Biopic, tra Storiografia e Biografia romanzata

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Tra i tanti demoni che da sempre minacciano la nostra cultura occidentale, esiste quello del bisogno spasmodico di una referenzialità paterna ovvero quella tendenza a cercare, nel pensiero espresso da intellettuali ed artisti del passato, supporti e valorizzazioni delle proprie tesi, siano esse analisi critiche, filosofiche, economiche e persino ontologiche: è una ricerca di aderenza ai classici, che anche quando finge di sbeffeggiarli, spesso supinamente ad essi si inchina.

Schindler's-List

Non sto parlando, sia molto chiaro, della doverosa citazione delle fonti (cardine alla base del vero giornalismo di stampo anglosassone e di ogni analisi storico-accademica), ma di quello stratificarsi di opinioni che l’un l’altra si confortano e si giustificano a vicenda, come in una bolla di filtraggio gnoseologica, nella quale la verità si può conseguire solo aggiungendo pezzi ad un puzzle cominciato da altri e come tale acquisendo valore più dalla prosecuzione di idee create da terzi che non da intuizioni fulminanti personali: è così che sia i romanzieri, sia gli autori di cinema e TV hanno sviluppato con il tempo una passione quasi morbosa per le biografie di artisti famosi, ma anche di grandi condottieri, strateghi politici, industriali, inventori e di chiunque la cui vita possa di fatto essere usata come guida esemplificativa per parlare di storia, arte o economia.

Caravaggio

La caratteristica delle biografie così intese è ovviamente da sempre solo parzialmente didattica o comunque per lo meno non del tutto divulgativa (motivazione che non nego sia preponderante), giacché sono sempre molto forti e presenti quegli elementi di finzione e di drammatizzazione selettiva, per i quali la decisione di mostrare alcuni episodi in particolare della vita di qualcuno diventa già essa stessa una palese manipolazione della realtà: oggi sappiamo che persino Giorgio Vasari, padre di ogni moderno biografo, quando nel Rinascimento scrisse la sua celeberrima Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori (pubblicata dapprima nel 1550 da Torrentini e poi ampliata e corretta nell’edizione Giunti del 1568), si prese numerose licenze dalla verità storica per rendere la sua narrazione più appetibile, creando un canone di scrittura che fece infiniti proseliti.

Mr-Turner

La biografia divenne da subito un vero genere letterario, oscillante in continuazione tra due estremi, da una parte la Storiografia (poco appetibile, ma più fedele) e dall’altra la Biografia Romanzata, dove la cronologia degli avvenimenti e le interpretazioni dei fatti vengono manipolati e gestiti dall’autore, in base alla sua idea preconcetta dell’evoluzione caratteriale della personalità di cui sta raccontando la storia, la quale, per questo motivo, smette di essere oggetto di analisi storica e diventa un character romanzesco a tutto tondo.

Patton

Una lezione questa che dalla letteratura si è spostata immediatamente al cinema, creando capolavori indiscutibili dal punto di vista filmico ma anche incredibilmente fallaci e fuorvianti negli aspetti storici: impossibile non citare ad esempio un film come Patton, sceneggiato da Francis Ford Coppola e diretto nel 1970 da Franklin J. Schaffner, dove l’incredibile teatralità recitativa di George C. Scott mette in scena una sorta di Apocalypse Now ante litteram, descrivendo la guerra come ragione di vita, con una presenza insistita sullo schermo che non può non ricordare la visione bidimensionale che il personaggio del colonnello William Kilgore esprime nel poema cinematografico definitivo sul conflitto del Vietnam.

Savage-Messiah

Questo appoggiarsi sulla narrazione della vita (o anche solo di pezzi di essa) di personaggi famosi divenne una costante del cinema statunitense ed europeo, con davvero innumerevoli esempi da citare, ma tutti accomunati da una caratteristica fondamentale ed ossia la drammatizzazione degli eventi che, nel migliore dei casi, aveva lo scopo dichiarato (non sempre mantenuto) di usare quelle licenze per meglio spiegare un periodo storico o un concetto: valga su tutti Savage Messiah, la biografia dello scultore francese Henri Gaudier-Brzeska, portata sullo schermo nel 1972 dal borioso ed irruente genio della settima arte Ken Russel, non già con velleità documentaristiche, ma solo come prosecuzione del suo discorso sul genio e sul fuoco della creatività, come aveva già fatto un anno prima con l’ancor più celebrato film The Music Lovers (distribuito in Italia con il titolo L’Altra faccia dell’Amore, perché si sa che le nostre traduzioni dei titoli sono sempre davvero spumeggianti), incentrato sulla vita del compositore russo Ciaikovski, giacché ciò che accomuna entrambe queste biografie molto fantasiose è l’aver piegato la storia alla propria tesi interna.

Amadeus

Va detto, tuttavia, che a differenza della letteratura, la biografia al cinema stentò a divenire un vero genere narrativo, nascondendosi per decenni tra le pieghe del film storico e del film drammatico e solo ultimamente si è cominciato davvero a parlare di biopic (contrazione linguistica di biographic motion picture, nel rispetto di quel gusto davvero malato delle ex-colonie inglesi di inventare nomignoli di sintesi per quasi ogni cosa) per indicare una categoria a sé stante: a Bologna, il critico cinematografico Andrea Romeo (tra i fondatori anche del Future Film Festival) nel 2005 istituì e promosse persino una manifestazione dedicata a tale genere ovvero il Biografilm Festival, che ogni anno si è andato arricchendo di partecipazioni sempre maggiori e questo perché nell’ultimo periodo anche nella settima arte si è rotto un equilibrio (forse prima solo di facciata) che rendeva la biografia romanzata soltanto un soggetto di finzione.

The-Founder

Con i pochissimi esempi sopra mostrati, infatti, ho evidenziato come la storia delle biografie al cinema è effettivamente una storia vecchia, ma quello che dovrebbe far seriamente riflettere è l’aumento esponenziale, avvenuto invece solo di recente, di film dedicati a personaggi storici di un passato anche molto vicino a noi, soprattutto per il significato che tale esposizione di genere rappresenta: se, infatti, a quel bisogno di referenzialità paterna nella formulazione di una tesi interpretativa (di cui accennavo all’inizio) si aggiungono gli effetti di un altro demone della nostra cultura ossia quello della manipolazione del passato, si ottiene una ricostruzione cellulare del DNA della storia che la rende liquida e quindi duttile a quella trasformazione di ogni verità oggettiva in narrazione personale, sia essa politica o antropologica.

The-Social-Network

Il biopic è la personalizzazione della storia in racconto individuale e quindi l’umanizzazione di eventi che prescindono dalle singole persone, favorendo l’illusione perniciosa che tutte le cose accadano sulla superfice degli sfondi sociali, militari ed economici e non dentro di essi: purtroppo è invece assai evidente, per chiunque non viva tra le nuvole, che gli individui non sono degli straordinari crononauti in grado di vivere le loro vite surfando sul piano della realtà, ma comuni mortali le cui scelte vengono costantemente influenzate (spesso persino indirizzate a forza) dall’ambiente che li circonda, tanto che quanto accade su scala nazionale o globale non è mai determinato soltanto dai loro intendimenti, per quanto essi possano essere eroici, titanici ed ostinati.

The-Current-War

Ovviamente questa severa e disillusa constatazione, senza intaccare affatto il sacrosanto libero arbitrio, limita quel delirio di onnipotenza che è alla base del concetto narrativo di eroe solitario, in lotta contro tutto e tutti e come tale è deprimente ed affatto efficace in ogni forma di letteratura: come reazione avversa, dunque, a tale severa lezione filosofica e psicologica, già a partire dalla fine dello scorso millennio le librerie di tutto il mondo sono state invase da voluminosi polpettoni letterari su imperatori, concubine, santi e condottieri, nelle cui pagine i secoli passati venivano riscritti alla luce di fantomatiche rivelazioni sul carattere e sulla vita segreta di personaggi famosi di cui si pensava già di conoscere l’essenziale, ma dei quali veniva ora millantata la rivelazione di nuovi fatti sconcertanti ed incredibili, volti a dimostrare come il mondo stesso fosse stato cambiato dalle loro stesse esistenze.

Lincoln

La sostituzione della Narrativa alla Storia aveva cominciato a dare origine ad una realtà parallela a quella in cui viviamo davvero, popolata di talmente tanti eroi ed eroine da rendere incredibile la persistenza del male, del crimine e dell’ingiustizia: ovviamente il Cinema seguì la Letteratura scritta e nacque una serie sterminata di film dove venne definitivamente tolto il tappo ad una riscrittura di ogni disciplina conosciuta, raccontando la scienza e la fisica tramite le vite illustri di altrimenti oscuri e grigi studiosi, in pellicole nelle quali ciò che alla fine emergeva non era tanto la portata delle loro sensazionali scoperte o mirabolanti invenzioni, quanto la drammaticità dei sentimenti personali, in lotta durante tali ricerche.

A-beautiful-mind

Se autori come Paul Schrader hanno usato la scusa della biografia per dipingere personalità autodistruttive, che invece di modificare la realtà che li circondava venivano descritti nella loro personale implosione morale e fisica, come nel monumentale Raging Bull, diretto da Martin Scorsese nel 1980, altri cineasti invece inaugurarono la luminosa stagione dei film sugli scienziati, con piccoli capolavori di finzione, quali ad esempio A Beautiful Mind, diretto splendidamente nel 2001 da Ron Howard (che qui ha verosimilmente firmato il suo film più completo ed equilibrato) su una poderosa sceneggiatura di Akiva Goldsman, che scavalca ogni limite storico della biografia per creare una texture narrativa da giallo psicologico in tutto il nucleo centrale del film.

Neruda

Completamente sdoganato, quindi, quale genere cinematografico autonomo, il biopic ha visto cimentarsi con esso autori dal registro linguistico più disparato, a volte anche con esiti strabilianti, come nel caso delle due pellicole biografiche dirette dal cileno Pablo Larraín, dove tuttavia si respira sempre l’aria rarefatta dell’esercizio di stile: se nell’impeccabile Neruda vige un’equilibrio narrativo tra il fuoco dell’arte e le esigenze della storia politica, nello struggente Jackie il ritmo narrativo viene come intossicato dalla recitazione quasi sovrannaturale di Natalie Portman, come un gas di decomposizione che fuoriesce dal sepolcro di Kennedy ed ammorba tutti coloro che sono attorno, diventando il fulcro di una affabulazione dolente, nella quale l’elaborazione del lutto diventa un monologo di parole e immagini, tutto concentrato ad urlare il dolore rabbioso di colei che dall’ombra dorata, dove era stata relegata come first lady, è stata gettata suo malgrado nel circo mediatico.

Jackie

Anche di fronte ad evidenti opere artistiche di alta fattura, nello spettatore più smaliziato si insinua (come nel caso dei due biopic di Larraín) quindi la fastidiosa sensazione di assistere comunque alla prova arrogante di chi gioca a fare Dio, usando vicende realmente accadute a persone realmente vissute, per costruire una finzione, mai del tutto originale per suo stesso limite genetico.

Bohemian-Rhapsody

La fenomenologia dei differenti approcci al biopic si colora di toni paradossali quando il cinema mette in scena la spettacolarizzazione di uomini già essi stessi di spettacolo, come nel caso di due film recenti molto diversi, accomunati solo dalla comune etichetta di biopic musicali, Bohemian Rhapsody e Rocketman: laddove il film sui Queen è una biografia scritta da un fan e trasposta su schermo in modo maniacale ma pedissequo, con la sola preoccupazione di smussare ogni asperità o scomodità caratteriale dei personaggi originali, nel film su Elton John ci si trova invece di fronte ad una vera sceneggiatura cinematografica, scritta senza alcuna remora nel mettere in scena ogni vizio ed ogni errore commesso dalla pop star.

