacale ripudio della confusione, ma è piuttosto espressione di vigliaccheria, marchio indelebile di artisti codardi che non possono per questo aspirare dall’essere nulla più che mestieranti, avendo scelto la comoda strada di chi ricalca i successi del suo passato, sfornando repliche dell’originale, via via sempre più sbiadite.

“The Case of Hana & Alice” di Shunji Iwai (2015)

Senza scomodare grandi personalità del Novecento, come Kandisnky o Klee, che furono anche saggisti critici, tutto il mondo della pittura, della scultura e del cinema ha sempre abbracciato l’esplosione del caos e l’eccitante frenesia della rottura con la tradizione, indicandolo come un momento di crescita e questo persino in autori che sembravano fondare la loro missione nella riscoperta dei classici, giocando ai restauratori ed ai conservatori, quando invece tra le pieghe della loro adulazione al potente di turno veicolavano la fascinazione di nuove prospettive.

“Skyfall” di Sam Mendes (2012)

Il ripudio dei legami aprioristici alle consuetudini non può chiaramente non coinvolgere anche il discorso, molto più ampio e complesso, sulle traduzioni da una lingua straniera alla nostra, ma sia chiaro sin da subito, per evitare qualsiasi fraintendimento, che ogni cambiamento al ribasso (volto ossia solo a risparmiare tempo e denaro negli adattamenti, a scapito della fedeltà al testo originale) non è mai vera novità, ma semplicemente lo squallido espediente di un imbonitore, come uno di quei truffatori appostati fuori delle stazioni ferroviarie che usa il trucco delle Tre Carte per confondere il lettore o lo spettatore.

“Can You Ever Forgive Me? – Copia originale” di Marielle Heller (2018)

Tra i tantissimi possibili esempi di questa pratica molto diffusa nel mondo dell’intrattenimento culturale, di certo uno dei più significativi è quello della storia editoriale de L’Immortale, il capolavoro manga di Hiroaki Samura (si, proprio quello da cui Takashi Miike nel 2017 trasse l’omonimo suo film): dal 1997 al 1999, la prestigiosa casa editrice Comic Art pubblicò i primi nove volumi dell’opera, in un’edizione che poteva vantare, oltre ad una curatissima veste tipografica, anche un’eccellente traduzione dal giapponese, frutto di un lavoro storiografico sulla lingua italiana e nipponica dei secoli scorsi, per avvicinare la traduzione al testo originale, costruito su locuzioni e terminologie militaresche e di corte settecentesche (la storia è infatti ambientata nel secondo anno dell’era Tenmei); dopo il fallimento della Comic Art, la Panini Comics acquisì i diritti dell’opera, proseguendo la pubblicazione dei restanti volumi, ma per tagliare i costi decise di licenziare la precedente traduttrice e semplificare il lavoro, accorciando e banalizzando i testi, uniformadoli a quello dei manga di tipo shonen, diretti ad un pubblico adolescenziale contemporaneo.

“Mugen no Jūnin – L’immortale” di Takashi Miike (2017)

Caso diametralmente opposto, invece, quello dei lettori che si oppongono in modo testardo a qualsiasi nuovo trattamento di un testo storico, non perché sia peggiore o meno fedele del vecchio, ma solo perché non è ciò a cui si sono abituati dopo tanti anni: il mio pensiero ovviamente non può non andare immediatamente ai patetici difensori talebani delle versioni storiche della trilogia de Il Signore degli Anelli (dalla prima che fece Vittoria Alliata di Villafranca nel lontano 1967 per la casa editrice Astrolobio, poi le successive impudenti incursioni linguistiche fatte da Quirino Principe in occasione dell’edizione fatta da Rusconi nel 1970 ed infine il profondo rimaneggiamento operato da Bompiani nel 2003) e al conseguente rigetto aprioristico  della nuova recentissima traduzione, curata da un preparatissimo professionista del settore come Ottavio Fatica, vero maestro nelle traduzioni di grandi autori stranieri, il quale, in strettissima collaborazione con la Associazione Italiana Studi Tolkieniani (per qualsiasi dubbio al riguardo, leggete una delle loro tante dichiarazioni in merito), ha costruito una nuovissima texture di nomi e situazioni allo scopo di avvicinare il nuovo testo alle intenzioni semantiche e visive primigenie di Tolkien, facendo definitivamente uscire i libri del maestro britannico del fantasy dalla nicchia strettissima (per quanto dorata) in cui è stato fino ad oggi relegato e salutarlo come uno dei tanti grandi romanzi europei.

“The Lord of the Rings: The Return of the King” di Peter Jackson (2003)

Allo stesso modo è da persone grette giudicare le varie stagioni della serie televisiva della HBO Game of Thrones usando come unica bussola critica la sua palese infedeltà ai romanzi scritti dal lentissimo George R. R. Martin, limitandosi a registrare il suo progressivo distanziarsi dall’opera letteraria, perdendo così l’occasione di rendersi conto della evidente qualità artistica di questa fiction: piacciano o meno le soluzioni di storytelling che hanno portato alla conclusione dell’ultima stagione, è infatti da ciechi presuntuosi non considerare questa produzione televisiva per il suo specifico filmico ovvero per la straordinaria forza comunicativa ed efficacia visiva, sciorinata in un crescendo registico e narrativo che, dopo una seconda stagione zoppicante, ha visto crescere, dalla terza serie in poi, il suo potere affabulatorio con la costruzione di un intero mondo di microstorie e personaggi, con immagini di una potenza prima mai vista in televisione e soprattutto con soluzioni e svolte narrative spesso radicali, regalando allo spettatore fino alla fine una carrellata indimenticabile di scene madri, draghi meravigliosi, omicidi efferati e battaglie campali, senza contare il merito indubbio di aver nuovamente riavvicinato alla cultura fantasy la popolazione televisiva di un’intero pianeta, tanto da diventare un fenomeno sociale e di costume (cosa che ovviamente ha fatto irritare ogni fan di questo genere letterario, che vede nell’intrattenimento culturale solo un ancella schiava delle proprie pulsioni, come una sorta di geisha da non condividere con nessuno al di fuori della propria casta di fini degustatori e che quando la propria amata ha troppo successo e notorietà, allora perde magia e valore e viene trattata come un paria).

“Game of Thrones” di David Benioff e D. B. Weiss (2011-2019)

Sentiamo spesso, nei film e nelle fiction televisive, ripetere da qualche personaggio più saggio di altri che «casa non è un posto preciso, ma è il luogo dove si vive con chi si ama» e così vale anche per la famiglia e per la propria chiesa: non conta dove preghiamo, ma come lo facciamo, così come non conta chi sia il genitore biologico di qualcuno ma come si è preso cura della propria prole ed è proprio con questo spirito di cambiamento che suggerisco a tutti di guardare un film decisamente minore, nel novero dei cinecomics miliardari, assolutamente non immune da difetti o eccessive semplificazioni di trama (caratteristica per altro simile ad ogni sceneggiatura di pellicole appartenenti al sotto gruppo supererositico) e che anzi, in svariati punti, farà storcere la bocca ad ogni vero appassionato di cinema, ma che tuttavia lascia un segno indelebile in chiunque sappia guardare aldilà del proprio naso, perché è davvero impossibile trovare un’altra pellicola mainstream, soprattutto nordamericana, che abbia saputo esprimere in modo altrettanto degno il concetto di famiglia allargata e di inclusività come il fracassone e goliardico film di David F. Sandberg.

“Shazam!” di David F. Sandberg (2019)

Sasso che rotola non fa muschio, dicevamo all’inizio ed è effettivamente l’invito che ora rivolgo, questa volta con tutto il cuore, a tutti voi che leggete ora: abbandonate i vostri pregiudizi e le vostre chiusure mentali (All Boundaries Are Conventions veniva ripetuto nel capolavoro delle sorelle Wachowski), liberando la potenza del vostro spirito critico per le cose che davvero contano, usando la capacità di analisi delle strutture per capire se le novità che vi vogliono vendere (non solo economicamente) funzionino davvero o non siano solo una bufala, provando ad amare le persone e non le cose che ve le ricordano, salutando i morti e preoccupandovi dei vivi, non temendo di cambiare casa o città solo perché è là che siete cresciuti o perché è il luogo dove avete visto nascere o morire qualcuno e non abbiate paura nemmeno di cercarvi un nuovo partner se quello vecchio non vi stima o vi maltratta (fiscamente o anche solo psicologicamente), ma fate sempre tutto questo con il rispetto per il vostro prossimo, perché alla fine chi ci sta vicino è l’unica cosa che abbiamo e su cui possiamo davvero contare.


Immagine di copertina Copyright by Artem Yankovsky. All rights reserved. Born in 1980, Artem Yankovsky is a photographer based in Samara, Russia. Sito web su Cuded: Photography By Artem Yankovsky


Grazie a Lisa e Sarino


79 pensieri su “Non temete il Cambiamento

  1. Mamma mia….e come si fa a commentare un post del genere? Hai spaziato con la massima competenza dalla fisica alla letteratura all’arte in generale alla scienza alla letteratura e al cinema per finire sulle psiche e le abitudini caratteriali…incredibile davvero.
    Posso solo dirti che concordo, bisogna sapersi evolvere, accettare i cambiamenti e cercare di andare sempre oltre i limiti che ci hanno inculcato come insuperabili. un po’ come nel memorabile film The Truman Show….
    Sei mancato, molto, più che molto direi e ce se ne rende conto dopo aver letto post come questo, bentornato!

    Piace a 2 people

    • Carissima Silvia, insieme a Paola e a Lisa siete state spesso il mio riferimento intellettuale e morale in questi ultimissimi mesi di WordPress, proprio per la generosità dei vostri commenti a tutti i miei post, nessuno escluso, facendomi sentire un amico quando non era ovvio che lo fossi per voi e quindi facendomi sentire a casa!

      Sia chiaro, da quando ho aperto il mio blog il numero dei miei follower, persone che mi hanno dato fiducia, leggendomi anche quando non faccio davvero nulla per promuovermi, è in continua crescita, anche con un certo stupore da parte mia e questo ha fatto si che abbia conosciuto tantissime persone splendide, alcune addetti a i lavori e veri professionisti del cinema e della televisione, mentre altre semplici appassionati come me ma sibceri ed onesti nei loro ragionamenti; inoltre, con alcune di esse sono diventato davvero amico, tanto da sentirmi anche fuori dal web, via telefono o via mail ed infine con una ristretta cerchia ho creato una sorta di club privato o se vuoi possiamo dire un’associazione, perché commentiamo ognuno i post degli altri, usando spesso riferimenti a concetti che conosciamo solo tra di noi, un po’ come fai tu con le tue comagne di penna e di blog… Eppure, malgrado la nostra conoscenza sia così recente è anche così forte…

      Insomma, grazie di tutto ed in qualche modo grazie anche alle “streghe”, perché è con esse che vi ho conosciuto: sia benedetto quel vostro lavoro di scrittura collettiva grazie al quale vi ho conosciuto!