Rocketman

Entrambi i film sono comunque una manipolazione della storia per scopi di scena, con Singer preoccupato come regista di ricreare una copia perfetta delle esibizioni pubbliche della leggendaria rock band (costringendo il bravissimo Rami Malek ad un’ interpretazione davvero unica in quanto a mimetismo) e Dexter Fletcher che mette in gioco una narrazione personalissima nella quale Taron Egerton recita un Elton John fotograficamente dissimile dall’originale, ma capace di esprimere ciò che l’autore del film pensa fosse la vera essenza del musicista di cui tutti hanno conosciuto solo la figura pubblica.

Diana

Il limite dei biopic è proprio questo ovvero un continuo confronto tra due tendenze in conflitto ed intersecantisi, due approcci teoricamente divisi dalla stessa differenza concettuale che esiste tra un grande musicista che decide di riprodurre in modo personale un grande brano classico, aggiungendo l’emozione della sua interpretazione al valore intrinseco del pezzo originale ma di fatto stravolgendolo ed un bravissimo imitatore in cui la fedeltà persino alle smorfie dell’artista copiato non supera tuttavia i limiti di un mimetismo eccellente: laddove questo secondo metodo genera uno spettacolo grandioso ed appagante ma sterile, il primo crea un interesse intellettuale maggiore ma anche lo spettro di una noia mortale, in genere punita da scarso successo commerciale.

Elvis-upcoming-biopic

Mentre Hollywood, sul traino del successo planetario del Bohemian Rhapsody di Singer, si appresta a sfornare il solito plotone di biopic musicali (su tutti, senza dubbio l’attesissimo film sulla leggenda Elvis Presley, affidato all’istrionico Baz Luhrmann), vi saluto con un immagine distopica di pura fantasia, di una società futura, in cui persino a scuola i testi storici saranno sostituiti da tanti piccoli biopic, coloratissimi ed avvincenti, in cui la scienza e la cultura, l’arte e gli studi sociali, saranno raccontati come in un film o in una miniserie televisiva: di certo le giovani menti impareranno più in fretta e con maggiore piacere, ma chi tra loro avrà poi la capacità da grande di mettere in discussione ciò che con tanta superficialità avrà appreso?

Grazie per aver seguito le mie logorroiche pontificazioni ed arrivederci alla prossima occasione.


In questo post abbiamo parlato dei seguenti film:

Patton“, USA, DEU, FRA, 1970
Regia: Franklin J. Schaffner
Soggetto e Sceneggiatura: Francis Ford Coppola e Edmund H. North

The Music Lovers“, GBR, 1971tanti
Regia: Ken Russell
Soggetto e Sceneggiatura: Melvyn Bragg
dal saggio Beloved Friend, a collection of letters
a cura di Catherine Drinker Bowen e Barbara von Meck

Savage Messiah“, GBR, 1972
Regia: Ken Russell
Soggetto e Sceneggiatura: Christopher Logue
dal libro omonimo di Harold Stanley Ede

Raging Bull“, USA, 1980
Regia: Martin Scorsese
Soggetto e Sceneggiatura: Paul Schrader e Mardik Martin
tratto dal libro Raging Bull: My Story
di Jake LaMotta, Joseph Carter e Peter Savage

A Beautiful Mind“, USA, 2001
Regia: Ron Howard
Soggetto e Sceneggiatura: Akiva Goldsman
tratto dall’omonimo libro di Sylvia Nasar

Neruda“, CHL, ARG, FRA, ESP, USA, 2016
Regia: Pablo Larraín
Soggetto e Sceneggiatura: Guillermo Calderón

Jackie“, USA, CHL, FRA, DEU, 2016
Regia: Pablo Larraín
Soggetto e Sceneggiatura: Noah Oppenheim

Bohemian Rhapsody“, GBR, USA, 2018
Regia: Bryan Singer
Soggetto e Sceneggiatura: Anthony McCarten e Peter Morgan

Rocketman“, GBR, USA, 2019
Regia: Dexter Fletcher
Soggetto e Sceneggiatura: Lee Hall


 

105 pensieri su “Biopic, tra Storiografia e Biografia romanzata

  1. 2 mesi fa nel commentare un post del nostro amico Lapinsù buttai giù un elenco dei miei film preferiti. I titoli in questione erano:

    In mezzo scorre il fiume
    Two Lovers
    Il mio piede sinistro
    Forrest Gump
    Will Hunting genio ribelle
    La vita è bella
    Profondo rosso
    Hotel Rwanda
    Scent of a Woman – Profumo di donna
    Ritorno a Cold Mountain
    Bobby
    Stanno tutti bene
    Tutto può cambiare

    Come puoi vedere su 13 titoli ci sono ben 4 film biografici o comunque legati alla realtà: In mezzo scorre il fiume, Il mio piede sinistro, Hotel Rwanda, Bobby. Non è un caso: ho sempre preferito i biopic ai film dalla sceneggiatura inventata di sana pianta, perché tendo ad essere più coinvolto quando la trama ha una base reale. Anzi, in realtà mi basta vedere scritto “Tratto da una storia vera” dopo il titolo del film e vado subito in brodo di giuggiole.
    Ne consegue che mi sono brillati gli occhi appena ho letto il titolo del tuo post, e la mia goduria è aumentata quando sono passato a leggerlo. Mi è piaciuta soprattutto la parte in cui tessi le lodi di Akiva Goldsman, perché lo ritengo uno dei pochi sceneggiatori in grado di dare spessore ad un film d’azione senza fargli perdere la sua anima caciarona e tamarra. L’ha dimostrato in Batman Forever, Batman & Robin, Io robot… sì, lo so che nessuno di questi titoli è un action movie in senso stretto, ma sono comunque riconducibili a quel genere, perché anche in essi l’azione è di gran lunga l’elemento preponderante.
    Come hai detto tu, proprio perché il biopic da lui sceneggiato (A beautiful mind) è essenzialmente un giallo, non sono mai riuscito a rivederlo fino in fondo. Come i romanzi gialli perdono tutto il loro sapore una volta che conosci già l’assassino, allo stesso modo A beautiful mind non riesce più ad intrattenere allo stesso modo dalla seconda visione in poi, perché lo spettatore è già a conoscenza del colpo di scena che ribalta tutto.
    Stranamente non mi ha fatto lo stesso effetto un altro film di Ed Harris con il colpo di scena che ribalta tutto, The Truman Show: quello al contrario lo rivedo sempre volentieri. Forse perché più che un giallo è una satira del mondo dei mass media, dispostissimi a giocare con la vita delle persone se questo significa arraffare un punto di share in più.
    Riguardo a Rocketman, l’ho trovato un’occasione parzialmente sprecata. Alcune scene sono da brividi, ma il tono surreale dato al film è molto stucchevole e totalmente fuori luogo. Capisco la volontà di realizzare un biopic diverso dagli altri 100.000 visti prima (lo ha fatto anche Adam McKay in Vice), ma se cerchi di raggiungere quest’obiettivo riempiendo il film di situazioni che non hanno il minimo senso logico allora sarebbe stato molto meglio un biopic tradizionale. Ci vuole talento per essere anticonformisti senza risultare sgradevoli: Elton John ce l’ha, il regista del suo film assolutamente no.
    Non sapevo che Baz Luhrmann avesse in cantiere un film su Elvis, ma ritengo che sia un’accoppiata potenzialmente fenomenale: lo stile barocco e spumeggiante di questo regista è perfetto per tratteggiare un personaggio esageratissimo come il Re del rock & roll.
    Rimanendo in tema di biopic, stamattina ho guardato il profilo imdb di Lapinsù, e ho scoperto che ha dato un bel 7 a Lo stato contro Fritz Bauer. Erano anni che glielo consigliavo, quindi mi fa molto piacere che alla fine l’abbia visto, e soprattutto che gli sia piaciuto. Non vedo l’ora di discuterne con lui! 🙂
    P.S.: Il mio film preferito in assoluto è In mezzo scorre il fiume. Ma Tutto può cambiare gli va molto, molto vicino.

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    • Se sommi tutti i film biografici realizzati dall’inizio della storia del cinema e poi ci sommi anche quelli che, pur non essendo dei biopic in senso stretto (ovvero dove si racconti la vita o una parte importante di essa, di qualche personaggio famoso), sono comunque tratti da una storia vera, beh, alla fine ottieni una tale vastità di titoli che è praticamente impossibile non trovarne almeno tre o quattro in qualsiasi classifica di gradimento! Quello dei film con un soggetto biografico è praticamente il genere più diffuso tra i film drammatici e sentimentali (molto più raro tra gli action ed il comedy) in tutto il mondo (in Cina non si contano le produzioni dedicate ad esaltare la vita e le gesta di qualche grande uomo del passato), tuttavia, malgrado ci siano clamorose eccezioni (una di queste è proprio quella meraviglia assoluta di A River Runs Through It – In mezzo scorre il fiume, opera somma di Robert Redford, nonché campione di tutto quel genere di cinema che proprio da questa pellicola prese vita), io tendo personalmente a preferire film che abbiano un soggetto originale, magari ispirato a fatti reali (come quasi tutti quelli di Spike Lee per intenderci), ma che senza dover seguire lo stretto legame di una storia di vita vera possa permettersi di dire e fare ciò che ritiene più cnsono alla sua storia…

      Questo mi collega a due film che tu hai citato molto spesso in vari commenti, sia sul tuo blog, sia qui da me, ma anche da Lapinsu e Celia ovvero Hostiles e Begin Again – Tutto può cambiare: sono due pellicole straordinarie, ciascuna nel proprio genere, con storie che pur non essendo assolutamente biografiche potrebbero benissimo essere tratte da vicende reali (giacché la loro fedeltà storica è perfetta) ma che sono stati creati a tavolino da valenti autori di cinema e che oltretutto ho il piacere di aver visto ciascuna più di una volta, complice anche i passaggi su Sky Cinema (in una discussione tra te e Lapinsu avete identificato proprio nel piacere di rivedere un film più volte la giustificazione per farlo salire di punteggio in una possibile classifica di merito)…

      Ciò che intendo è che entrambi questi film trovano la loro forza nell’incredibile capacità di comunicare sentimenti più veri del vero, situazioni più reali di quelle reali ed alla fine ti lasciano dentro un’emozione fortissima, come se noi stessi avessimo provato ciò che hanno passato i protagonisti: ecco, per me questa è la vera magia del cinema, quando un grande autore scrive una storia bellissima, creata interamente dalla sua forza ispiratrice, dopo aver attinto a pieni mani dal mondo che conosce (sia essa la frontiera o il paesaggio urbano) ed aver trasformato tutto ciò che ha assorbito in una cosa nuova ancora e poi la affida ad un regista che riesce a tradurre in immagini tutto questo…

      Vidi il film scritto e diretto da John Carney solo per merito tuo e da allora non sono più riuscito a vivere senza: ogni tanto lo rivedo, lo ascolto e mi godo le interpretazioni straordinarie di Ruffalo e della Knightley… Sappi infine che Begin Again sarà da me in parte celebrato, non a caso, nel mio prossimo post, che dedicherò ad un film molto molto simile e ad un genere spesso relegato nel dimenticatoio e poco compreso!

      Grazie per esserci sempre, Wwayne, puntuale come un sorriso di chi ti vuole bene: un abbraccio, amico.

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      • In effetti Tutto può cambiare appartiene ad un genere (il film musicale) che a Hollywood non è tanto frequente. Ci sono i musical, i film in cui la colonna sonora ha un grande peso, i film che in pratica servono solo a sponsorizzare un cantante o una band, i biopic sui cantanti, i cantanti che si improvvisano attori (spesso con esiti disastrosi, vedi Britney Spears e Mariah Carey)… ma i film che parlano del mondo della musica in senso stretto non si trovano così facilmente. E non capisco perché: la musica piace a tutti, quindi un film che parla dell’argomento ha ottime chances di sfondare al botteghino.
        Colgo l’occasione per dirti che per l’Estate 2020 sto maturando un progetto molto ambizioso: una vacanza negli States. Ambizioso non tanto per i soldi (oggi viaggiare costa pochissimo, soprattutto se fai tutto al momento giusto), ma per il tipo di esperienza: ho passato quasi tutta la mia vita nei piccoli spazi della provincia italiana, quindi la grandezza sconfinata delle metropoli americane è l’esatto opposto di ciò a cui sono abituato.
        Oltre alle città più famose sono interessato a vedere anche delle mete meno scontate, perché è lì che puoi toccare con mano la vera America, al di là dei luoghi da cartolina come Manhattan o Miami Beach. A questo proposito, la città che mi intriga di più in assoluto è Phoenix: dalle informazioni che ho raccolto sembra la più sicura tra le mete meno scontate, e anche abbastanza carina esteticamente. Forse la mia indole provinciale alla fine prenderà il sopravvento e per l’Estate 2020 mi limiterò alla mia solita vacanza in Liguria, ma per il momento quest’idea mi solletica non poco…

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        • Quando mi sono sposato e mio fratello si offrì di pagarmi come regalo il viaggio di nozze, concordai con lui e mia moglie una vacanza bipartita, con 10 giorni alle Isole Barbados (oceano, spiaggie meravigliose ed una popolazione ex-colonia inglese molto orgogliosa ed allora anche discretamente autosufficiente economicamente) e 10 giorni a New York: nella grande mela, alloggiamo in zona Broadway, di per sé piena di strade anche malfamate (che trasudavano l’atmosfera di tantissimi serial polzieschi cittadini), ma a pochissimi passi dalle strade più blasonate come la Fifth Avenue; i ricordi più forti li ho nel cercare di comprare un’aspirina nei tanti delivery service sparsi per la città di notte (quelli che ti offrono cibo cinese ed indiano, insieme a vestiario e chimica da banco, come i polish ed i farmaci), nell’aver mangiato il pollo fritto nella zona di Brooklyn seduto a fianco di qualche taxista e nell’aver perso qualche pomeriggio seduto ad una panchina del piccolo Bryant Park, antistante la Public Library e vicino ad una delle più famose croissanterie newyorkese…

          Insomma, ti capsico benissimo, perché se potessi tornare oggi con più tempo negli States non mi focalizzerei nemmeno su una città in particolare (anche se, fossi costretto a scegliere una sola meta, prenderei San Francisco), ma farei il tour della 66 Route con una macchina a noleggio, tagliando gli USA da una parte all’altra, attraversando stati e fusi orari, perché una bella fetta di quel paese straordinario, oltre le grandi città e le vaste campagne, è cetrtamente tutto l’on the road.

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          • Aspetta Kasabake, non sono così spericolato: un viaggio in macchina in mezzo al deserto non lo farei mai, perché quelle strade in mezzo al nulla sono lunghe chilometri e chilometri, e se resti senza benzina sei nella merda più totale. Credo comunque che prendere una macchina a noleggio sarà inevitabile.
            In verità non avevo messo San Francisco nell’itinerario che sto preparando (o meglio, ne sto preparando diversi: il più ristretto prevede solo una meta turistica e una meno scontata, ovvero New York e Phoenix). Cosa ti ha colpito così tanto di quella città?

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            • Beh, senza dubbio il fatto che sia essenzialemnte una città unica nel suo genere, con tutte quelle ripide colline, i tram, la vicinanza all’oceano ed il suo essere metropoli, le aragoste servite nei tanti locali per comuni cittadini e non per ricchissimi, la nebbia estiva sul golden gate ed i mille microclimi che la rendono bizzarra, ma soprattutto il ricordo dei mille inseguimenti d’auto su quelle strade visti in una tonnellata di film e telefilm!

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              • In effetti ora che mi ci fai pensare c’è stato un telefilm intitolato proprio Le strade di San Francisco. Lanciò la carriera di Michael Douglas, poi diventato un grandissimo attore e un produttore dal grande fiuto: se lui non ci avesse creduto e investito soldi di tasca sua, film come Sindrome cinese e Qualcuno volò sul nido del cuculo non sarebbero mai esistiti. Grazie mille per questa splendida chiacchierata! 🙂

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          • Cerco di centellinare al massimo i post – classifica, perché ho imparato che se ne pubblico uno ogni tanto quell’articolo farà il botto, se invece mi metto a pubblicare una classifica dietro l’altra a quel punto i miei lettori si stufano e non mi cagano più. Di conseguenza quest’anno ne pubblicherò solo uno a Dicembre (e stavolta sarà una classifica dei migliori film non dell’anno, ma del decennio); nel 2020 potrei tranquillamente pubblicare un post – classifica dei migliori film in assoluto, soprattutto se dovesse capitarmi un periodo in cui non ho visto né letto niente di interessante.
            A proposito di letture potenzialmente interessanti, ieri ho comprato un romanzo ucronico che immagina cosa sarebbe successo se la Germania avesse vinto la seconda guerra mondiale: ok, non è un’idea originale (Robert Harris ha avuto la stessa idea ben 27 anni fa), ma se ben gestita potrebbe partorire un romanzo da 10 e lode. Se ti va di dargli una chance anche tu, il libro in questione è “Rodion” di Beatrice Simonetti.

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            • I nazisti che dominano il mondo, per di più raccontati da un’italiana?
              Ma certo che gliela do, una chance!!

              Sulle classifiche: d’accordissimo.
              Io sono una maniaca delle liste e non faccio testo, e poi non ho lo stesso tuo seguito, ma sto cercando comunque di diversificare (il che certo non mi riesce affatto difficile… ultimi quattro giorni, quattro post completamente diversi…).
              L’unico neo, almeno da un certo punto di vista, è che scrivo persino troppo, come rilevava anche Kasa. Sono una lettrice compulsiva ed una grafomane, ed ultimamente si vede – ma è un periodo. Il vento cambierà di nuovo, presto.

              Attenderò dunque la tua magica decina, senza fretta alcuna (per restare in tema lettura / scrittura compulsiva, sono arrivata a quota 70 blog seguiti, e tra gli archivi di quelli nuovi, che alcune volte leggo per intero, ed i nuovi post di voi pietre miliari non mi mancherà di che nutrirmi).

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              • Fino a qualche anno fa ero un grafomane anch’io: se vai a vedere i miei post del 2014, ti accorgerai che li pubblicavo ad un ritmo quasi compulsivo. Poi da Marzo 2015 ho cominciato a convivere con una fastidiosa crisi di ispirazione, a seguito della quale ho dovuto spremermi le meningi tutti i mesi per riuscire a tirar fuori il mio post mensile. Finora ci sono sempre riuscito, ma in certi casi sono arrivato agli ultimi giorni del mese senza avere ancora uno straccio di idea su cosa pubblicare.
                Per i prossimi mesi comunque qualcosa in programma ce l’ho: il post di Agosto è pronto, a Settembre esce il film di Tarantino, a Ottobre il Joker, a Dicembre farò la classifica che ti dicevo prima… l’unico mese senza nulla all’orizzonte è Novembre, ma da qui ad allora possono saltar fuori mille libri e film interessanti di cui parlare.
                Nota bene: non sto dicendo che recensirò al 100% il film di Tarantino o quello del Joker. Al contrario, se possibile evito di buttarmi su dei prodotti così mainstream. Sto solo dicendo che, se proprio non dovessi trovare nient’altro, una ciambella di salvataggio ce l’avrei. Buon appetito! 🙂

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  2. La biopic (termine che mi suona molto bene) di Elvis girata da Luhrmann!
    Non potevi rendermi più felice…! ❤

    Una cosa che, pur non risolvendo affatto il modo della manipolazione della realtà, io amo particolarmente (e che è fattibile in letteratura, ma quasi impossibile nel cinema) è l'autobiografia.
    Dove materiale originale e materiale rappresentato coincidono, l’alterazione di vicende e sentimenti è altrettanto facile, ma nasce da criteri intrinseci alla persona della quale si racconta, a volte persino ravvisabili in filigrana; e questo è per me molto affascinante.

    A proposito di imitation of life, di mimesi, ti segnalo – in tutt’altro ambito, ma con cascami importanti sull’argomento in generale – il saggio di David Foster Wallace e Mark Costello Il rap spiegato ai bianchi (sempre per la serie “traduzioni spumeggianti”).
    Peccato non avere più dfw a disposizione per girargli il tuo post e fargli nascere il tarlo della mimesi e dei suoi correlati nelle biografie cinematografiche.
    Immagina i chilometri di note 🙂

    [Ti segnalo un piccolo refuso: […] sia essa politica, antropologica e politica, politica è ripetuto due volte].

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    • Anizutto grazie della segnalazione del refuso, che ho prontamenre corretto: non hai idea di quanti ne commetta e di quanto tempo io spenda per sistemarli, lettura dopo rilettura… Eppure mi scappa ogni volta qualcosa, sob!
      Perciò, grazie di cuore!

      Venendo al post, sono lietissimo che tu abbia colto il senso profondo nascosto dietro le parole, ma onestamente non avrei potuto immaginare di meno da te… Aggiungo anche, che sono abbastanza convinto tu abbia colto anche la mia indignazione per una sorta di velata eresia presente nell’impianto stesso del biopic (assente quand’esso è ovviamente autobiografico), giacché ben sappiamo che l’unica agiografia concepibile è quella sulla vita dei santi, laddove la raccolta delle testimonianze sia al servizio del raggiungimento di una verità più alta, mentre nel caso delle biografie cinematografiche più che la verità spesso si ricerca la menzogna creata ad arte, specie se spacciata per storia vera.

      Come sai, perché ne abbiamo parlato altre volte, io adoro David Foster Wallace e posseggo tutte e sette le opere stampate dalla meritevole Minimum Fax, grazie ad un regalo, che mi fecero i colleghi della cineteca a suo tempo per il compleanno, con i 5 volumi uscti negli anni scorsi ed io che ho recuperato da solo quellio editati quest’anno (Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso e per l’appunto Il rap spiegato ai bianchi).

      Un ultimisismo appunto: in base al discorso che facemmo a suo tempo io, te, Lapinsu e Wwayne sul genere maschile o femminile dei termini stranieri, essendo biopic appunto contrazione di biographic motion picture, aggettivazione (biographic) di un sostantivo composto (motion picture) da tempo acquisito come maschile, a mio avviso il termine va usato al maschile. Ovviamente è solo la mia opinione, ma sono realtivamente sicuro.

      Buona notte, amica!