      Piace a 1 persona

  2. Ti dirò, sono meno propenso al cambiamento nella vita che nell’intrattenimento. Non che non mi piaccia cambiare ma seguo un certo pragmatismo che mi porta ad essere abitudinario, per dire non lascerei molto facilmente il mio lavoro, mi piace ed è ben retribuito, altri direbbero che mi accontento. Invece per quanto riguarda l’intrattenimento e l’arte, o l’arte dell’intrattenimento, mi piace esplorare e sperimentare cose nuove, almeno fin dove mi posso permettere. Motivo per cui non urlo allo scandalo quando cambiano il personaggio x nei fumetti, prima si legge e poi si giudica. Insomma, condivido tutto il tuo discorso e sottoscrivo la parte relativa a Twilight, non vuole essere un horror, poi che sia una storia romantica fantasy di scarsa qualità è un discorso diverso e va giudicato per quel che è.

    Piace a 1 persona

    • Carissimo Arcangelo, uno dei motivi per cui, dopo averti scoperto grazie al comune amico PizzaDog, non ho mai smesso di leggerti è proprio la serenità che mi dava sapere che ciò che stavi scrivendo non era influenzato da idee precomcette o da atteggiamenti da barricata: hai spesso preso posizione contro certo talebanismo da nerd estremo e non hai mai peccato di capolavorazionismo dell’ultima ora!

      Insomma, hai le tue ide ed i tuoi gusti, ma, diamine, sei incredibilemnte aperto alle novità, sempre!
      Grazie del commento e continua ad essere uno spirito libero!!

      Piace a 1 persona

  3. In una cultura permeata dall’etica religiosa, in questo caso cattolica, il cambiamento è sempre avvertito come pericoloso, se non addirittura deleterio. D’altronde Il culto (ogni culto) trae la propria forza dalla superstizione e dall’immutabilità pertanto il cambiamento (in ogni sua accezione) non potrebbe avere che implicazioni negative. Se a questa innegabile realtà si aggiunge il fatto che la consuetudine è uno dei comportamenti umani più logici e approvaibili (in senso sociologico, ovviamente), lo spiazzamento fornito dalla lettura di questo tuo post è significativo tanto quanto la sua potenza evocativa.
    Per una volta (mi verrebbe da dire la prima in assoluto, ma ho troppa poca fiducia nella mia memoria per essere così tranciante) hai usato riferimenti estetici (a film, fumetti, pittura, etc) non già per digressioni sui significati e sui valori artistici delle opere (o almeno non solo per quello), bensì per estendere il tuo discorso a concetti più generali e particolari allo stesso tempo, come una stella che, in procinto di collassare, prima esplode inglobando tutti i pianeti che le hanno sempre gravitato intorno.
    Ed è stato meraviglioso.

    Leggendo il tuo potentissimo e mirabilissimo post, mi tornava sempre in mente un pensiero: l’arte sta agli adulti come il gioco stai bambini. Se infatti questi ultimi sfruttano il gioco per imparare a essere grandi e gestire emozioni pulsioni e comportamenti propri della vita adulta, i grandi hanno bisogno dell’arte e delle sue metafore per comprendere e accettare la realtà, nelle suel infinite e spesso deprimenti sfaccettature.

    Mi piacerebbe leggere più spesso tuoi pezzi su questo tenore. Una strada a metà tra quella del maestro zen e quella del filosofo epicreo, la cui unica certezza è che la natura delle cose è varia ed è proprio questa varietà a rappresentare il bello del tutto. Ma solo cambiando noi stessi (o almeno prospettiva) possiamo apprezzare questa varietà: ben venga Kasabake San, allora, a ricordarci l’importanza che essere sasso è meglio che essere muschio!

    Buona notte, fratello!

    Piace a 3 people

    • Il cambiamento è solo l’inizio: nulla di quanto ci accade è davvero casuale ed io amo lasciare, specie con te, molliche di pane a guidare entrambi su sentieri ancora bui… Ci sono cose dette, cose scritte, promesse fatte al futuro ed a noi stessi che stanno ad aspettarci ed un mondo di tempo per vedere cosa accadrà…

      Il mio è stato un inno al cambiamento e mentre scrivevo pensavo anche ad altre cose, ad altri progetti: Manzoni creò il suo capolavoro fingendo di aver trovato un vecchio manoscritto e quasi tutti i racconti scritti da uno dei padri dell’Ermenàutica, Sir Arthur Conan Doyle, con protagonista Sherlock Holmes sono narrati da Watson… Non parliamo di una semplice terza perosna, ma di uno scrittore dentro lo scrittore e tu sai dove voglio andare a parare, amico mio, perché ci serve uno pseudonimo o un fatto che ci porti a questa terza persona speciale…

      Ora ti saluto che sto crollando dal sonno per colpa di una sveglia anticipata questa mattina e domani è giorno lavorativo!

      Piace a 3 people

  4. Parlavo proprio ieri con mia moglie, che dopo la visione notturna di After Life (tutte e due le stagioni fino alle tre di notte mentre io dormivo tranquillamente perché l’avevo già vista in modi più consoni al mio stile di vita) mi ha chiesto: “ma chi ti ha consigliato questa serie?” e allora le ho parlato del tuo blog, della tua grande competenza, della tua umanità. E della mancanza che avvertivo nel non leggere più i tuoi post. E oggi pubblichi questo lungo e interessantissimo articolo sul cambiamento. Beh After Life può essere letto anche proprio in questa ottica. Il protagonista è un sasso (incazzato e cinico) sul quale sta crescendo uno spesso strato di muschio, ma che piano piano prova a rotolare di nuovo. Grazie e da oggi avrai una nuova lettrice, mia moglie.

    Piace a 2 people

    • Che enorme piacere mi ha fatto questo tuo commento!
      Non parlo solo del fatto che da oggi anche tua moglie abbia iniziato a seguire il mio blog, cosa di cui ovviamente la ringrazio e che mi inorgoglisce, quanto piuttosto che le tue parole siano una splendida testimonianza di come tu abbia colto perfettamente un parallelismo tra i miei ultimi due post che non speravo nemmeno potesse essere percepito e soprattutto spiegato così bene come hai fatto tu!
      È bellissimo quando qualcuno riesce a cogliere al volo il significato profondo di un discorso, specie quando il concetto come nel mio caso è sommerso da un fiume di parole (ahimé, la sintesi non è il mio forte…).

      Hai reso la mia giornata più bella con il tuo commento e di questo ti ringrazio profondamente.

      Piace a 2 people

  5. Mi spiace dirtelo, ma a differenza tua io odio i cambiamenti con tutto me stesso. Questo perché nella mia vita cambiamento ha quasi sempre fatto rima con peggioramento, e quindi ormai ho sviluppato una vera e propria fobia per i mutamenti. Mi basta sentire le parole “nuovo”, “novità” o “sorpresa” e subito mi prende una piccola agitazione.
    Nonostante il mio carattere conservatore al massimo, qualche volta mi è toccato piegarmi, e accettare qualche piccolo o grande cambiamento nella mia vita. Ma sempre di malavoglia. Comunque, qualche volta non me ne sono pentito: penso ad esempio a quando mi sono trasferito in Liguria, dove ho lavorato solo un anno, ma è stato uno degli anni più belli della mia vita. Oppure a quando ho installato Whatsapp: non solo perché permette di condividere foto, video e link in maniera più facile di qualsiasi altro dispositivo, ma anche perché ormai le notizie di lavoro, di amicizia e quant’altro girano soltanto lì. Ad esempio, non hai idea di quante riunioni di lavoro avrei saltato, se qualcuno dei miei colleghi non avesse scritto in un gruppo Whatsapp una frase del tipo “Vi informo che è stato fissato un consiglio di classe per Lunedì alle 15”.
    Tra i migliori anime degli anni 90/2000 hai omesso di citare Slam Dunk, che è stato un cult assoluto per chiunque abbia vissuto in quegli anni, compresi i giovani che normalmente non bazzicavano né i manga né gli anime. Hai fatto benissimo invece a non citare Ghost in the Shell: il mese scorso ho visto il film del 1995, e l’ho trovato di una noia distruttiva. L’azione veniva interrotta continuamente da degli spiegoni insopportabili, e il bello è che nonostante questo la trama rimaneva comunque inutilmente complicata. Mille volte meglio il film live action, che ha tagliato tutti gli spiegoni e semplificato la trama. Anzi, aggiungo che l’ha perfino abbellita, perché ci sono delle scene stupende che nel film del ’95 mancavano (una su tutte quella della geisha che di punto in bianco si trasforma in un robot ragnesco). Sono consapevole che sto esprimendo un parere largamente non condiviso, perché il resto del mondo osanna il film del ’95 e detesta la versione live action, ma sono convinto al 100% di ciò che dico.
    Riguardo al proliferare di prodotti young adult, ho una mia teoria, che adesso cerco di spiegarti.
    Nel suo saggio “Il fanciullino”, Giovanni Pascoli diceva che un poeta riesce a comporre poesie perché ascolta il fanciullino che è dentro di lui, la sua parte infantile, che in quanto tale è ancora capace di meravigliarsi anche delle cose più banali: da questa meraviglia nasce l’ispirazione per comporre poesie. Al contrario, un adulto che è incapace di dare ascolto alla sua parte infantile avrà uno sguardo disincantato sul mondo, non si meraviglierà di nulla e quindi non comporrà nessuna poesia.
    Il punto chiave di questo ragionamento è che crescendo facciamo l’abitudine a tutto, niente ci meraviglia più e quindi guardiamo tutto con indifferenza. Ne consegue che quando siamo bambini anche un film mediamente carino ci manderà in estasi, mentre invece quando siamo adulti un film deve essere proprio un capolavoro per fare colpo su di noi.
    E’ per questo motivo che quasi tutti i film e i libri hanno come target un pubblico di giovanissimi: perché non bisogna impegnarsi più di tanto per soddisfarli. Da qui l’esplosione della narrativa e della cinematografia young adult.
    Io la narrativa di questo genere ho cominciato ad adorarla ben prima della sua esplosione, ma me ne sono allontanato da quando (a causa del successo di Twilight) ha cominciato ad assumere sempre più spesso dei risvolti paranormali o fantascientifici. L’ultima volta che sono stato in libreria facevo fatica a distinguere la sezione young adult da quella di fantascienza: lì ho capito che i 2 generi si sono praticamente fusi, e i romanzi young adult realistici sono ormai scomparsi. Un vero peccato.
    All’interno di questo filone ormai estinto, c’è un romanzo che mi sento di consigliarti ad occhi chiusi: “Lascia che accada” di Amber L. Johnson. Ha per protagonista un meraviglioso personaggio femminile, più precisamente una ragazza che si innamora di un coetaneo con la sindrome di Asperger, e decide coraggiosamente di restargli accanto nonostante tutte le difficoltà che questa situazione comporta. Ho provato mille volte a recensirlo, ma non ci sono mai riuscito: la sua bellezza è impossibile da descrivere a parole.