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      • Faccio il gambero.
        biopic: hai perfettamente ragione.
        Sia fotografia (picture) che biografia sono femminili, e m’è venuto così 😉
        (Troppa grazia per un banale refuso.
        Non c’è di che).
        dfw: allora sai già, o saprai presto, a che mi riferisco; e che il libro stesso più che la melodia cerca la ritmica.
        eresia: è una faccenda bella complicata, sigh. Io mi riconosco piuttosto estremista, mea culpa: in astratto, razionalmente, posso discutere quanto voglio di compromessi e di attenuanti, ma poi faccio davvero fatica a non cercare, per non dir pretendere, la massima aderenza possibile alla “verità” della persona indagata – oppure, agli antipodi, posso accettare una rilettura della sua vita dichiaratamente e fortemente “di parte”. Anche eccessiva, come dicevate di Rocketman (che poi non vedrò perché detesto poco cordialmente Elton John, proprio perché eccessivo, e qui cado nella prima contraddizione).
        an humble request: so che nonostante la vita reale, e ben più significative letture, ti reclamino mi segui con una certa costanza.
        Ti vedo in giro e mi pare persino di sentire il colpetto che dai sul ponte degli occhiali per spingerli sul naso (a proposito, perdona l’ignoranza, ma il Tizio del tuo avatar chi è?).
        Comunque, considerato il tuo gentile interesse e i riscontri sempre generosi che mi offri, mi permetto di chiederti un’opinione sul mio ultimo post filmico (Batman v Superman).
        Senza impegno! Ma se ne trovi il tempo, tralascia pure i convenevoli e spiattellami tutte le osservazioni che ti fanno pop in testa, di qualunque genere; che ne faccio tesoro 🙂
        Notte, amico mio 🌟

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        • Da quando è avvenuta una sorta di “restart” dei nostri rapporti internettari, io ti seguo sempre con costanza immutata e riesco comunque a ritagliarmi sempre il tempo di leggerti, anche se, ad onor del vero, il ritmo con cui mandi online nuovi post sul tuo blog è molto sopra la media di quanto io possa reggere normalmente: con il tempo mi sono reso conto ahimé che in questo piano di realtà (decisamente non-astrale) dominato da un tempo percepito come lineare e con freccia puntata inesorabilmente verso il futuro, non riesco fisicamente a seguire tutto ciò che vorrei seguire ed anche cercando un dignitoso equlibrio (compromessi, sempre compromessi ovvero le manovre finanziarie orchestrate dal mio super-io, un ministro che girovaga per le sale del governo del mio cervello con gli occhi fuori delle orbite, le vene pulsanti ed un falso sorriso di circostanza), la nave delle mie buone intenzioni finisce sempre per fraccasarsi contro gli scogli dell’immanenza, lasciando a galleggiare sull’acqua (anche in preda a metaforici squali fatti di urgenze dell’ultima ora), lavori di casa, incontri con gli amici, revisioni di articoli vecchi mai uploadati, poesie, racconti brevi e tutta una serie di progetti che si contendono un posto sulle pochissime sedie a disposizione nella consunta sala d’attesa del mio tempo libero…

          Se a tutto questo correre senza costrutto (il mio Avatar dovrebbe essere quello del white rabbit creato dal mite pedofilo e matematico, colpevole e frainteso assieme), si aggiunge che ogni tanto cado vittima di una parodia personale dell’estasi, nella quale letteralmente precipito in un pozzo temporale dalle pareti liscie e non scalabili (non vale nemmno il leggendario «no rope» che il vecchio cieco consiglia a Batman nell’iconica scena di esaltazione della paura), in cui vedo e rivedo un quadro o un film o uno scambio di battute tra due characters o ascolto un brano a ripetizione (finché non vengo sbloccato da una squadraccia di neuroni di tipo Navy Seals, inviati sempre dal superministro del mio cervello di cui parlavo sopra, che sta ovviamente seguendo l’operazione dal chiuso della sua situation room, con tanto di sigaro alla Winston Churchill in bocca, ovviamente una maschera, visto che il mio super-io non fuma…) ottieni una gestione del mio tempo libero che ricorda l’aribitrarietà di un numero fortunato che esce nella ruota della roulette di uno scalcagnato Casino di Reno (Las Vegas è troppo tronfia ed il mio super-io è comunque inguaribilmente blasè)…

          Quindi?

          Quindi non ho ancora scritto nulla sotto al tuo post (che ho letto subito) solo perché il finestrino dello scompartimento del mio treno dei ricordi dove siede Batman v Superman: Dawn of Justice è passato troppo velocemente ed i ricordi di discussioni e di chat con i colleghi blogger a suo tempo, ma anche su altre piattaforme dedicate al fumetto (te l’ho già detto che ho gestito per anni una fumetteria a Bologna?) mi richiamavano non la gioia e la felicità estatica del capolavoro immortale (tutta la Trilogia di Nolan) ma la noia di un film derivativo ed interlocutorio, nonché un’interruzione di gravidanza creativa criminale e pasticciata: tuttavia, tu sei tu e quindi per via di una speciale forma di razzismo comunicativo che da sempre mi contraddistingue, passerò da te appena possibile, per pontificare in modo supponente come mi si confà!

          Minima Immoralia:

          1. Train-Scene

          Joan Crowford da Possessed di Clarence Brown del 1931: una delle migliori sequenze di meta-cinema con una metafora della vita, del conflitto di classe, del tempo e del montaggio cinematografico logico, il tutto in un piano sequenza che commuove.

          2. Teaser trailer di Carnival Row (fiction tv Amazon Studios con Cara Delevingne)

          Quando gli autori guardano i classici: il teaser di Giugno, prima che arrivasero i trailer ufficiali, dove praticamente si svela (purtroppo) tutto il plot della serie.

          3. David Foster Wallace

          Tre romanzi con un picco centrale (per parafrasare la rosa di Getrude Stein, «Infinite Jest is Infinite Jest is Infinite Jest»), da Ithaca a New York, da Wittgenstein alla fenelzina anti-deoressiva e le terapie elettroconvulsivanti, come una gabbia di Faraday che invece di imprigionare il genio lo liberava nel mondo attorno a lui

          4. Avatar su WordPress

          Dopo quelli storici e molto nerd di Palpatine e del Supreme Leader Snoke, c’è stato per molto tempo il character del Dr. Walter Bishop (con le sembianze di John Noble) ed ora lo scienziato mutante Cary Loudermilk (con il viso dell’attore Bill Irwin) dalla totemica fiction Legion: questi ultimi due sono espressioni di una dark science e come me in bilico tra Inferno e Paradiso o meglio tra Apocalittici ed Integrati, nella Terra di Mezzo morale ove si respira la polvere lasciata dal crollo dei palazzi delle certezze ed i teschi fossilizzati di un mondo che kinghianamente è andato avanti.

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          • Immagino che prima o poi saprò rispondere (qualche ora, qualche giorno…).
            Per adesso lasciami stesa.
            Non è un commento come segno di attenzione e dunque come feedback del “fatto”, dell’illusione, che esisto e “io valgo” (cit. L’Oreal), che cercavo, ma un treno in faccia; ora è arrivato, che goduria.

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          • Dark rivers are flowing back into the past
            You are the fish for which I cast
            And what of the future, what is to be
            As the rivers flow into the sea
            […] Time is an illusion

            E’ questa estate, con parecchie giornate insolitamente miti, che mi dà vigore.
            Ed anche se sono ancora nelle prime fasi del lutto per mia madre, l’essere arrivata ad un punto di rottura – la liquidità si sta esaurendo, e così come stimato negli anni passati non c’è tutt’ora all’orizzonte nulla che mi possa tenere a galla – mi fa percepire un senso di disinibizione che si traduce in parole, parole, parole; su tutto quanto mi attraversa e non abbia il mero valore dei diffusissimi two cents facebookiani.
            Il minimalismo mi ha insegnato a passare dall’abbondanza all’abbastanza, ma la lezione principe, ancor più necessaria, è questa: stabilisci da te la tua soglia ideale, la portata massima (e quella media) che sai corretta perché la bolla d’aria nel regolo della tua esistenza rimanga al centro.
            Meno è meglio, ma solo se il “meno” è in grado di contenere il massimo del meglio. Il lusso. Ivi incluso il tuo tondino di pixel che compare sul Reader.

            Della fumetteria no, non sapevo.
            In verità non so nemmeno cosa fai adesso (di nessuno di voi lo so, salvo di Wwayne che ho inteso essere un insegnante, se non mi sto già confondendo). Hai lasciato un accenno all’organizzazione della rassegna estiva in IMAX, ma credo che tu nel cinema abbia attività collaterali più che di mestiere – se sbaglio, e se credi, mi corigerai.
            So che sei di veneranda età (ho fatto una stima approssimativa in base ad un commento di qualcuno), una terza generazione vampirica direi.
            E basta. Ma basta?
            Un Kasa è un kasa è un “kasa”, me lo faccio bastare.

            [Il frammento da Possessed… sorrido. Commossa].

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            • Volevo spedirti dei mastini demoniaci a casa per punirti, ma ho preferito optare per la più bizzarra Kharma Police per farti dare una lezione per aver osato vilipendere la mia augusta persona con accuse di anzianità, laddove é invece evidente che sono un giovinetto al pari di Gandalf di Arda (grido «You shall not pass!!» ogni giorno anche alle zanzare che cercano di entrare in casa malgrado l’uso di zampironi multiformi… Riuscendo loro e fallendo io, sob!)…

              Sto sorridendo, perché quello sulla mia incredibile vecchiaia è un tormentone iniziato proprio da Lapinsu e sul quale periodicamente io e lui torniamo, un po’ come per il film District 9 che è divenuto un assoluto aldilà di ogni reale speigazione, come attribuire il 42 quale risposta al quesito universale…

              Incredibilmente, in un mondo di vanesi narcisisti compulsivi (fenomeno che a suo tempo mi spinse persino a farci un post intero dedicato a tale fenomeno), quello mio su WordPress è un gruppetto di amicizie molto riservato (di cui sono il compente angarfaicamente più vecchio, anche se in assenza di informazioni non ne ho la certezza assoluta), che vivono questo spazio web come un’agorà dove scambiarsi idee e notizie e non una piazza instagrammata dove condividere ciò che si è mangiato a cena nel ristorantino del cazzo fuori mano o mostrare le scarpe appena comprate e da questa riservatezza sulla vita privata, che tutti noi rispettiamo come fossimo membri di un favolistico Fight Club, discende la mancanza di veri dati personali… Collezioniamo idee e non racconti personali e quando qualcuno di noi invece decide di esternare fatti della sua vita privata, lo fa sotto forma di fiction (le puntate sulla sit-com coniugale di Lapinsu e consorte sono celeberrimi) o di aneddotica esemplificativa (non mi sono mai aperto tanto come nel mio post About a Book: Any port in a storm fatto in risposta ad un tag game librario, che per altro in gneere evito come la peste, come ho tuonato in altro post)…

              Tu mi citi i Metallica ed io ti rispondo con i Depeche Mode, gruppo della mia infanzia, ascoltato allo sfinimento nel lungo periodo di solitudine che ho vissuto quando rimasi orfano di entrambi i genitori e vissi con i nonni materni (anche se tali per acquisizione, ma questa è un’altra storia…) ed in particolare con una loro canzone che amo alla follia, Blasphemous Rumours:

              I don’t want to start
              Any blasphemous rumors
              But I think that God’s
              Got a sick sense of humor
              And when I die
              I expect to find Him laughing

              Di base non amo il metal e più in generale il rock, tanto che, quando poco tempo fa postai, sul gruppo di WhatsApp dedicato al nostro progetto di scrittura collettiva The Gathering, un video dei Rammstein (gruppo che invece apprezzo molto), Liza, blogger amica che ben mi conosce, continuava a chiedermi stupita come mai avessi condiviso quel brano, se fossi davvero io a scrivere e comunque di nuovo perché lo avessi fatto!

              Ho fatto tanti lavori, sia per mantenermi agli studi, sia per campare: dopo l’università feci il coordinatore di un gruppo di educatori per una cooperativa di Bologna che gestiva alcune case-famiglia con ragazze adolescenti vittime di abusi genitoriali (ognuno di noi necessitava di una terapia settimanale per reggere il confronto con tante devianze ed orrori e la mia morale è stata messa a dura prova, specie quando da alcuni minori veniva avanzata la richiesta di abortire fecondazioni provenienti da stupri), quindi socio ed amministratore di una società che editava una rivista e possedeva una fumetteia a Bologna, poi l’incidente automobilistico nelle marche, il fallimento della società, la convalescenza a Fano (dove risiedeva mio fratello), una lunghissima ripresa in cui ho fatto lavoro d’ufficio per la ditta di brokeraggio alimentare di mio fratello, poi il rientro graduale alla normalità, il lavoro presso il dipartimento di Italianistica a Bologna, le  collaborazioni con alcune piccole riviste di cinema e letteratura ed oggi i piedi in due staffe, tra rappresentanza di prodotti alimentari con mio fratello e correttore di bozze per un paio di piccoli editori di fantascienza, condite da collaborazioni assolutamente esterne con le manifestazioni bolognesi dedicate al cinema.

              Tutto qui. Alla prossima, Cely!

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              • Tutto qui, mais oui.
                Elementare (manda pure i mastini, ho le crocchette fatte con sangue di vampiro pronte).
                Se desideri, incamero le informazioni e cancello il commento, cosicché non resti in giro l’oltraggio d’aver divulgato, in un luogo dove non si sa mai chi può passare, la tua vita personale (apprezzo che tu l’abbia raccontata. Dunque, insomma, ne conti meno di 60(00) e sì, in realtà lavori anche nell’istruzione).

                Poi mi ascolto i Depeche (non so nemmeno se la conosco).
                The small hours è degli Holocaust, ma la cover dei Metallica mi piace di più.

                Alla prossima, dissacratore.

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      • A proposito di dfw, di mimesi, di rap – ancora:
        “Musica. I giudici hanno stabilito che il riff di “Dark horse”, hit lanciata da Katy Perry nel 2013, ha citato un po’ troppo fedelmente la base di un brano cristiano, “Joyful noise”, scritto nel 2009 dal rapper Marcus Gray. Per il plagio la casa discografica della Perry dovrà pagare 2.780.000 dollari (se volete verificare le assonanze, trovate i due brani qui e qui)”.

        https://www.premier.org.uk/News/World/Christian-rapper-given-2.3m-after-Katy-Perry-copied-song

        "Mi piace"

  3. Stavolta parto da una cosa molto ermenautica, che quindi non c’entra un fico secco col significato del post.
    Leggendo le prime righe, ho scoperto che biopic è contrazione linguistica di biographic motion picture. Pensa te che tontolone che sono: avevo sempre pensato che fosse la CRASI di “biograph” + “epic”. Forse è molto più romantica la mia supposizione, tuttavia la sua inesattezza è inequivocabile, quindi mea culpa.

    Ma andiamo a bomba e permettini di buttare là una provocazione:
    chi prentende di conoscere o capire gli eventi storici attraverso la visione di un biopic, non è moldo dissimile da chi crede di poter conoscere e capire l’attualità basandosi sulle notizie visibili nella timeline del proprio social network preferito.
    Partendo infatti dall’assunto che Socrate era quello più onesto di tutti (SO DI NON SAPERE) e che la conoscenza andrebbe misurata per difetto, nel senso che chi si sforza di conoscere non si sta impegnando per sapere il più possibile bensì per ignorare il meno possibile, tutti siamo più o meno ignoranti. C’è però un gradino successivo da tenere in considerazione: l’inconsapevolezza della proprio ignoranza (ho visto\letto una cosa, ci credo anche se è una cazzata, mi ritengo sapiente).
    In questo circolo vizioso i biopic sono senz’altro pericolosi in forma simile a quanto sono pericolose le fake news o i telegiornali pilotati, seppur in modo più blando ma cionondimeno potente.
    Esiste quindi un solo antidoto per scongiurare la bellissima e (speriamo) distopica immagine con cui hai concluso la tua mirabile analisi del fenomeno del biopic, ovvero che gli spettatori abbiano gli strumenti cognitivi per separare la realtà dalla finzione e stabilire quindi quel confine (spesso ahinoi sottile) tra la storia e la storiografia.
    Se devo essere sincero fino in fondo, nutro ormai troppa poca stima dell’attuale società per sperare che ciò possa accadere, ma questo è un altro discorso e di sicuro questa non è la sede giusta per trattarlo.

    Permettimi un’ulteriore riflessione.
    Come sai, non sono un grande amante dei biopic ma credo di non aver mai espresso le ragioni di questa mia idiosincrasia. Ritengo gretto (per certi aspetti quasi meschino) raccontare una storia che non sia totalmente frutto della propria fantasia (ancorchè anche la fantasia è influenzata da mille altre cose, questo è vero, ma pur sempre di fantasia si tratta) e fare un film senza lo sforzo di dover creare un personaggio e organizzare una trama, bè, mi pare troppo comodo, un po’ come i bambini pigri che anzichè sforzarsi di fare le divisioni usano di nascosto la calcolatrice.
    Non ne faccio una questione economica come molti che criticano i biopic perchè inseguono facili incassi (chiunque sapeva che un film sui QUEEN e FREDDY MERCURY avrebbe sbancato il botteghino, per dire…), bensì creativa.

    Ovviamente, ciò non toglie che esistano bellissimi biopic e ne ho perfino recensito qualcuno anche io tessendone le lodi, ma il problema di fondo rimane. Tu ne hai evidenziato il pericolo culturale dei biopic, io quello creativo. In ambo i casi emerge un aspetto: bisogna aver ricevuto (e assimilato) un’adeguata educazione per fruire opere del genere, altrimenti si corre il rischio di guardare tutto con gli occhi ingenui e stupidi (in senso buono) di un bambino, come me credevo veramente che KITT potesse saltare se Michael Night premeva il tasto TORBO BOOST sul cruscotto della macchina…

    Ho sparato cavolate in abbondanza, posso togliere il disturbo con soddisfazione!!!!!

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    • C’è stato più di un momento (in particolare in un passaggio specifico, dove le mie parole sembravano annichilire qualsiasi entusiasmo eroistico) in cui le mie mani si sono fermate sulla tastiera e mi sono davvero chiesto se avesse senso continuare a scrivere così come stavo facendo per un post da pubblicare su Word Press (le riviste interne all’Università o altro diretto a chi ha già un palato avezzo sono tutt’altra cosa), ma poi ho deciso di continuare, perché come sai io appartengo alla categoria del bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto, perché credo davvero che arriverà un giorno in cui le macchine faranno pace con gli uomini ed i due programmi senzienti del Matrix (l’Oracolo e l’Architetto) si siederanno su una panchina a guardare giovani software flirtare con l’umanità, così come credo che in un futuro lontanissimo i nostri eredi potranno davvero vivere in realtà pentadimensionali da cui chiedere aiuto a noi uomini primitivi da dentro un tesseratto… Perchè i segnali della Speranza sono ovunque, come quelli dell’Apocalisse, magari nascosti tra le pieghe, in luoghi inaspettati o in un amico sconosciuto con cui hai condiviso sul web l’amore per il più grande detective del mondo e che pur non avendolo mai visto di persona, ti prende per un braccio e ti tira la volata nel tuo ultimo post, con un commento strabiliante…

      Perché no, non hai detto cavolate, tutt’altro: ogni tua parola è un sequel del mio post, ma di quei sequel belli, come Terminator 2, che completano la storia con più soldi, tempo e credibilità.

      Grazie amico mio.

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      • Pensi che definire un commento “bello come terminator 2” è il complimento più grande cui potessi mai aspirare!!!!

        ad maiora amico mio!!!!

        PS: come sai sto un po’ indietro nella visione dell’Arrowverse, e sono arrivato a quella puntata di FLASH in cui Sherloque si incontra con Renèe Adler… ecco, per quanto io ami questo show, penso che con questa cavolata abbiano toccato il punto più basso di tutta la stagione (già di per sè abbastanza moscetta).
        PPS: se ho citato questa scena è perchè tu, nel tuo commento, hai ricordato la passione comune e che ha cementato la nostra amicizia, quella per Sherlock Holmes.

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        • Sto ancora pensando alla bellezza ed alla profondità del tuo precedente commenta… Sono in autobus, in posizione scomoda, ma volevo dirtelo!

          Flash non lo vedo più, se quando ci sono interazioni con Supergirl… Per oramai questo condannato a morte Arrowverse (sai bene che si chiuderà tutto, vero?) esiste solo per la serie della cugina…

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          • So perfettamente che la stagione 8 sarà l’ultima di Arrow, come per altro che Felicity Smoak non ci sarà perchè (presumo) perirà in uno dei prossimi episodi che ancora devo vedere.
            Tuttavia mi sembra prematuro dare per spacciato l’arrowverse. Cerco di spiegarmi:
            Arrow chiuderà i battenti di sicuro, Flash pure sembra ai titoli di coda (ci sarà una sesta, forse una settiman, di sicuro non un’ottava), Supergirl arranca mentre le Leggende sembrano l’unico show ancora vispo e brillante (ma ignoro come vadano ascolti e rating).
            Tuttavia il buon Berlanti è un furbacchione, perchè nel frattempo ha buttato nella mischia Black Lightining che per ora è fuori dall’arrowverse ma non è detto che possa rientrare. Stesso discorso vale per i Titans e anche per Doom Patrol (che devo ancora vedere perchè non uscita qui in Italia). Poi a ottobre sarà la volta di Batwoman e già si vocifera di un nuova serie su un supereroe DC ordinata per il 2020.
            Insomma, ho come l’impressione che Berlanti stia facendo con l’Arrowverse quello che la Disney ha fatto negli ultimi mesi con gli Avengers: salutare i supereroi con cui è stato avviato il progetto, sostituendoli gradualmente con nuovi eroi in gradi di mantenere vivo e brillante tutto l’insieme.
            Non so quanto possa essere credibile e creativamente valida questa scelta, tuttavia è evidente che si tratta del modo più semplice per continuare a spremere uova dalla gallina….

            Detto ciò, permettini una annotazione sulla Supercugina.
            Come sai, dal secondo anno in poi secondo me lo show è molto calato, nonostante l’inserimento di alcuni personaggi anche brillanti (come Lena Luthor). La pecca fondamentale è l’evoluzione di alcuni personaggi, veramente patetica: Alex era partita come medico ed ora è diventata Terminator, Jimmy era un fotografo vintage con la macchinetta del padre e ora è diventato direttore di un giornale e vigilante dalla sera alla mattina, John da direttore del DEO è diventato un investigatore privato che manco in un telefilm degli anni 70… insomma, forse gli autori dovrebbero rivedere alcuni dei primi episodi per rendersi conto di quanto si siano allontanati dal senso dello show.
            Ovviamente, però, non mi perdo una puntata. Il motivo è lapalissiano: la supercugina, appunto. E’ di una bellezza sconvolgente, di un altro pianeta, per l’appunto. Personalmente poi la preferisco nella versione CATTIVA, sia la supernazista del crossover di 2 anni fa, o il clone cattivo addestrato dai russi in questa quarta stagione. Quando fa quello sguardo incazzato, mi sciolgo come un gelato al sole:

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            • Ovviamente hai perfettamente su tutto, a partire dalle considerazioni sul Berlantiverse, che effettivamente è cosa un po’ più ampia dell’Arrowverse…

              Berlanti/Bellanti ha creato una sorta di nicchia LGBT dal taglio più adolescenziale con le serie classiche (Arrow, The Flash, Supergirl e Legends of Tomorrow) affidandole a vari shorunner di ispirazione caciarona e molto teen per catturare il pubblico alla Riverdale e mentre si appresta a chiudere il poker di partenza, introduce nel gruppo base quel super-coglionauta di Black Lightning ed è pronto al ricambio con Batwoman ed altre due serie ancora nascoste… Oltretutto il furbacchione userà il prossimo crossover (dove non a caso sarà presente anche il preside di colore supereoe con le figlie gnocche) per fare uno switch-off con il botto! Infatti la saga è l’attesissima CRISIS con tanto di morti eccellenti!