    Piace a 2 people

    • Caro amico mio, non devi assolutamente essere dispiaciuto se la penso diversamente da me sul concetto di cambiamento, ci mancherebbe altro! La stima reciproca è posta su ben altre basi e non saranno certo le nostre diverse valutazioni di questi argomenti che potranno invalidarla!!

      Come ben sai, ti considero un appassionato esperto di settima arte e questo per me rimani anche al netto di alcune diverse opinioni, come ad esempio quella sul live action di Ghost in The Shell che io considero non solo imparagonabile ai due film d’animazione, ma persino offensivo culturalmente parlando per tutta l’operazione mediale congegnata da Masamune Shirow prima (con il manga) e da Mamoru Oshii poi (con la sua regia di due film), non tanto per la resa visiva (ottima del film live action) quanto per il soggetto e la sceneggiatura, con cui gli autori statunitensi hanno trasformato il tutto nel solito banale scontro tra un cattivo ricco e potente e la polizia che scopre il mistero, con tanto di passato strappalacrime.

      Opinioni diverse, rispettabilissime, che entrambi saremo pronti a difendere in una bella chiacchierata, magari di fronte ad una bella birra, magari anche con l’ausilio di Lapinsu, ma forse lui insisterebbe per la birra inglese… Io invece quando si mangia non transigo sulla birra tedesca, chiara e leggera, mentre se sono in fase chiacchiera e relax allora prediligo una bella IPA ad alta fermentazione, magari artigianale ed in Italia ci sono un sacco di bei piccoli birrifici gestiti da giovani appassionati… MI è venuta sete al solo scrivere!

      Sul discorso anime anni ’90 ce ne sarebbero moltissimi altri e quando avremno occasione di parlare proprio di quello sarò un piaceere confrontarci!!! Comunque di Slam Dunk io adoravo il manga, che correvo a comprare in fumetteria ad ogni nuovo numero! Oltretutto era un piacere legato proprio al fumetto in sè, visto che io non ho mai praticato basket, ma le stori erano splendide, così come i personaggi ed il ritmo trascinante.

      Grazie per esserci sempre, Wwayne.

      Piace a 1 persona

      • Hai detto bene, Slam Dunk aveva dei personaggi fantastici. Tra l’altro c’era anche un gioco di specchi da parte dell’autore, perché i protagonisti del manga erano in realtà le riserve della squadra, mentre invece i personaggi che avevano meno spazio erano i titolari. E poi, l’autore del manga era così bravo nel dare spessore ai personaggi che spiccavano perfino quelli appartenenti alle altre squadre.
        Un altro pregio di quel manga è che riusciva a farti affezionare a tutti i suoi personaggi, tranne forse la stella della squadra: un po’ per la sua naturale antipatia, un po’ perché veniva visto come il fumo negli occhi dal personaggio principale del manga.
        Tra l’altro non so se vale anche per te, ma per me l’affetto che nutro nei confronti dei personaggi è un parametro fondamentale per capire se un fumetto, un libro o un film mi è piaciuto oppure no. Per esempio, tra un quarto d’ora Rete 4 manda in onda “Squadra omicidi, sparate a vista!”: ebbene, quel film presenta ben 4 personaggi principali, ed è riuscito nell’impresa di non farmi provare un briciolo di empatia per nessuno dei 4. Perfino quando uno di loro è morto non ho battuto ciglio, non me ne è fregato proprio nulla. E questo la dice lunga su quanto sia fallimentare quel film.
        Viceversa, Forrest Gump è fatto così bene che riesce a farti affezionare perfino ai personaggi che compaiono per pochissimi minuti, come Bubba. Ma lì chiaramente siamo nell’empireo dei capolavori inarrivabili, e quindi è anche ingiusto prendere Forrest Gump come pietra di paragone. Grazie a te per la risposta! 🙂

        Piace a 1 persona

        • Sono io che ringrazio te!

          Piuttosto prima mi sono dimenticato di dirti che ho trovato le tue parole sulla narrativa young adult molto acute ed interessanti (entreranno di diritto nella hall of fame delle frasi di Wwayne, di cui come sai tengo nota!), specie riguardo la fossilizzazione di questa in un sottogenere fantascientifico e magico… Il che mi fa riflettere su cosa sia diventato anche il cinema action, oramai diventato un tutt’uno con quello supereroistico cosa che alla lunga, coe tutti i gusti unici, annoia!

          Insomma, io amo la pizza, ma mangiarla tutti i giorni a tutti i pasti dopo un po’ verrebbe a noia a chiunque!

          Ci sono dei generi cinematografici che a mio giudizio sono il corrispettivo dello stato d’animo di una società, così il western era identitario per la nascita di una nazione come gli USA, il noir è perfetto per esprimere i dilemmi morali e l’antagonismo di amore e morte negli individui ed infine l’action per l’adrenalina ed il divertimento (si, perché io mi diverto di più a vedere un’inseguimento in mezzo al traffico che non un film comico, ma sono anche un caso particolare…)…
          Ultimamente però Hollywood mi sta uccidendo le distinzioni e sta tutto diventando dello stesso sapore: avevo riposto molte speranze nei ruoli action di un erede di Bruce Willis come Statham (non a caso una delle sue prove migliori l’ha fatto con un film scritto e sceneggiato da Stallone), ma la saga di Fast & Furious lo sta fagocitando, con film che divertono, senza dubbio, ma che si assomigliano tutti (gadget, ralenty per passare sotto i camion in corsa, armi fantascientifiche) e così vale anche per un altro ex-grande del nuovo action come Tom Cruise, protagonista di capitoli di Mission Impossible sempre più simili ai vecchi 007 pieni di strumenti incredibili, macchine invisibili ed altre attezzature che mettono l’uomo in secondo piano…

          Se ripenso alle botte da orbi che si danno nei film di arti marziali cinesi e giapponesi, alla povertà dei set fatti solo di inquadrature e qualche cavo legato alla schiena degli stunt-man…
          Sai cosa, Wwayne? Mi sono rotto le palle di vedere storie in cui la narrazione è rallentata da dispositivi sblocca serrature computerizzati, laser taglia porte, veicoli che vanno sulla strada, sott’acqua ed in cielo…

          Un saluto ed un omaggio di un grande:

          P.S. A proposito di combattimenti, per quanto mi possa piacere come attore Brad Pitt, uno dei motivi per cui provo ancora l’orticaria quando guardo Once Upon A Time in Hollywood (ne ho parlato male in un gruppo di Facebook, per altro con la stessa educazione con cui sia io che te lo abbiamo fatto su WordPress, ma stavo per essere linciato!) è quando Tarantino decide di far fare un figura davvero imbecille a Bruce Lee, il che ha poi dell’incredibile, vista la stima che ha sempre avuto Quentin per Bruce… Insomma, posso capire la volontà di Tarantino di descrivere due personaggi come due antieroi impossibili e di pura fantasia (perché tutto il film è alla fine un inutile what if) e capisco anche il transfert per il quale si mostra una società in cui i bianchi erano ancora più razzisti verso gli asiatici, ma far passare Bruce Lee come un cretino arrogante non capisco a cosa sia servito…

          Vabbè, buona serata

          Piace a 1 persona

          • C’era una volta a… Hollywood è un film sbagliato in ogni singolo dettaglio. Tu ne hai citato uno, ma ci si potrebbe scrivere un libro sugli errori commessi da Tarantino in quel film (e verrebbe lungo come il volume di un’enciclopedia).
            Riguardo a Steven Seagal, ha spaccato in Ferite mortali: il regista di quel film (Andrzej Bartkowiak) è un maestro del poliziesco, e in quel caso ha raggiunto delle vette di qualità alte quanto l’Himalaya. Buona serata anche a te amico mio, e a presto! 🙂

            Piace a 2 people

      • Delle birre acquistabili al supermercato, ormai bevo solo la Tennent’s.
        Ho perfino convinto la Pro Loco del mio paese e da qualche anno all’annuale festa della birra propongono anche la Tennent’s alla spina.
        In generale, comunque, la mia predilezione per le doppio malto ad alta gradazione alcolica è conclamata e irreversibile. In un pub che frequentavo anni fa, offrivano una birra meravigliosa che si chiamava Kent (e, al secondo boccale, partivo sempre con lo stesso pippone: era la birra prodotta da Jonathan Kent dopo che il figlio aveva lasciato la fattoria di Smallville per andare a Metropolis per lavorare al Daily Planet), mentre di recente ho scoperto in una pizzeria delle mie parti un’altra ottima birra (sempre alla spina): Buldogg.
        Eoni fa bevevo anche la Bush ma ammetto che oggi farei fatica a reggerne una pinta (la gradazione alcolica supera i 14°).
        Tutto ciò non c’entrerebbe niente col post, ma a pensarci bene potremmo concludere quanto segue: sia nel caso di cambiamento che di immutabilità, sia nel caso di propensione alle mutazione che di caratteri conservatori, una buona birra ghiacciata favorisce l’accettazione degli eventi!

        Piace a 3 people

        • Conclusione perfetta.
          A differenza di un buon whiskey, la birra è assolutamente conviviale ed incredibilmente anche la qualità scade più ci si avvicina a casa, perché le birre migliori di bevono tassativamente con gli amici.
          La dispensa di casa sta alla buona birra come un sandalo Birkenstock sta ad una Louboutin tacco 12

          Piace a 3 people

          • Nulla da eccepire, salvo una piccola considerazione.
            Il proliferare di birrifici artigianali (ho perfino diversi amici che si cimentano nella birrificazione nel loro garage) ha fatto si che in giro si trovino moltissime birre locali di ottima qualità. I prezzi purtroppo non sono mai molto competitivi, tuttavia se uno ha la pazienza di girare per le campagne, chiedere e provare, si può fare una cultura.
            Io ovviamente non ho questa pazienza, ma per fortuna il mio vicino di casa è un vero cultore dei birrifici artigianali e girando di continuo per lavoro, non perde occasione per trovare, scoprire, compra. Ogni tanto mi allunga qualche bottiglia, alcune invero imbevibili ma altre assolutamente deliziose.