              Parallaleamente all’Arrowverse, il buon Berlanti si è alleato con il sagace fumettista Geoff Johns per produrre Titans e Doom Patrol, con delle sceneggiature di eccellenza (se pensi che Titans è stato scritto dallo stesso uomo che ha scritto A Beautiful Mind ti dici tutto…), creando un nuovo universo un po’ più adulto e meno trash, ma sempre scanzonato…

              Due parole sulla cugina: non ho le capacità di giudicare criticamente una fiction che è diventata un puro guilty pleasure per me, alternando momenti che mi farebbero prendere occhi e orecchie e portarli in salvo per la stupidità e la banalità ed altri in cui mi sono divertito come un pazzo (quando Lex Luthor distrugge velivoli di cielo, di terra e di mare con la sua armatura volante mentre canta a squarciagola Frank Sinatra nella puntata finbale di stagione è da urlo! Per non parlare di tutta la sottotrama di Red Daughter con la doppia dose di Benoist, che è come dire doppia panna!!

              P.S. Tre Luthor nello studio ovale sono un regalo a qualsiasi fan

              P.P.S. Lena Luthor è la mia seconda preferita dopo la cugina (molto dopo)

              P.P.P.S. Molto bello il plot twist con protagonista Eve Tessmacher, con anche ulteriore twist finale della Leviathan…

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              • P.P.S. Lena Luthor è la mia seconda preferita dopo la cugina (molto dopo)
                Sei un buongustaio ehehehehehe…. Katie McGrath è nel mio radar dai tempi di Merlin… ti confesso però che c’ho un debole per la sorella Alex, nonostante i costumi e le pettinature sempre più ridicole con cui viene conciata.

                Nel discorso generale del Berlantiverse, le tue puntualizzazioni sono inappuntabili. E sinceramente dopo tanti anni di show… per così… leggeri, mi piace il cambio di registro di Titans e quindi aspetto con fervore anche Doom Patrol. Iniziai a seguire Black Lightining ma non riuscii a proseguire oltre la puntata 4 (nonostante le figlie notevolissimamente gnocche 😀 ). E sono curioso di vedere dove si inserirà Batwoman e se, come spero, oscillerà un po’ tra i due generi (come forse solo il primissimo Arrow sapeva fare).
                Staremo a vedere e per intanto buon weekend!!!

                PS: ho appena terminato la visione dell’ETA’ DELL’INNOCENZA e… che ti devo dire… non mi è piaciuto. Ovviamente la mia refratterietà ad apprezzare i film in costume gioca il suo ruolo, poi tutte quelle parti con la voce narrante (che due palle…) mi hanno distrutto: le voci narranti nei film sono – quasi sempre – il sintomo che le immagini e i dialoghi non son sufficienti, come un’ammissione di colpevolezza (ho scritto e diretto un film di merda e devo metterci dentro qualcuno che ve lo spiega). Pregiudizio mio, probabilmente… sia chiaro.
                Se non altro il film ha avuto il merito di ricordarmi (se mai ce ne fosse bisogno) che DD Lewis è sempre un portento. E poi avevo dimenticato quanto fossero belle in gioventù la Ryder e la Pfeiffer, quindi non è andato tutto perso il tempo speso per questa pellicola!!!!

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                • Mentre sul discorso Supergirl ed Arrowverse le tue considerazioni sono assolutamente inappuntabili, tutte, senza eccezioni, perché lineari ed univoche, senza possibili fraintendimenti, sul film di Scorsese, non a caso considerato uno dei suoi minori, sia da pubblico che critica, ci sono dei doverosi distinguo da fare e sono tutti legati in modo molto ermenàutico proprio all’abuso del cosiddetto voice over o voce narrante che tu hai evidenziato molto lucidamente…

                  È giusto che il film nel suo complesso possa essere odiato, proprio per la scelta radicale di Scorsese di aver voluto, nel suo percorso di ricostruzione della storia degli Usa e di New York in particolare (non c’é infatti soluzione di continuità narrativa, ma solo stilistica con Gangs of New York), imitare e iperrealisticamente ingigantire un genere cinematografico ed assieme letterario ovvero quello del romanzo melodrammatico a sfondo storico, che spesso nelle famiglie aristocratiche si soleva leggere in gruppo, con la sorella maggiore che quasi recitava i dialoghi del romanzo alle sorelle più piccole, raccolte in religioso silenzio o un gentiluomo che invece declamava divertito brani più arguti e disinibiti su politica e costumi ad altri suoi ospiti, riuniti in biblioteca per consumare tabacco e liquori.

                  The Age of Innocence è la narrazione di un nulla superficiale elevato a sostanza, come una versione newyorkese del britannico La Fiera delle Vanità, raccontato però dal punto i vista di uno di quei parassiti che autoincensandosi fa ai suoi simili un resoconto delle sue glorie ovvero un autoritratto di una classe dirigente ricca e privilegiata che sta costruendo una nazione dal marciume delle discariche e mostra la sua vera faccia in un’unica allucinante inquadratura, quasi fantascientifica, in cui Scorsese in campo lungo e poi in panoramica mostra lo scheletro urbano di una New York ancora tutta da edificare, ma già progettata con i palazzoni dei potenti edificati di fresco e la planimetria di street ed avenue già tracciata sulla terra battuta o addirittura ancora smossa.

                  Per tutto il film, in modo estenuante, Scorsese legge (nel senso letterale del termine) il testo del romanzo del 1920 da cui il film è tratto, creato dalla romanziera Edith Wharton, autrice famosa proprio per la sua abilità nel descrivere i personaggi: ecco che Scorsese fa una scelta di ridondanza quasi suicida, perché non usa il voice over per sopperire ad una presunta incapacità di descrizione (le tue parole, con cui hai condannato l’uso della voce narrante come stampella stilistica in un regista che normalmente non sa scrivere con le immagini fatti ed emozioni, mi trova concorde al 100%) ma lo usa come orpello aggiuntivo, in esaltazione dello spreco barocco e del manierismo di occasione in cui tutta quella società descritta nel film viveva.

                  Ciò che intendo è che la sceneggiatura di adattamento del romanzo, scritta dallo stesso Scorsese in tandem con il fidato Jay Cocks (con il quale non a caso scrisse nel 2002 quel Gangs of New York di cui parlavo prima, guarda caso questo secondo film completamente senza voce fuori campo) permetteva già solo con le scene ed i costumi di narrare tutta l’ipocrisia di quella società che preferiva restituire di fatto la Contessa Olenska al suo tirannico marito e che ha finto di tollerare il tentato adulterio di Newland; pertanto l’uso della voce narrante a cosa sarebbe dunque servita, se non a mostrare essa stessa la voce del narratore?

                  L’equivoco sulle modalità con cui Scorsese ha usato il voiceover è praticamente inevitabile ed io stesso, che ora a posteriori sto esaltando quel film, ne rimasi quasi disgustato alla prima visione, sul serio, trovandolo di una noia mortale; poi, spinto dalla mia testardaggine pervicace di voler sempre approfondire opere come quelli di Scorsese (che so non essere mai di immediata lettura), ho visto e rivisto il film più volte, finché il suo meccanismo non mi è stato svelato.

                  Ci sono infatti alcuni momenti del film assolutamente rivelatori di questa tecnica del voice over descrittivo usati in modo ridondante, in scene che già esprimevano perfettamente tutto ciò che la voce narrante raccontava ed in particolare una, probabilmente la più costosa di tutto il film e la più elaborata: Newland decide di andare al ricevimento serale organizzato nella ricca e sfarzosa casa del banchiere Julius Beaufort, uomo arrogante e abbastanza controcorrente da essere tollerato (finché era ricco) ed assieme additato (tanto da essere poi messo bando) dall’ipocrita aristocrazia newyorkese; è un tuffo in quell’ambiente di cui Newland in privato critica la superficialità e l’ingiustizia ma che in pubblico sostiene fermamente; Scorsese organizza uno splendido piano sequenza con cui seguiamo Newland attraverso una teoria di stanze e piccoli disimpegni, con la cinepresa che si sofferma pochi istanti su ogni ospite illustre, nonché sui quadri, il mobilio e l’arredamento tutto, in una scena costruita in modo maniacale dallo scenografo Dante Ferretti in un tripudio di ostentazione impudica ed alla fine lo spettatore si sente assolutamente immerso in tutto questo eppure Scorsese aggiunge lo stesso il voice over, descrivendo ciò che è già stato ampiamente descritto ed allora si comprende che quella voce narrante è come la serie di illustrazioni di Gustave Dorè che intervallavano le pagine delle edizioni di una volta della Divina Commedia, quindi una decorazione aggiuntiva, in omaggio ad uno stile narrativo che Scorsese ha giocato ad imitare.

                  Scusa la prolissità, ma siamo pur sempre ermenàuti!

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                  • Ho letto e riletto più volte la tua digressione, sono perfino giunto a rivedere la scena in piano sequenza da te citata per cogliere le stupende sfumature che hai evidenziato e me l’ho gustate pienamente.
                    Ovviamente non modifico il mio giudizio sull’opera, perchè dato di pancia da chi cerca sempre pathos catartico della visioni cinematografiche, e L’età dell’innocenza resta comunque un genere di film troppo diverso per poter avere il mio gradimento.

                    Discorso diverso, invece, per IL VERDETTO, filmone totale recuperato oggi. Ora ho capito perchè mi dicevi sempre che è una pietra miliara dei legal-movie. Di più, ne è pietra angolare a tutti gli effetti, tanto che quando scrissi diversi mesi fa una recensione in forma di processo, stavo scimmiottando un film che non avevo visto senza rendermene conto. Mamma mia.
                    Come dicevo a wayne in un altro commentario, ci sono molte scene memorabili. A me hanno colpito due un particolare:
                    1. quando Paul Newman parla col vescovo e rifiuta i soldi ritrovando in un sol colpo orgoglio e dignità
                    2. durante l’arringa finale, con la telecamera che stringe lentamente sugli occhi blu del Divo, fino a riempire lo schermo di un’emozione straripante.

                    Meraviglia meraviglia meraviglia
                    Domani altro giro altra corsa, ma sempre con Lumet a darmi la luce!!!

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                    • Sei davvero un amico, generoso e paziente, che si presta a leggere i miei polpettoni… Ed io inevitabilmente ne approfitto, scodellandoteli spesso…

                      Su Lumet, non c’è che dire: è un pilastro del cinema americano… È stato anche molto prolifico, dalla fine degli anni ’30 del secolo scorso, fino ai primi anni 2000 ed ovviamente non tutto ciò che ha fatto è alla stessa altezza ed ovviamente, avendo lavorato per 6 decenni anche il suo modo di fare cinema si è modificato in base ai tempi, ma i suoi capolavori sono immortali: La parola ai giurati, Il lungo viaggio verso la notte, La collina del disonore, Rapina record a New York, Serpico, Assassinio sull’Orient-Express, Quinto potere

                      Poi è andato un po’ in calando verso la fine del millennio, ma ha lasciato il mondo del cinema con un bel noir, robusto, con attori diretti in modo magistrale e che ha anticipato molto del poliziesco urbano e nichilista dell’attuale decennio al cinema… Un film che andrebbe recuperato Before the Devil Knows You’re Dead (da noi molto liberamente tradotto con Onora il padre e la madre).

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                    • Before the Devil Knows You’re Dead lo vidi una decina d’anni fa.
                      Ammetto (senza vergogna, sia chiaro) che mi avvicinai al film solo perchè in alcune scene Marisa Tomei mostrava le sue generose grazie per la prima volta, tuttavia ben presto mi avvidi della magnificenza dell’opera e del suo porsi come archetipo per il cinema a venire.
                      Tempo fa ne discutevo proprio con wayne (che non ha visto il film) e sicuramente tu sei stato molto più chiaro nello spiegare il perchè Before the Devil Knows You’re Dead funga da riferimento per molto cinema di questa decade.