            PS: hai visto Westworld? ho appena scoperto che SKY ha trasmesso tutti gli episodi, quindi a breve inizierò il binge watching 😀

            Piace a 3 people

            • Sulle birre ci torneremo, per ora mi limito alla parte finale: come avevi predetto già qualche settimana fa, quando mi scrivesti via WhatsApp, mi sono visto la terza stagione di Westworld appena Sky la trasmetteva in lingua originale, con i sottotitoli di qualità che usa solo questo tipo di anteprime (normalmente sono delle strisce nere inguardabili!) e ne sono rimasto appagato…
              Anche se molto diversa sia dalla prima che dalla seconda stagione (la storia è lineare, diretta, molto semplice da seguire e senza salti temporali) è la perfetta evoluzione della storia, concepita da Nolan come una quadrilogia sin dall’inizio.
              Le puntate scorrono via liscia, a volte in modo anche troppo, ma mano a mano che ci si avvicina al finale, diventano più forti, più spesse, non più difficili, ma più ricche di significato.
              Il punto drammaturgica mente più debole è il villain, perché come scoprirai è solo un… Prologo.
              Il finale è memorabile.

              Piace a 1 persona

              • Questo tuo commento è una ragione in più per interrompere la crisi bulimica con cui sto divorando film da qualche mese a questa parte e iniziare a vedere anche qualche serie tv “seria”.
                Stasera stresserò l’on demand di sky per recuperare tutte le puntate e da domani si comincia!!!!!

                Piace a 1 persona

                • A proposito, guarda molto attentamente l’episodio 5, perché, oltre ad essere il più bello (subito dopo lo straordinario episodio finale, in cui ho riscontrato somiglianze tra il modo di narrare di Nolan ed il tuo, specie nel modo di gestire forti emozioni) contiene la descrizione più bella che abbia mai visto di una nuova droga…

                  "Mi piace"

    • Letto il tuo commento, ho subito recuperato “Lascia che accada”.
      Ho una coda di letture ingolfata (ora, per esempio, sto recuperando un thriller di qualche anno fa scritto da Riccardo Bruni, La notte delle falene, molto intrigante) ma non mancherò di inserirlo nel mio kindle e di leggerlo quanto prima!
      Grazie per la dritta, amico!

      Piace a 2 people

  6. Sei spettacolare anche perché credo che tutti i tuoi ragionamenti riflettano la tua interiorità! Sei un trasformista al naturale che si occupa e non preoccupa dell’arbitraggio insito nei tuoi contenuti. Leggerti è la musica giusta per l’anima che tu ben conosci e in tal modo traduci trovando ovunque il giusto aggancio. Sei come un pensiero laterale che lavora instancabilmente mentre il focus, che sta sulla punta del naso diventa sempre più sfocato…leggendoti. Sei prezioso.

    "Mi piace"

    • Non hai idea di quanto tu abbia ragione, Silvia: quando scrivo post come questi parlo sopratutto di me (come fare altrimenti ed essere credibili? Non siamo più ai tempi di Salgari in cui si piteva narrare di luoghi mai visitati ed essere ugualmente ascoltati…), come in una confessione e poi, a posteriori, ne discuto con altri per verificare le mie idee, insomma faccio un po’ di confronto e la moderna tecnologia aiuta tantissimo a comunicare anche con amici all’aestero che ci facciamo da specchio…
      Hai speso parole splendide per me, molto di più di quanto mi potevo aspettare, perciò, sono molto obbligato…

      P.S. Ho inserito le correzioni che hai postato, mettendole al posto giusto direttamente dentro al tuo commento

      Piace a 1 persona

  7. Io sono per il cambiamento ovunque!!! Tanta roba questo post ma mi piace tanto tanto e poi c’è un filo conduttore che è proprio l’azione. Ti consiglierei un libro “La classe compiaciuta. Come abbiamo smesso di innovare e perché ce ne pentiremo” di Tyler Cowen dove parla proprio dell’assenza del cambiamento e come questo porta alla rovina non solo dell’economia ma di tutto anche delle nostre esistenze… immagina che parla anche dei film, musica e app che installiamo nei nostri telefonini.

    Piace a 1 persona

    • Ma che belli i tuoi complimenti!
      Ho scritto questo post cercando di trattenermi il più possibile ma volendo anche togliermi qualche sassolino dalle scarpe, perché mi sono ritrovat potraio spesso circondato da persone che si opponevano a qualsiasi cambiamento solo per preso…
      Tra l’altro malgrado i commenti qui sotto riportati, tutti di persone davvero splendide con me, ho ricevuto parecchi rimbrotti via mail da alcuni editor ed admin di gruppi fantasy (come se fosse un attività seria!), perciò registro il tuo gradimento con grande piacere!!
      Mi sono appuntato il tuo consiglio di lettura, perché sono certo che possa piacermi!
      Per inciso sto attraversando un periodo di forte misoginia ed eremitaggio, dovuto a problemi personali, perciò sono più sensibile del solito si complimenti..
      Un grazie ed anche un abbraccio sfrontato!

      "Mi piace"

  8. Io ho un rapporto amoreodio nei confronti dei cambiamenti. So che sono necessari ma finché sto bene nel mio angolino e non sono stufa non mi pongo il problema. A qualcuno sembra una cosa malsana ma ha un suo senso. Inoltre sono una persona che odia a morte l’inizio di un nuovo anno, ogni volta è cosi arriva gennaio e mi sale il patema. Quest’anno a dicembre il primo che mi dice che non avevo ragione lo scuoio.
    Ma parlando di intrattenimento, visto che come al solito hai spaziato con la tua solita abilità di scrittura io la vedo come te su Game of Thrones. Saremo in 30 persone in tutto probabilmente e alla luce di ciò mi sono ripromessa di aspettare prima di infilarmi in un altro fandom anche vagamente tossico la metà del suddetto *risate in background*.
    Questo comunque lo dico da spettatrice del telefilm e da chi non ha letto i libri di Martin. Conosco gente che ha iniziato in tempi non sospetti e ha gettato la spugna non so quante volte con l’attesa dei nuovi volumi, loro ecco, li capisco per le lamentele.

    Allo stesso modo ho enorme rispetto per chiunque si cimenti a tradurre e ritradurre libri, specie se sono stati parte della vita di tante persone come ad esempio Il Signore degli Anelli. Ho visto dibattiti sull’argomento, anche di recente (tipo il livestreaming del salone di torino), sono affascinata dal lavoro che c’è dietro e ripeto, lo rispetto, ma alcune cose della nuova traduzione mi sembra snaturino l’opera: in parte per come la conosciamo tutti, in parte anche perché alcuni termini usati mi sembrano un po’ ingessati e slegati dal contesto. E ti giuro sono quanto ti piu lontano ci sia dai talebani fanz di Tolkien 😀 Rimane una umile opinione personale che non cambierà la vita a nessuno 😀

    Piace a 1 persona

    • Ma quanto mi piace leggere i tuoi commenti, Blackgrrl! Aldilà del fatto che mi fai sempre un sacco di complimenti (il che ti rende già essenziale nell’ordine natuarle delle cose!), hai una prosa frizzante, visiva, molto pop che ogni volta mi fa innamorare… Non ho mai scordato le chiacchierate che ci siamo fatti su tanto cinema europeo ed americano, ai tempi in cui postavi con una frequenza annua maggiore di quella con cui l’Academy premia i suoi campioni con gli Oscar… Ma è sempre una leggiadria leggerti!!
      Mi ti immagino accocolata, anzi raggomitolata, nel corpo e nell’anima, ad ogni primo dell’anno ed ho sorriso crudelmente a quell’immagine, anche perché ti conosco in realtà come un grande spirito libero e questo mi porta al delirio che sta accadendo nel web…
      Ma poi, di che web parliamo? Nessuno di noi lo frequenta tutto (basta solo dare un’occhiata alla galassia reddit, dicisa per città, provincie, nazioni, continenti, ognuna con tenmdenza e trend topic differenti) perché alla fine parliamo sempre delle stesse persone, degli stessi ambienti, che daranno sempre le stesse risposte ed avranno le stesse reazioni…
      Noi italiani siamo i principi della provincia, tutti biologi, tutti immunolgi, tutti allenatori della nazionale, tutti traduttori dei miei coglioni (se metto insieme i iei ex-colleghi della facoltà di Lettere e quelli che frequento oggi per lavoro nella piccola editoria, sai quante persone conosco che hanno davvero letto i libri della trilogia di Tolkien in inglese? Due, solo due e tra esse non ci sono io, che mi sono fermato al primo!!), tutti grandi registi, che acclamavano il Joker perché finalmente ci veniva regalato un personaggio dei fumetti trattato in modo adulto ed un Phoenix che fa un’interpretazione da urlo e poi di colpo tutti contro, con gli haters che urlavano come pazzi scatenati nemmeno stessimo parlando di un film di Ezio Greggio e poi è toccato a Parasite che ha spaccato il culo a tutti gli autori nei vari festival e quindi, necessariamente, si da il via ai soliti noti (attenta! Non parliamo MAI di critici o giornalisti ma solo di scribacchini) che sputano sopra ad un film che, siccome ha vinto, è per forza sopravvalutato («Ah, si, ma il capolavoro di Bong Joon-ho è il film che non avete mai visto! Quello si che era bello!»)… Infine tocca ad una serie televisiva che faccio fatica a non definire un capolavoro, che ha messo daccordo un intero pianeta, che ti teneva incollato alla poltrona con interpretazioni e scene leggendarie e poi… Poi la concludono (delitto!!!) e giù a spalare merda, giù a chiedere petizioni per rifare le ultime stagioni diversamente (ti rendi conto della stupidità umna fin dove può arrivare? Una petizione!!) e nessuno che si ricordi dei tanti momenti meravigliosi condivisi, dei personaggi tridimensionali, con quale scusa, poi? Che i due sceneggiatori avrebbero avuto l’ardire di non aspettare i porci comodi del narratore dei romanzi (che furbamente aspettava di vedere cosa facevano in tv e poi si sarebbe regolato nei romanzi, se mai concluderà la storia, cosa che a questo punto pregherei una qualche divinità con il senso dell’umorismo e non frala mai uscire, giusto per fare dispetto ai rompicoglioni che l’aspettano come le tavole di Mosè), superandolo nella narrazione, anzi dimenticandoselo proprio… Ed è così che la serie è diventata adulta, scorreggiando sulla faccia del padre, bestemmiando il suo dio ed andando libera per la sua strada, libera di sbagliare ma libera…
      Ma i talebani non perdonano: quegli scenggiatori sono dei cani!! Dei maledetti sciupa-romanzi… E bada bene che parliamo degli stessi Benioff & Weiss che erano stati applauditi fino a spellarsi le mani quando scrivevano scene come quella in cui Daenerys risorge nuda ed illesa dalle fiamme o quando raccontano della battaglia navale con il fuoco verde che distrugge la flotta di Stannis nella battaglia delle acque nere o che mostrano Daenerys che fa crocifiggere tutti i padroni degli schiavi ad Astapor (oh! Ma guarda, la mamma dei draghi era già un po’ fuori di testa sin dalla terza stagione, come una tiranna comunista al cui confronto Pol Pot sarebbe sembrato Renzi, ma ovviamente i talebani se lo sono scordato…) o ancora i meravigliosi monologhi scritti in punta di penna per il processo a Tyrion nella quarta stagione, per non parlare dell’immensità della battaglia dei bastardi e bada bene, che una buona parte di quello che ho citato non c’è nemmeno nei libri di quel leviatano lentissimo di Martin…
      Concludo questa arringa, vostro onore, con la traduzione del Signore Degli Anelli, dove per me non si transige: ho avuto a suo tempo, qui a Bologna, la fortuna di conoscere Ottavio fatica e per me, che faccio l’umile correttore di bozze a tempo perso, era come per un allievo Jedi incontrare Yoda, un professore di italiano ed un signore di una cultura profonda, aperto all’europa ed al Grande Romanzo Occidentale, che ha lavorato con gli autori più grandi e non certo uno sprovveduto…
      Quando leggo sul web gli invasati che si incazzano perché Fatica ha tradotto il nome Samvise con Samplicio mi va il sangue alla testa, perché si sta sputando sul lavoro di uno studioso che ha lavorato sul nome hobbit originario di Sam ovvero Banazîr che significa “half-wise” (sempliciotto) e quindi Samplicio è perfetto e ti trasporta in un modo britannico di nomi allusivi, come fece Scheloni quando dovette affrontare l’intraducibile riverrun con fluidofiume del Joyce di Finnegans’s Wake…
      Ecco, mi sono sfogato e l’ho potuto fare con te che conosci la lingua, che conprendi l’inglese anche come modo di pensare, che saresti una fantastica Hermione persa nelle biblioteche di Hogwarts come in quelle di Oxford (perché poi sono lo stesso posto), a sbirciare da sopra il grande volume, con fare malizioso, una versione adulta di Harry Potter con le sembianze di Oscar Isaac…

      Piace a 1 persona

      • Ma i complimenti te li meriti e non li spreco per la prima persona che passa, sarò molto onesta 😀
        Tu piuttosto penso abbia una concezione di me un po’ distorta, non sono sto pozzo di scienza che immagini. Che poi dove lo vedi? sono lusingata se anche solo do vagamente sta idea vuol dire che mi sottostimo da una vita XD
        Non darmi idee che ci manca solo Oscar Isaac mago a smuovermi i neuroni… in effetti Oscar Isaac un po’ mi manca in generale.

        A capodanno devi immaginarmi come un gomitolo di odio sul divano con l’alcol insieme ad altri gomitoli di odio e fastidio che guardiamo film. L’anno scorso almeno avevo cagnolini da pastrugnare ed ero meno piena di fastidio, ma non siamo qui a parlare di questo XD

        Ci sarebbe da aprire una parentesi grossa come la muraglia cinese sull’argomento WEB e opinionisti del web perché già di norma sono inacidita dalla gente ma in questi ultimi mesi di più, per fortuna venerdì ricomincia il calcio in Italia, una fetta di opinionisti dismetterà i panni del virologo e tornerà a urlare ai soliti gombloddi calcistici (che poi lo seguo pure io e guardo pure il campionato tedesco, ma odio tutti lo stesso quindi non conta veramente).
        Io non riesco nemmeno piu a prendermela veramente quando la gente decide per partito preso che un film fa schifo perché piace a tutti gli altri, ho letto cose divertentissime su Joker, su Parasite ecc e ridevo scorrendo twitter. Poi adesso sto ancora smaltendo gli insoddisfatti dal film conclusivo di star wars che tornano periodicamente come la peperonata, sono un po’ tutti ciclici e sono anche belli ma poi stufano. Questo per dire che ormai non mi ci metto nemmeno a discutere perché tanto ognuno parla da solo e sono energie perse che nessuno mi restituirà mai 😀

        Per quanto riguarda i talebani di game of thrones la pensiamo allo stesso modo, ma non solo io e te, anche altre mie amiche. Noi ormai pensiamo che non usciranno mai i libri che mancano, Martin si è incartato da solo e dovrà sbrogliarla in qualche modo.
        In ogni caso penso che i creatori della serie tv ormai rischino il linciaggio anche respirando.

        Ma io non metto assolutamente in dubbio la preparazione di Ottavio Fatica, l’ho sentito parlare ed ero affascinata, solo non so se sono pronta a tutti quei cambi nel testo. Così… sembra proprio un’altra cosa e c’è anche il fatto che esistono i film a cui la gente si è affezionata e hanno un loro peso nella cultura popolare. Il lavoro linguistico alle spalle è enorme e ammirevole ma mi ammazza l’entusiasmo da un punto di vista affettivo.. non so nemmeno se sia il termine giusto ma rende l’idea, credo.

        Comunque scrivo meno ma non vi liberate di me così, anzi adesso aspetto l’ultima stagione di Dark e se non mi esplode troppo il cervello ci faccio un post in cui già ora non saprei da dove partire, ma vediamo che succede..

        "Mi piace"

        • Ecco, vedi cosa intendevo prima?
          Una prosa pop è esattamente quello che hai appena scritto!
          Non penso di averti mai sopravvalutata, anzi, ne sono certo, ma non voglio mettermi a fare il motivatore da strapazzo, tuttavia è assai probabile che ti sottostimi..

          Saltando a piè pari tutto il resto del discorso (perché penso che più o meno ci siamo capiti e concordiamo sul delirio generale delle chiacchiere della gente nel web), vado dritto al finale del tuo commento: sono mesi e mesi che sto cercando di costruire una serie di post molto strutturati sull’argomento dei viaggi nel tempo, sia in letteratura che nel cinema, ma non riesco a trovare la formula giusta per non fare un banale elenco; Dark sarebbe comunque uno dei capisaldi di quei post perché sicuramente è la serie televisiva che più di tutte ha parlato dell’argomento in modo impeccabile; un tuo post dedicato a questa incredibile fiction sarebbe quindi una cosa splendida!

          Forse il modo migliore per parlare di una serie costruia intorno al viaggio nel tempo è farlo nello stesso modo, oscillando come un pendolo…
          Buonanotte e ci sentiamo alla prossima!

          Piace a 1 persona

          • No il motivatore no, anche perché non ci crederei comunque, però grazie 😀

            Oddio penso sia un’opera titanica anche solo da concepire un articolo del genere, sono curiosissima.
            Dark è un casino e sto vedendo in questi giorni un sacco di gente che pubblica foto di quaderni degli appunti con gli alberi genealogici di Winden. Li invidio tuti per la pazienza!

            Piace a 1 persona

  9. nessuna condizione umana può dirsi totalmente affrancata dal cambiamento, anche nella più pervicace abitudinarietà esiste quel moto docile, grave, testardo, inconsulto che si chiama tempo, anche il solo suo trascorrere è di per sè cambiamento, nessun attimo è esattamente sovrapponibile a quello che segue, pertanto siamo in continuo cambiamento.
    Per natura congenita e anche per consapevole accettazione io sono uno dei tanti dediti alla costumanza, alla stasi più totale, eppure non temo la trasformazione, la novità anche se come un animale in guardia devo far mio -con tutta l’accortezza tipica di un animale- quel “nuovo territorio”.
    Il tuo post è come al solito traboccante, fondato e accattivante, e commentare un simile lavoro è un compito arduo, ma provoca, come sempre, un movimento sinaptico ed empatico.
    In relazione alla birra, una delle mie preferite è quella prodotta dal birrificio Bevog, in stile Pale Ale, di un imprenditore sloveno che la produce in Stiria (Austria). Stile inconfondibile, fredda scende giù che è un’estasi per il palato e per le successive emozioni che immancabilmente mi sorreggono quando qualche verso da infrangere di note e sottofondi musicali, che a sentire mia moglie e le figlie, ascolto solo io 🙂 , arriva e freme per esporsi.
    ciao carissimo

    Piace a 1 persona

    • Buongiorno Sarino, la tua lettura (nel senso più ampio) del mio post, a te e Liza dedicato (indicazione non casualmente posta dopo il video dalla fiction di David Lynch, con il sogno della Bellucci) è assai importante, perché come ben sai (te lo avevo pre-annunciato) è stato in parte mosso dalle tue parole, durante la nostra ultima chiacchierata ed ora mi accorgo di quanto meraviglioso sia che il Tempo emerga con forza, come un cerchio che si chiude, sia nel commento di Blackgrrrrl, sia nel tuo: la prima che annuncia di voler tornare (un verbo paradigmatico, che già in sè somma in modo circolare il ricordo del passato, il senso di attesa del presente e la promessa del futuro) a scrivere un lungo post con oggetto Dark (la serie televisiva che più di ogni altra ci parla dei viaggi nel tempo) e poi tu, che in una sola frase essenziale mostri come non esista una reale possibilità per la volontà di stasi, come appunto il tempo sua il motore primo del cambiamento, che in modo inelututtabile, con il solo passare dei giorni e degli anni muta anche ciò che per pervicacia pensa di restare immobile.

      Non pago di avermi già recato soddisfazione ampia nella lettura del post, ti sei poi anche spostato sui commenti, andando a parlare di birra e condividendo questa descrizione epifanica e rivelatoria del potere che una buona birra può avere persino in una composizione artistica: aveva ragione mio nonno quando diceva che certe volte, specie quando era assetato, gli sarebbe piaciuto avere un collo lungo come quello di una giraffa per dilatare il più possibile il tempo di godimento mentre beveva.