                      Degli altri film che hai citato, me ne mancano diversi.
                      La parola ai giurati
                      Il lungo viaggio verso la notte
                      La collina del disonore
                      Rapina record a New York
                      Assassinio sull’Orient-Express (di cui ho visto la versione moderna di Brannagh)

                      Piano piano recupererò…

                      Tra l’altro stamane avevo iniziato a vedere AFTER HOURS di Scorsese, ma purtroppo mia figlia (che ha ereditato il gene paterno del poco sonno) si è svegliata alle ore seipuntozerozero, quando ero appena al minuto 10 di visione, e col cipiglio di chi non ammette risposte negative, mi ha detto: “Babbo, giochiamo con le Lego?”. Io, ubbidiente, ho spento la TV e seguito la pargola al tavolo della cucina.
                      Mi rifarò domani, comunque 😀

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                    • Ogni tanto anche un genio del cinema come Scorsese fa dei film che lasciano un po’ il tempo che trovano ed io so già che mi attirerò gli strali di qualcuno nel dirlo, ma penso che After Hours sia uno di quelli…

                      Per carità, ha il suo perché, ma per me è proprio lo script di un coglionata come Joseph Minion che vale poco… Sembra una di quelle commedie dall’umorismo nero che andavano di moda in Inghilterra negli anni ’90…

                      Sono ultra felice di sentire invece che hai visto già a suo tempo il noir con cui Lumet ha salutato il cinema, film poco conosciuto ma, come hai detto anche tu, anticipatore… C’è tutta una categoria di film, cinici e di periferia, che con il tempo è divenuta un vero e proprio genere, come God’s Pocket ed un po’ tutti devono così tanto al film di Lumet.

                      Sei più giovane di me, fratello, ma ne sai già a tronchi di cinema ed è un piacere stupendo sentire dalle tue parole l’apprezzamento per dei classici di questo tipo!

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                    • Non posso che esprimere solidarietà al tuo giudizio freddino sul AFTER HOURS. Anche togliendo il fatto che non mi piacciono i film che danno troppo spazio alla surrealtà (che in questa pellicola invece dilaga in ogni dove: personaggi, situazioni, ambientazioni), resta una storia proprio inconcludente, non classificabile sotto nessuna etichetta (comedy, drama, action, etc). Confesso che se verso metà film la Fiorentino non avesse cacciato le tette, probabilmente mi sarei addormentato.
                      Ad oggi, è il film più brutto che abbia visto di Scorsese, senza alcun dubbio, nonchè l’unica sua pellicola (insieme a L’età dell’innocenza) che non ho massimamente gradito.

                      Riguardo invece il film che hai citato, GOD’S POCKET, confesso che in un primo momento sono anche andato su IMDB per aggiungerlo in watchlist, se non fosse che mi sono accorto di averlo già visto e perfino giudicato con un severissimo 4 che, considerato il campionissimo cui è stato dato il ruolo di protagonista, è un voto ancor più grave. Il fatto che non abbia mimimanete memoria di questo film, inoltre, non deputa molto a suo favore… o al mio, a seconda delle prospettive.

                      Ti informo infine che sono (felicemente dibattuto) perchè da un lato bramo l’idea di continuare il recuperone Scorsese\Lumet cui mi sto dedicando nelle ultime settimana, ma d’altro canto Netflix mi ha appena informato che la seconda stagione di Mindhunter e lì, pronta per essere gustata….
                      Sarà durissimo prendere una decisione!!!!

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                    • Mi dispiace per il tuo giudizio tranchant su God’s Pocket: non sarà una meraviglia ma per me non è stato male, molto asciutto, interpretato solo da grandi interpreti, con un finale circolare… Poi, i gusti sono gusti…
                      Tanto per dire, tutti hanno esaltato a suo tempo Cop Land, di genere assimilabile (un gruppo di persone, un enclave con leggi sue ed un sistema morale suo) e lo continuano ad esaltare, mentre per me è solo minestra riscaldata (ma qui, però, c’è anche il fatto che non sopporto Mangold, a cui si solo il merito di aver diretto un capolavoro come Logan… Quello si, enorme).

                      Buona giornata, fratello!

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                    • eh vedi, su COPLAND siamo in totale disaccordo, dato che io l’ho adorato.
                      Con wayne abbiamo discusso ore sulla bellezza di questo film, in cui brilla (nonostante un cast di primissimo livello con Liotta e Keitel) uno Stallone in forma artistica smagliante che offre una delle migliori interpretazioni della sua carriera (se non la migliore in assoluto)
                      Però son gusti, ovviamente, e su quelli c’è poco da disquisire.
                      Riguardo Mangold non è sicuramente tra i miei preferiti. Scorrendo la sua filmografia c’è un solo e unico capolavoro, il LOGAN che hai citato tu. Ora son curioso di vederlo alla prossima uscita, per capire se quel film è stato un caso oppure se riuscirà a sfornare altre opere di pari livello.
                      Tra l’altro, qualche anno fa si era proposto come sceneggiatore e regista per un biopc su Springsteen, progetto che avrebbe in mente da un sacco di tempo. Se lo facesse sul serio, rischierebbe di diventare il mio beniamino o la mia nemesi, a seconda dei casi!!!

                      Buon ponte di ferragosto anche a te fratello (io scrivo dal lavoro, dove grazie al cielo devo fare solo mera presenza giacchè i clienti – beati loro – se ne stanno in ferie )

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                    • Sull’interpretazione di Stallone nel film di Mangold siamo d’accordissimo, non si discute, anche perché Mangold ha quella mano di altri tempi, in cui più che creare lascia che l’attore esploda in tutta la sua drammaticità (come appunto Stallone) ma a mio avviso ha una messa in scena piatta, prevedibile e telefonata, di cui fai fatica a ricordare le scene solo d’ambiente o quelle corali.

                      Stanno completando un recupero a maglie larghe dei film della tua musa e devo ammettere che su 10 film, 9 sono autoriali ed almeno 4 dalla trama insopportabile o molto antipatica, ma lei è davvero straordinaria, sia in fascino magnetico (un po’ deviato, in genere e per lo più maligno), sia in recitazione.

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                    • Dei film cui ha partecipato in questa decade (mi manca solo La Favorita, gli altri li ho visti tutti ovviamente) le uniche pellicole che salverei sono:
                      – Disobedience, anche se (come ricorderai dalla mia recensione) il giudizio non è complessivamente molto positivo
                      – La verità negata, per la capacità di saper unire la didascalia all’intrattenimento, realizzando un film molto ambizioso, seppur non privo di difetti
                      – Dream House, forse il suo ultimo film “leggero” e con un twist intrigante ancorchè prevedibile

                      Per il resto hai pienamente ragione su tutto: è come se dopo l’oscar, Rachel avesse deciso di dimostrare che quella statuetta era stra-meritata, partecipando a pellicole sostanzialmente impegnate, talvolta al limite dell’insopportabile (come IL PROFONDO MARE AZZURRO).
                      Sono quindi stato lietissimo di sapere che parteciperà al circo del MCU nel prossimo VEDOVA NERA, anche se temo il suo ruolo di villain finirà per essere molto colorito ma poco profondo (sullo stille di Cate Blanchette in THOR RAGNAROK).

                      Ora però son curioso di sapere quali film hai recuperato e quali hai giudicato inguardabili, al netto ovviamente della di lei bellezza sempinterna 😀

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                    • In realtà mi sembra che la bravissima e bellissima Rachel non abbia mai davvero disdegnato i film molto impegnati ed anzi azzarderei a dire che sono proprio le parti leggere ad essere le eccezioni, come piccole parentesi in una carriera molto autoriale: basti pensare alla sua parte (anticipaticissima, da prendere a ceffoni dalla prima all’ultima scena, ma impeccabile) in Sunshine, il polpettone dignitisosissimo di Szabó ma un po’ fine a se stesso (per parafrasare il grande David Foster Wallace, un film bello che non rivedrei), con Ralph Fiennes che fa 3 personaggi nel crescendo generazionale…

                      Grandissima nello splendido Enemy at the Gates, perfetta nel gradevolisismo e lunare About a Boy, ma un vero mostro odioso nell’insopportabile (per me, sia chiaro) The Shape of Things…

                      Non ti parlo ovviamente dei ruoli leggeri nei due The Mummy come nel da me graditissimo Constantine (specie quest’ultimo, dove chiunque di noi sarebbe parimenti andato all’inferno per lei), ma la sua bravura in un film applauditissimo come The Fountain di Darren Aronofsky è stata pari alla rottura di coglioni che ho provato (il che tra l’altro è notevole, considerando che in genere amo Aronofsky, autore di capolavori come Requiem for a Dream, The Wrestler e Black Swan)…

                      Davvero al limite della sopportazione umana la pur sentitissima parte in My Blueberry Nights (forse il più brutto film di Wong Kar-wai che ho visto)… Pensavo di svenire a sentirla ascoltare tutta quella pletora di anime perse e tormentate… Ovviamente film da molti applauditissimo…

                      Sospensione di giudizio sullo strambo The Brothers Bloom… Non so definire il film…

                      Discorso a parte merita 360, per il quale secondo me il regista Fernando Meirelles andrebbe messo in carcere: infatti la volontà di fare un film traendolo da una piece teatrale di un autore intimista, intriso fino al midollo di influenze psicanalitiche, come fu Arthur Schnitzler, non è che garantisca necessariamente un bello script, eh no, ci vogliono le palle: quando Kubrick fece un film da un testo di Schnitzler (quella volta toccò a Doppio Sogno), prese il materiale narrativo e lo piegò al suo genio, per partorire il delirio da complottista paranoico di Eyes Wide Shut, immenso, straziante, ipnotico… Mentre questo è solo merce sprecata, una cucina piena di ingredienti sopraffini che lo spettatore osserva imputridirsi nell’attesa che capiti qualcosa… Povera Rachel, in ottima compagnia, per carità, ma anche lei, che spreco!

                      Ancora teatro, ancora vioini che segano lo scroto, lentamene ed inesorabilmente con il davvero davvero inutile e pernicioso The Deep Blue Sea di quel pallone gonfiato borioso di Terence Davies.

                      Forse il film che più ha celebrato la bellezza di una Weisz matura e donna non più ragazzina è stato Youth, a rischio rompimento di palle per via di un regista pericoloso (in questo senso) come Sorrentino, ma che invece mi stupì a suo tempo con un ottimo lavoro, di cui mantengo vivo ricordo sia per la bella messa in scena, sia per l’intelligenza registica e la storia dai risvolti non banali.

                      Mi dispiace che a suo tempo fummo così divisi per The Lobster, film che tu hai massimamente disprezzato e che invece per me ha regalato non solo una splendida allegoria futuristica ma anche l’interpretazione leggendaria della Rachel (per me la sua migliore, insieme a quella avuta con The Favourite, non a caso dello stesso regista) e di una delle muse del mio cuore ovvero Léa Seydoux: per il resto, grande film e grande cast.

                      Discorso opposto per The Whistleblower, dove un continuo e persistente senso di déja vu mi ha allontanato da qualsiasi empatia con una pellicola che non sono riuscito in alcun modo a colorare…

                      Vidi spinto da te il robusto e pieno di passione The Denial, film di un genere per il quale non faccio normalmente a corsa per vederne di pellicole, ma che mi ha soddisfatto senza gridare al capolavoro…

                      Su Rachel ti dissi già a suo tempo il fastidio che ho provato fino alla fine della visione, come il prurito che prova chi indossa una maglia di lana ruvida a contatto con la pelle… Eppure la Weisz fu straordinaria, perfetta, in un ruolo che era una vera porcheria…

                      Del suo passato mi mancano tante pellicole e recenti non ho visto The Light Between Oceans, Disobedience e The Mercy, che non penso nemmeno vedrò, perché mi attirano quanto un (grazie a Dio impossibile) monologo teatrale di Alessandro Siani sull’importanza di non stare per tutto il tempo con un sorriso beffardo ed imbecille sulla faccia.