      Ci si vede in giro, amico

      Piace a 1 persona

  10. E’ sempre un piacere leggerti! Mi scuso tantissimo per il ritardo del mio commento, purtroppo tendo ad arrivare sempre tardi. E’ un articolo molto interessante dove affronti il tema del cambiamento in maniera molto intelligente mostrando come le persone tendano a rimanere ancorate nelle cose che conoscono e che le fanno stare tranquille. Il cambiamento è un momento che tutti noi viviamo, volontariamente e non, e non bisogna prenderlo come qualcosa di terrificante. Se si restasse ancorati a certi canoni conservatori anche il cinema non si sarebbe mai evoluto e non avrebbe mai permesso neanche a registi come Kubrick di emergere (che voglio ricordare Kubrick era mal visto principalmente dai vecchi mentre invece era molto più amato e apprezzato dai più giovani).
    Hai citato degli esempi stupendi e mi ha fatto piacere leggere i nomi ad esempio di Serial Experiments Lain, un anime che ai tempi distrusse tutte le regole legate ai canoni così come fece Neon Genesis Evangelion. Inoltre sono contento di vedere che qualcuno la pensa come me riguardo a Shazam! e alla bellissima tematica della famiglia allargata che porta avanti. Di solito gli americani tendono a parlare molto spesso del tema della famiglia, ma lo fanno in maniera molto conservatrice e arretrata e il più delle volte mi dà quasi l’impressione di vedere qualcosa di simile alla mafia. Qui invece si porta il tema della famiglia su un piano più attuale e moderno e lo si rende quasi più puro. Shazam! non è un capolavoro, ma riesce comunque a farsi apprezzare e a lanciare un messaggio importante.
    Non parliamo poi della nuova traduzione de Il Signore degli Anelli. Se si vuole discutere sulla cosa mi va molto bene: certi cambiamenti mi sono piaciuti perché in linea con il testo originale mentre altri invece non li ho ben capiti e altri invece non li ho proprio apprezzati. Però la maggior parte delle persone hanno detestato la nuova traduzione più che altro perché era un cambiamento a qualcosa che conosco molto bene.

    Un articolo molto intelligente che mette in mostra ancora una volta un tuo pensiero veramente moderno e aperto e sono felice di poterti seguire in questo modo. Un lavoro stupendo!

    Piace a 1 persona

    • Quando hai scritto che volevi scusarti del ritardo con cui commentavi il mio post, mi è venuto un groppa in gola, pensando che è da Gennaio (l’inizio del mio vero e personale lockdown) che io ho cominciato a saltare i commenti ai tuoi post, più o meno coincidenti con l’inizio della tua trilogia dedicata all’acqua e malgrado ogni tanto, in qualche modo, abbia fatto lo sforzo di riaffiorare dal mio eremo, scrivendo il mio pensiero sotto alcune tue recensioni, erano molte di più quelle che trascuravo: mi sentivo come schiacciato, perché intanto mi stava capitando la stessa cosa anche con quasi tutti gli altri blogger, anche se con alcuni mi era più facile riuscire di restare in pari, perché il loro ritmo di pubblicazione mensile non è nemmeno lontanamente paragonibaile al tuo, che in questi mesi hai prodotti moltissimi contebuti culturali come non avevi mai fatto e tra l’altro questo ti fa onore!

      Ti ricordi quando, qualche settimana fa, in una chiacchierata tra di noi nello spazio commenti di un tuo post, ti dissi che secondo me il futuro del cinema era donna? Ebbene ultimamente mi sta accadendo di ricevere continue conferme: la maggior parte dei film che più mi sono piaciuti negli ultimi mesi sono stati scritti e diretti da donne, come The Nightingale, Little Women, Birds of Prey, Late Night e molto recentemente la splendida sorpresa di un film che mi ero rifiutato pervicacemente di vedere e che invece mi sono ritrovato ad apprezzare per la sua regia e per il suo montaggio in modo pazzesco ovvero Hustlers, scritto e diretto l’anno scorso da Lorene Scafaria. Ebbene, tra le tante sequenze mirabili, ce ne sono due in modo particolare, narrativamente speculari oltre che sequenziali: nella prima, il personaggio di Destiny (interpretato dalla brava Constance Wu) racconta di un suo incubo ricorrente, in cui lei si trova seduta sul sedile posteriore in un auto in corsa ed ad un certo punto si accorge che non c’è nessuno alla guida ed allora cerca di raggiungere il posto di guida, ma quando ci riesce si accorge che l’auto non risponde ai comandi e che sta andando a schiantarsi; dopo alcune scene, la regista, senza preavviso, per raffigurare lo stato d’animo del personaggio, che vede il suo status andare in pezzi per la girandola di accadimenti reali, monta una sequenza adrenalica in cui viene rappresentato l’incubo prima solo descritto a parole…

      Ti ho voluto raccontare questo perché anche se personalmente non faccio quello stesso sogno, ho spesso la sensazione di perdere il controllo dei miei pensieri per colpa dello stress ed allora, per cercare di scacciare quel fantasma, mi chiudo a riccio: così mi sono perso l’occasione di commentare con te, quando ne parlasti, un film straordinario come quello della talentuosissima Cathy Yan (su cui ci sarebbe tantissimo altro da dire, specie come linguaggio) e ancora più recentemente su quel capolavoro di The Assassin, pellicola che non a caso io stessi inserii, all’epoca della sua uscita in Italia, come uno dei film dell’anno e su cui tu hai scritto per me la tua bella recensione degli ultimi mesi, anche se non penso che te ne sia reso conto del tutto.

      Tornando alla piccolezza del mio post (davvero scarso come contributo, in confronto ai tanti bei pezzi da scritti in questo periodo), ti ringrazio per le belle parole e soprattutto per essere ciò che sei ovvero un amante del progresso e del cambiamento ed un nemico del conservatorismo fine a se stesso, come hai sempre dimostrato e come inevitabilmente continuerai a fare!

      Ti voglio bene, Butcher e grazie di tutto.

      Piace a 1 persona

      • Non devi sentirti in colpa per non essere stato presente su WordPress. Hai vissuto questo momento a modo tuo e diciamo che un po’ tutti quanti noi abbiamo avuto i nostri problemi, chi per colpa del Covid e chi per colpa di problemi personali. E’ stato un periodo difficile per tutti e io ho deciso di affrontarlo buttandomi anima e corpo nel blog. L’ho visto sia come valvola di sfogo sia come modo per portare avanti progetti che avevo rimandato da troppo tempo e per poter anche maturare come persona.
        Quindi non abbatterti per tutto ciò e soprattutto non sminuire il lavoro che fai, dato che riesci a sfornare dei bei articoli su argomenti molto attuali e importanti, riuscendo a fare collegamenti a pellicole davvero intelligenti.
        Per il resto sono felice di vedere molti registi donne affermarsi in quest’ultimo periodo. Ce ne sono sempre di più e molte di loro hanno un approcio veramente unico e personale per quanto riguarda il cinema ne sono un esempio perfetto la Kent e la Kusama, lo è stato la Fargeat con il suo Revenge e così come tante altre (Cathy Yan ha dimostrato di essere molto brava dietro la camera da presa e Olivia Wide mi ha molto sorpreso con Booksmart). Posso fare parecchi esempi ma non finirei più.
        Comunque sono molto contento di questa cosa.

        Piace a 1 persona

  11. Oltre a sottolineare la scelta magnifica di film snocciolati a integrazione del tuo post, mi sembra di leggerti particolarmente arrabbiato e sensibile sull’argomento. Tra l’altro, la discussione a proposito delle scelte di HBO su “Gone with the wind” in questi giorni ha riproposto un problema che la società occidentale (soprattutto) non riesce a risolvere da decenni, ovvero quello di non voler realizzare i cambiamenti sociali e di conseguenza non passandoli alle nuove generazioni. C’è una mancanza di cultura: non si apprende ciò che nel mondo accade ed è cambiato o dovrà cambiare, e ovviamente di volontà politico/istutizionale. Non saper leggere un film significa non conoscere cosa si nasconda dietro di esso, e quindi ci troviamo a dover inserire un avviso come fosse una prefazione propedeutica alla lettura. Quindi c’è ignoranza sul cambiamento, se un film del 1939 può rappresentare un pericolo nella società di adesso: infatti il razzismo è presente in modo drammatico. Comprendere, interpretare e coltivare il cambiamento (anche nella realizzazione della parità tra uomini e donne a qualunque razza appartengano, come stabilisce anche la nostra Carta Fondamentale italiana) significa arricchimento culturale e apertura sul domani dell’umanità: cerchiamo di ricordarlo.

    Piace a 1 persona

    • Io penso che tu non ti renda conto di quanto mi faccia piacere ricevere i tuoi complimenti e non lo dico per piaggeria o ruffianeria generica, ma perché ancora adesso mi stupisco che tu possa sul serio soffermarti a leggere i miei post, considerando il tuo status di esperto del settore…

      Ma siccome la modestia non porta mai veri buoni frutti, fingerò di meritarmi le tue attenzioni e con un certo snobismo ti metterò una mano sulla spalla e con un sorriso di sufficienza ti dirò «Ma certo, mio caro, so bene di ciò di cui stai parlando…»

      Scherzi a parte, esiste un enorme problema per come alcuni segmenti di pubblico si interfaccino ad un film e come questo avvenga addirittura per intere popolazioni: quanto sta accadendo negli USA in questi giorni è vissuto da noi europei ed italiani con una difficoltà notevole di comprensione, giacché per noi quel processo di storicizzazione, necessario per vedere e giudicare contenuti culturali creati e pensati in altre epoche, ci viene quasi spontaneo, perchè non è solo il nostro sistema scolastico, ma la nostra stessa filosofia e modo di pensare che ci spinge in questa direzione; altresì questo ci porta purtroppo ad essere anche molto snob e superficiali nel tacciare sbrigativamente gli statunitensi di eccessiva superficialità e persino di ipocrisia…

      Io stesso sto incontrando un vero muro di incomprensione da parte di molte persone che si limitano a giudicare quanto sta accadendo nel mondo del cinema e della televisione americano, misurandolo sul proprio interesse e nessuno che si renda conto di cosa significhi davvero la questione razziale ed i suoi simboli per un popolo come quello americano: a parole siamo tutti vicini alle persone di colore maltrattate e discriminate ma quando le azioni di queste vanno a toccare film che hanno a suo tempo fatto sognare noi bianchi, che non abbiamo mai davvero vissuto discriminazioni su base etnica, allora, dall’alto della nostra conoscenza storica, giudichiamo gli americani come dei bambini capricciosi che vogliono rompere i nostri giocattoli…

      Ho avuto bisogno di scrivere in modo chiaro che ho sempre considerato un vero capolavoro un film come Gone With The Wind (per mille ragioni recitative, di messa in scena, di montaggio e regia) e che questo apprezzamento non mi impediva di vederne il contenuto salvifico ed assolutorio nei confronti degli schiavisti, ma come potevo pensare che nei figli e nei nipoti di quegli schiavi potesse esserci questa serenità di giudizio?

      Chi parla con sarcasmo di queste cose, come del gesto di Amazon di togliere la serie tv di Hazzard, dovrebbe vedersi meglio un film come Green Book o come BlacKkKlansman, ma soprattutto la serie televisiva di Watchmen: lo schiavismo, il suo ricordo ed i simboli che lo testimoniano o lo perdonano hanno una valenza enormemente diversa per noi italiani e questa consapevolezza dovrebbe essere un metro per giudicare.

      Quando studiavo storia del cinema, m’innamorai del periodoo espressionista tedesco ed in cineteca a Bologna rimanevo incantato a vedere la statuaria olimpicità degli atleti filmati dalla grandissima Leni Riefenstahl e mai, nemmeno per un istante, pensai che quell’ammirazione per l’arte di quella cineasta potesse far vacillare la mia condanna storica del nazismo, ma io non sono ebreo e nessuno dei mie cari è mai stato in un campo di concentramento e non ho nemmeno ricordi di antenati in questo senso… Ciò che sto dicendo è che è più facile per noi storicizzare cose che per altri sono invece testimonianze di dolore e vergogna infinite, compreso l’orrore di vedere la bandiera sudista sventolare in una corsa autombilistica come la Nascar o esibita con orgoglio sul tetto di un automobile chiamata non casualmente Generale Lee.

      Un abbraccio ed una buona serata!

      Piace a 1 persona

      • Come sempre sei troppo buono! Sottoscrivo tutto quello che hai detto e in effetti è proprio così: mai come in questo momento occorre distinguere un’opera sul piano tecnico e su quello del significato che esprime. Nel mio piccolo, nelle recensioni cerco sempre di farlo e credo sia necessario, e la critica può assolvere a questo ruolo, ancora prima che a farlo siano la scuola e le istituzioni. In fondo, l’arte e la cultura sono spesso il riflesso della società. Ad esempio, quando ho scritto di “Joker”, che ha ottenuto un successo enorme perché aveva dalla sua parte gli appassionati dei cinecomic ma anche per il messaggio sociale che peraltro è molto simile a quello che le proteste di questo periodo negli Stati Uniti stanno dimostrando, non si poteva non notare come il film stesse traendo ispirazione da ciò che la cronaca americana riporta continuamente.

        Piace a 1 persona

        • Assolutamente vero!
          Sappi che le tue recensioni hanno in chi legge esattamente l’effetto che ti proponi: ogni volta ho immancabilmente percepito la tridimensionalità dei tuoi ragionamenti, anche quando l’entusiasmo per un film che ti aveva davvero conquistato avrebbe potuto mascherare una disamina più logica o storica… Per questo sei un grande recensore, senza spocchia e senza la logorrea che invece (ahimè!) contraddistingue me…
          Buona notte e buon week-end!

          Piace a 1 persona

  12. Approfitto di questo post per andare sfacciatamente OT, confidando nella tua clemenza, perchè volevo un secondo disquisire con te in maniera più completa dell’ultima stagione di WESTWORLD.
    Ovviamente chi non l’avessa ancora vista, è avvisato che non potrò fare a meno di evitare qualche spoiler.

    Te lo dico in tutta sincerità, Paolo, ma sono rimasto deluso da questa stagione.
    Presa a sè, senza le due precedenti, sarebbe comunque un buon prodotto, ma dopo i primi due capitoli, francamente mi aspettavo di più.

    Non sono un appasionato tale da spulciarmi tutti i blog e tutti i siti gossippari in fatto di serie TV, quindi ignoro quale sia stata la genesi di Westworld, se Nolan e la moglie Lisa Joy l’avessero pensata così già dall’inizio oppure se l’abbiano aggiustat strada facendo, comunque vedendo gli 8 episodi dell’ottava serie ho avuto la nettissima impressione che stessero perdendo la bussola a livello narrativo (come sai, la mia indole e la mia preparazione mi portano a prestare attenzione soprattutto agli aspetti narrativi).

    Non sono contrario al cambiamento (giusto per strizzare l’occhio al titolo del post) tuttavia in una serie TV il cambiamento deve essere percepito in maniera fluida o, quand’anche ci fosse uno stacco netto, si deve convincere lo spettatore che quello stacco era non solo previsto ma perfino necessario.
    In Westworld 3 vengono introdotti personaggi e nodi fondamentali di trama assolutamente estranei alle realtà create nella prima stagione e questa genesi improvvisa, almeno ai miei occhi, è sembrata arbitraria e in taluni casi senza senso.
    La storia delle serie tv è piena di personaggi spuntati dal nulla dopo un paio di stagioni per ravvivare lo show. L’operazione talvolta è fatta bene, talvolta male. Nel caso del tecnocrate francese interpretato da Cassel, onestamente, era difficile fare peggio di come hanno fatto Nolan e la Joy. Parere personale, ovviamente.
    E poi, la marginalità data a personaggi meravigliosi come L’uomo in nero o Bernard, per non parlare delle metamorfosi di Dolores in Giovanna d’Arco e di Maeve in Beatrix Kiddo non si digeriscono facilmente.
    La stessa idea del parco come metafora del mondo reale, dove ugualmente sono tutti burattini dei plutocrati di turno, di per sè è anche carina ma è un topos trito e ritrito di cui sono pieni i siti di complottisti che tengono la bambolina voodoo con la faccia di Soros…

    Boh, che ti devo dire amico mio, sono rimasto delusissimo. Da uno come Jonathan Nolan posso accettare errori nella messa in scena ma approsimatezza narrativa no, mai. Voglio dire ha scritto a 4 mani col fratello alcune delle sceneggiature più geniali di questo secolo, non può scivolare così…
    Forse le mie parole sono dettate dall’emozioni, tuttavia la sostanza per me è questa.

    Ora posso solo sperare che tu sappia illuminarmi, che sappia mostrarmi delle meraviglie nascoste che io, miope, non ho saputo vedere. Lo spero veramente, peerchè non posso sopportare che un gioiello come Westworld perda colpi così.

    Piace a 1 persona

    • Ti ringrazio per questa tua richiesta, fratello: considerando che non ho alcuna intenzione di scrivere alcun post al riguardo, non per lo meno fino alla sua conclusione definitiva (che secondo i programmi di Nolan dovrebbe avvenire con la prossima stagione), penso che questo mio post sul “cambiamento” sia lo spazio perfetto dove trarre un bilancio di questa Terza Stagione di Westworld, fiction che resta, aldilà degli alti e bassi, una serie straordinaria, che consiglierei ad occhi chiusi a chiunque scelga di fare un’esperienza di visione non superficiale.

      WestWorld è una fiction che ha volato altissimo nella sua Prima Stagione, grazie ad una libertà senza precedenti di cui hanno goduto i suoi sceneggiatori: il suo creatore Nolan si era anche allora ritagliato uno spazio di regia, che ha ripetuto all’inizio di questa Terza Stagione, quando il drone della cinepresa cala dall’alto, abbracciando la grande metropoli ed i suoi corridoi umani, dove le persone percorrono le loro strade, fatte di lavoro e routine quotidiane, scandite dagli impegni sociali e professionali, fino a riprendere la camminata di spalle del protagonista positivo, tanto che è in quel momento, in quell’incipit straordinario, che lo spettatatore sente tutto il vigore emotivo ed intellettuale del pensiero che si muove in silenzio dietro i tre storytelling, ma che ahimé verrà in parte tradito, fino all’epocale season finale.

      Si, WestWorld ha gododuto nella prima serie di una scrittura e di una messa in scena senza freni, spezzando il tempo della narrazione ed imponendo allo spettatore di perdersi nei giochi narrativi sul parco creato da Ford, sul gioco che lui aveva costruito e nascosto tra le pieghe delle varie attrazioni, come una traccia invisibile agli umani ed utile solo ai robot-residenti, che in quel modo, seguendo quel filo nascosto, antropoligico e sociologico, trovavano la loro autocoscienza prima della mattanza; la fiction ha poi vissuto nella Seconda Stagione lo sciogimento degli enigmi lasciati in sospeso con la Prima Stagione e resi ancor più complessi da tutta la prima parte della seconda serie (anche la più involuta narrativamente), fino al dipanarsi della matassa, con la creazione di due schieramenti contrapposti ed un gioco temporale che si faceva via via più chiaro, grazie anche alle epifanie esplicative e catartiche portate dal replicante che su di sè portava il peso di due mondi (Bernard) ed un padre che si uccide per liberare il figlio (Ford), fichè la loro amicizia impossibile viene portata via sulle rive dell’oceano.

      Infine arriva una Terza Stagione che poteva giocare le carte vincenti di un capitolo extra-romanzo, dove narrare, come nel seguito mai scritto di un romanzo solo immaginato dal lettore, cosa accadeva agli eroi ed alle eroine cibernetiche sopravvissute, ma quel plot fu falcidiato da esigenze di produzione e Nolan e consorte sono stati costretti a cedere alle richieste di un plot più semplicistico, più lineare, senza flashback e pendoli temporali, ma soprattutto hanno dovuto abdicare alla loro idea di un villain poliedrico, costituito dalla molteplicità dei tanti alter-ego della stessa Dolores (la cui identità sarebbe dovuta arrivare nascosta fino alla fine, come un eroe che combatte contro se stesso, per scoprire che un altro se aveva programmato tutto): abbiamo avuto in cambio, purtoppo un cattivo bidimensionale, Serac, nato dal risvolto della storyline (non essenziale, ma assurta a principale) del Grande Fratello che controlla, prevede, cataloga ed etichetta l’umanità come in una versione sociologica delle bolla di filtraggio, ma è stato appunto un villain spuntato, un fante in mezzo a possenti cavalieri (i residenti) che vivono infinite vite grazie alla sfera della coscienza che trasportano da involucro ad involucro, relegando in secondo piano, fino a dimenticarsene persino, della storyline principale, quella di Bernard, creato da Dolores come deuteragonista e che lo spettatore fa fatica a seguirne l’utilità (per forza, hai tolto la pistola ad un killer che ora se ne va in giro con il dito puntato come un arma senza poter davvero sparare!).

      Una Terza Stagione monca, rimaneggiata, che offre in ogni caso una visione gradevole e scorrevole, a cui per buona parte purtropppo manca un’anima, fino a ritrovarla nel doppio finale: prima la conciliazione tra le due combattenti replicanti della Seconda Stagione (Maeve e Dolores), come due capitani dello stesso esercito, che condividono una delle descrizioni di bellezza e gentilezza più ispirate della televisione del dopoguerra; poi il vero finale della scena post-credits in cui Nolan, con una zampata da leone ferito ma orgoglioso, riprende il timone, richiama lo spirito intellettuale della doppia mente di Ford, fa rinascere la storyline di Bernard, trasformandola nell’unicorno di ogni narrazione possibile (giacché con quegli occhi spalancati verso il pubblico, può diventare tutto), mostra la Dolores del futuro, dopo la transustazione finale e soprattutto regala al mondo dei robot il character più ambivalente delle prime due stagioni ovvero l’Uomo in Nero ora fagocitato non dal suo denaro o dal suo senso di colpa ma dalla sua replica.

      Spero di aver risposto in modo esauriente, amico mio.

      P.S. I choose to see the beautyHo scelto di vedere la bellezza… Forse il picco della serie

      !!! VIDEO SPOILER !!! Proibito per chi non ha visto la Terza Stagione

      Piace a 1 persona

      • Ti ringrazio, amico mio, per il commento ricco ed esaustivo.
        C’è un passaggio, breve ma significativo, che credo riassuma tutto:
        quel plot fu falcidiato da esigenze di produzione e Nolan e consorte sono stati costretti a cedere alle richieste di un plot più semplicistico

        Nolan e Joy avrebbero voluto seguire una strada diversa, narrativamente più impegnativa e quindi più rischiosa ma potenzialmente meravigliosa, ma purtroppo hanno dovuto (voluto) sottostare a esigenze di produzione (ovvero economiche) restie a finanziare un progetto potenzialmente troppo complicato e quindi poco remunerativo.

        Questo, da solo, spiega la piattezza narrativa di questa terza stagione e la pochezza in termini di appeal e di spessore dei nuovi personaggi introdotti. Come dicevo sopra, l’introduzione di personaggi ex novo è pratica comune in una serie TV. O hai il tocco di classe di inserire il Michael Emerson nella terza stagione di Lost o lo Steve Buscemi nella quarta stagione de I SOPRANO, oppure il rischio di inserire un deus ex machina percepito come stonatura è grosso. Ed è quello che è capitato sicuramente con Cassel e probabilmente anche con Paul in questa terza stagione.

        Hai ragione quando rilevi il moto d’orgoglio di Nolan nella scena post credit, dove riabilita due personaggi centrali come Bernard e L’uomo in nero, tuttavia temo che i lacci e lacciuoli già dispiegati dalla produzione possano tarpare alle ali al Nostro.

        Non resta che aspettare.
        Nel frattempo mi consolo guardando una serie TV di inaspettata bellezza (THE STRANGER) e aspettando l’epilogo di una serie tv iniziata dietro tuo consiglio e diventata rapidamente una delle mie preferite tra quelle uscite più di recente (DARK).

        Piace a 1 persona

  13. Sono arrivato a meno di un terzo della lettura di tutti i commenti, quindi esprimermi sul tuo articolo è ancora presto, perché in effetti i commenti fanno parte ed estendono il concetto dell’articolo stesso, ma ritornerò, come sempre in ritardo, a dire la mia.
    Intanto ti faccio i complimenti, perché ogni volta che scrivi un post, è un grande post.
    I miei tempi, da un bel po’, sono condizionati dai tempi di altri e di altro, e quindi sono meno assiduo, ma investire del tempo su post come questi è qualcosa di intrigante. Dai da pensare, nel senso più puro.

    Piace a 1 persona

    • Sei davvero molto attento e scrupoloso nel considerare la lettura dei commenti e relative risposte come parte del post stesso…
      La cosa affascinate è che in realtà hai perfettamente ragione tu, ma se io, tanto per dire, applicassi lo stesso tuo metodo rigoroso, non avrei tempo per leggere tutto quello che mi interessa su WordPress…
      Aspetta…
      Ma è esattamente quello che faccio anch’io!
      Allora è questo che accade alle persone come noi?
      Che si smarriscono nei sotterranei labirintici del Louvre alla ricerca del significato perduto delle cose esposte?
      Oh, Gianni, tu non penso che abbia piena coscienza di ciò che sto per dire, ma nella maggioranza delle cose che dico alberga sempre qualcosa delle nostre chiacchierate, un’eco, una riflessione a posteriori…
      Insomma, se leggendo cose che ho scritto ti sentissi chiamato in causa o se in ogni caso tu dovessi provare una sensazione di dejavù, probabilmente avresti visto giusto…

      Piace a 1 persona

      • Credo che sia, o be’ forse è un concetto strano… Accade che si parla e si modifica il pensiero, proprio e degli altri, ci sarebbe da parlarne un bel po’ anche di questo. E sì, spesso mi hanno buttato fuori dai musei per poter chiudere!

        Piace a 1 persona

  14. Pingback: Non temete il Cambiamento — kasabake | ilperdilibri

  15. Pingback: Meme .4: Influenze tentacolari – Le cose minime

    • La citazione dell’attesissimo nuvo film di Nolan è deliziosa, così come quella sulla forma non necessariamente lineare del tempo…
      In realtà sono rimasto anche qui su WordPress, ma in altre “stanze”: avevo bisogno di prendermi una pausa dal mio blog e soprattutto da quel modo di gestire lo spazio che era divenuto più uno spazio di commento e riflessione su questioni personali e sempre meno sull’argomento di cui scrivevo (chi ha fatto cosa, come mai, perché e così via, in una sorta di piazza 2.0 che mi aveva un pochettino stancato, ma era un problemo mio e non della piazza in questione), perciò ho inziato da fine Luglio una collaborazione sul blog di Paola e Silvia “Parole e Pensieri a Bassa Voce”, dove scrivo di musica e videoclip ogni settimana…
      Nel frattempo ho continuato il mio lavoro secondario di gestione degli spazi di contenuti (articoli, video, immagini) di un paio di siti e-commerce di vendita online di gadget, libri e fumetti, gestiti da perosne che conosco qui a Bologna…
      Insomma, come direbbe Adorno, Minima Moralia…

      Piace a 1 persona

      • Constato e apprezzo oltremodo la tua continuativa presenza in questo universo che condividiamo. Con rinnovata serenità e distacco, è più semplice gestire un multiverso espanso 🙂
        Io, da brava talpa che si infila in ogni wormhole che trova, verrò a “snappare”, cioè a curiosare, anche da Paola e Silvia.
        Ad maiora, come ama dire Wwayne ❤

        Piace a 1 persona

  16. Buongiorno esimio,
    complimenti per il reportage di taglio giornalistico, veramente professionale.

    Consentimi di esprimere un parere contro corrente, io credo esista un pregiudizio nei confronti dei presunti pregiudizi rispetto al cambiamento, che termine affascinante e inquietante… il cambiamento. Sai, sono nato nel 1957, quando la quasi totalità degli Italiani non aveva l’automobile, la TV, il telefono e il frigorifero, lavatrice neanche parlarne, ho vissuto il boom economico degli anni ’60, telefono attaccato al muro dell’ingresso e lavatrice che quando faceva la centrifuga chiamava a raccolta tutta la famiglia per evitare circolasse per casa. Ho fatto liceo e università nella rovente Torino degli anni ’70, qui il terrorismo faceva veramente paura. Negli anni ’80/90 ho assistito all’ammorbamento pianificato dei giovani, per tenerli lontano dalla piazza, allargando le maglie su alcol, droga e decibel, poi è arrivato internet, il cell, la tecnologia condizionante capace di creare dipendenza a milioni di individui. Ma veramente qualcuno pensa che gli Italiani abbiano paura del cambiamento? del diverso? delle innovazioni? Io non credo, gli Italiani sono tremendamente “normali”, dotati di grande capacità di adattamento a tutto, penso piuttosto che a molti dia fastidio proprio questa tremenda “normalità”. Ci vuole coraggio, cultura e intelligenza per vivere la “normalità” e seguirla nella sua evoluzione, già, è questo il punto mio caro e stimato amico, la “normalità” è quanto di più dinamico possa esistere.

    Un caro saluto.

    Piace a 1 persona

    • Sin dall’inizio del nostro rapporto epistolare tramite il web, una parte importante della stima che ho sempre riposto in te, come penna e come pensatore, è dovuta proprio al tuo essere un controcorrente, ma non fine a se stesso ovvero uno spirito libero che non si fa condizionare dal facile pensiero comune: non a caso a suo tempo ti paragonai a Curzio Malaparte, accusato di antifascismo durante il ventennio e viceversa nel dopoguerra.

      Le tue osservazioni sono ancora una volta giustissime (senza contare la deliziosa cronaca personale) e ti dirò che, a costo di apparire contraddittorio (le esemplificazioni paradossali lo sono spesso) io rilancio: la normalità è rivoluzionaria, ma non è vero conservatorismo perché la normalità è dinamica, figlia della necessaria ricerca del giusto quieto vivere e oggetto di continui microscopici e silenziosi aggiustamenti, senza la faziosità dei finti rivoluzionari e degli altrettanto finti difensori dei sacri principi (ipocrite fazioni di barricata, quasi sempre provenienti dall’estero e che in Italia ereditiamo per colpa dei social).
      Per rispondere, infine, alle tue domande retoriche (tali perché contenenti la giusta risposta dentro di esse), no, nemmeno io ritengo possibile che chiunque dotato di raziocinio possa davvero credere che gli italiani abbiano paura della diversità e del cambiamento: da persone intelligenti, quale io e te indubbiamente siamo, ci ritroviamo piuttosto troppo spesso a guardare dall’altra parte del fiume moltitudine di galline starnazzanti che fintamente si scandalizzano di finti scandali contrastate da altrettanto finti detrattori e sostenitori.
      Ciò che temo, per il nostro paese ed il nostro popolo, è che a lungo andare anche quel tratto di salute mentale e sociale che contraddistingue da decenni Il buon senso del così detto padre di famiglia (a cui anche i nostri legislatori e padri costituenti facevano spesso riferimento) possa annacquarsi ed intorbidirsi sotto i colpi di un costante e logorante inquinamento culturale.
      Grazie, sempre.

      Piace a 1 persona

Lascia un commento