                      Qui mi fermo, ma non è finita…

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                    • Come sai benissimo, se da un lato (in quanto ermenauta) potrei parlare di cinema (o di qualunque altro argomento) tendenzialmente all’infinito, quando l’oggetto del discorso devia sulla Dea, potrei discettare fino a ridefinire il concetto stesso di infinito.
                      Per cui ho letto con sommo piacere (e anche un pizzico di invidia) il tuo brillantissimo commento, nel qualche hai avuto la mirabile capacità di sintetizzare la carriera di Rachel Weisz in poche righe.

                      Il tuo concetto di fondo – che per altro è indiscutibilmente vero – verte sulle scelte artistiche della Nostra, la quale effettivamente ha partecipato in (larga) maggioranza a pellicole impegnate e autorali e solo di tanto in tanto (e con meno frequenza col passare degli anni) a pellicole più leggere e di disimpegno.

                      Però c’è una questione di fondo, molto relativo e personale, ovvero che io mi sono accostato alle sue grazie artistiche mirandola in principio nei suoi film più “leggeri”, amandoli tutti indiscriminatamente.
                      Benchè distanti circa 6 anni, vidi ABOUT A BOY e CERTAMENTE FORSE nell’arco di poche settimane e ci rimasi sotto. Sono due pellicole gradevolissime entrambe, siamo in piena zona romanticone-moccolone, che sai benissimo essere il mio guilty pleasure per eccellenza. Ovviamente l’avevo già ammirata nei 2 MUMMY e anche nè IL NEMICO ALLE PORTE, ma furono quei due film a farmi capitolare, ergendo la bella Rachel Weisz a musa del mio cuore.
                      Iniziai quindi il recupero graduale delle sue opere, che per inciso ancora non è finito. Mi mancano infatti all’appello le seguenti pellicole:
                      The Constant Gardener: non so se ti ho mai detto che ho un’idiosincrasia per Le Carrè, non ho mai visto un film tratto da un suo libro
                      Beautiful Creatures: è introvabile
                      Amabili resti: Peter Jackson alla regia farebbe ammosciare pure il pisello di Rocco Siffredi
                      Il grande e potente Oz: genere da me distante anni luce
                      La favorita: ce l’ho sul HDD e aspetto la sera buona per vederlo insieme alla dolce consorte

                      Riguardo quelli che mancano a te, l’unico meritevole è Disobedience, gli altri due lasciali pure perdere. In The Light Between Oceans nonostante un cast monstre, la noia intorpidisce pure i peli sotto le ascelle, mentre in The Mercy ho provato pietà per un attore da te amatissimo come COLIN FIRTH in uno dei peggiori copioni della sua mirabile carriera.

                      In conclusione, dopo aver commentato un po’ come facevano i bambini tanti anni fa quando confrontavano gli album delle figurine (celo, noncelo, celo, noncelo, etc), cosa resta sul piatto: una carriera luminosa, forse troppo impegnata per i miei gusti, che per altro sono comunque obnubilata dalla sua bellezza che sfida il tempo e i canoni estetici con una potenza rara, figlia di un fascino schietto ma dirompente.

                      PS: alla fine non ti ho dato retta, stamattina mi son visto RIFLESSI IN UNO SPECCHIO SCURO. Mamma mia. Ho ancora i brividi. E la stessa frase mi martella il cervello senza soluzione di continuità: cazzo quant’era bravo Sean Connery

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                    • A me in The constant gardener era piaciuta, ma temo di non fare troppo testo perché come te la venero… film un po’ pesantino, ma forse lo vedo così perché ho trovato il libro più dinamico.

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                    • Ho letto un solo romanzo di Le Carrè, La talpa, e da allora resta saldo sul podio dei libri più pallosi che abbia mai letto.

                      È per questo che nn ho visto quel film nonostante Rachel Weisz

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                    • Francamente, quando l’ho addentato ha rotto i cabbasisi pure ammìa. Infatti non l’ho terminato, evento raro e significativo…
                      … non insisto su Le Carré dato che non mi sembri propenso, ma nel caso, sarò ben lieta di buttarti lì un paio di titoli alternativi.

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                    • Subito dopo l’Università, mi recai da Bologna in Trentino, come studente squattrinato e senza casa, in cerca di lavoro e sistemazione, seguendo un mio compagno di studi che allora faceva l’amminsitratore di una cooperativa che prebdeva appalti di servizi dalla Regione Trentino Alto-Adige (da sempre schifosamente ricca): là, oltre a bere vino e fare sondaggi presso i lavoratori della Val di Non (da marchigiano ero per loro un terribile terrone, ma usavo il mio cognome triestino Cherin per farmi almeno aprire la porta dai montanari altrimenti restii a fare entrare qualcuno che veniva dalla Regione o dal Sud…) e presso i posatori di porfido (per conto della ASL locale), ho conosciuto anche persone molto interessanti e tra queste certamente la più pittoresca fu il dott. Bruno Mattedi.

                      Oltre ad essere uno straordinario bevitore e degustatore di cibi dal palato raffinato, nonché gaudente e molto liberale nei costumi, il Mattedi era anche considerato nell’ambiente dei mercanti d’arte e degli espositori come la maggiore autorità vivente per autenticare e dissertare sui quadri del pittore futurista e surrealista Fortunato Depero: chi aveva dei dubbi in campo artistico sull’autenticità di un suo quadro si rivolgeva al Mattedi, senza alcun timore di insuccesso.

                      Ecco, per me tu sei l’esegeta della Weisz ed assieme il suo Mattedi: quanto da te detto perciò nella tua risposta, per me è fede degno.

                      P.S. Ieri sera, tornando dal lavoro serale, mentre mil figlio stava stremmando su Twitch e mia moglie dormiva, io mi sono fatto una IPA in cucina, facendo zapping su Sky (specifico che io non nemmeno sintonizzati sul mio tv i canali generalisti Rai, Mediaset, etc.): era iniziato da poco About a Boy e sono rimasto incollato, per l’ennesima volta allo schermo… Amo alla follia la scena in cui il piccolo Marcus (ma quanto è bravo anche oggi Nicholas Hoult?) sta per essere crocifisso mentre canta Killing Me Softly with His Song, per essere poi salvato in corner dal non più inutile Will, ma a rivedere questo film per l’ennesima volta posso aggiungere che se Youth è per me il Top della Weisz da donna matura, la sua apparizione nel film con Hugh Grant ha quasi dell’angelico, nel senso più sacrilego possibile…

                      P.P.S. In realtà sono segretamente felice che tu non mi abbia ascolato, ma sono certo che una parte di te lo sapeva…

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                    • Ignoravo completamene chi fosse tale Fortunato Depero e nonostante abbia dato una occhiata alla pagina wikipedia a lui dedicata, dubito che tra una settimana me ne ricorderò.
                      Tuttavia il paragone con il tuo vecchio conoscente mi ha enormemente lusingato.
                      Per altro poi, la tua citazione di about a boy mi fa ricordare che, nonostante siano passati ormai 15 anni, ricordo ancora perfettamente dove e quando vidi per la prima volta questo film: era il pomeriggio di natale del 2005 e io e la mia futura moglie lo guardammo in casa da una vhs “trafugata” da un numero di Panorama in vendita nell’edicola del mio futuro suocero.
                      Sono rari i film di cui ricordo esattamente quando dove e con chi li vidi, tutti in qualche modo importanti, anche quelli più artisticamente dimenticabili come questo.

                      Buona domenica fratello

                      PS: ieri mi sono avvicinato alle tue terre, sono andato a Cesena per vedere la partita del Milan. Un pomeriggio ad ascoltare la parlata romagnola rimette sempre in pace col mondo 😀

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                    • Spero che tu abbia almeno mangiato una piadina o un crescione, che è poi il modo migliore per celebrare la Romagna…

                      P.S. Davvero fai trasferte per guardare il Milan? Sono colpito… Pensavo che la tua fede calcistica si fermasse alla visione televisiva, invece sei un ultrà! Ma pensa…

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                    • Macché ultra… Erano nove anni che non avevo allo stadio … Sullo che stavolta la prossimità dell’evento unita alla modestia del costo dei biglietti mi hanno indotto al gran ritorno

                      Ovviamente sono andato di piada: crudo rucola e stracchino. Mi son pentito di nn aver fatto il bis…
                      Mi sfugge cosa sia il crescione però

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                    • Anche se è una semplificazione, diciamo che il crescione (qualsiasi altro nome è sbagliato o indicante un prodotto diverso e di diversa regionalità) è una piadina farcita ancora cruda e richiusa a metà, con i bordi sigillati dalla schiacciatura fatta con i rebbi della forchetta e cotta sulla piastra…

                      Aldilà delle tante configurazioni di pasta possibili, ci sono solo 3 tipologie ufficiali di piadina: la Romagnola (un po’ spessa), la Riminese (molto più sottile tanto da poter essere avvolta su se stessa) e la sfogliata (con impasto molto più unto); tutte e tre prevedono tassativamente l’uso dello strutto, anche se esistono oramai varianti vegane all’olio di oliva (eretiche);il crescione è fatto con la pasta della piadina romagnola.

                      La farcitura del crescione è molto più variegata di quella della piadina, perché esso può contenere sostanze cremose che si sciolgono nella cottura ma vengono trattenute dalla chiusura del crescione stesso: se i crescioni classici sono senza dubbio quello con mozzarella e pomodoro (prevalentemente maschile) e quello con la cicoria e la bietola (molto femminile), essi sono anche i più banali, mentre le varianti con patate, pancetta, zucca, cipolla sono nettamente più gustose.

                      Io considero il crescione sullo stesso piano del piacere di una lasagna, di un filetto alla Wellington, del seno della Ratajkowski, del sorriso di Brie Larson, di un bullo che viene punito e svergognato pubblicamente, di un pedofilo condannato e poi ucciso in carcere su mandato dei parenti delle vittime, del sorriso di tuo figlio quando azzecchi il regalo della vita, della risata di tua moglie quando le dici una battuta davvero bella ed intelligente, di un movimento di macchina di Nolan che attendevi per tutto il film ma che quando arriva ti stupisce lo stesso, di un bel voto in un esame a cui tenevi da parte di un professore che stimavi moltissimo, di una sbandata con la macchina in cui hai pensato per un attimo di morire ma che poi si è risolta senza danni per nessuno e solo con un grande spavento.

                      Buona Domenica, fratello.

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                    • Ti ringrazio per la dotta e succulenta spiegazione. Mi hai messo un tale appetito che mi sarei mangiato il crescione addirittura a colazione… comunque sia sarà mio la prossima volta che passo in Romagna.
                      Giusto per restare in tempo, ti rivelo che pochi giorni fa ho scoperto per la prima volta in vita mia una leccornia tipica del Fermano che, ormai arrivato a 40 anni, per qualche assurdo motivo non avevo mai nè assaggiato nè sentito nominare: LE TAGLIATELLE FRITTE.
                      Ci sono rimasto sotto. Una cosa fuori dalla grazia di Dio. Se il crescione è l’equivalente gastronomico delle tette di EmRata, allora le tagliatelle fritte sono l’equivalente del culo di Charlize Theron nello spot Martini di qualche anno fa.
                      GNAM e buon inizio settimana, Kasa.

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                    • Zucca & Pancetta.
                      Voglio morire ❤
                      (Ehm, bello il tuo commento, l'ho letto pure tutto, ma ho un problemino con il cibo… ogni volta che lo si nomina perdo la tramontana.
                      Piadina o crescentina, purché riempia la pancina 😉 )

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                    • ah, dimenticavo, a parte il giudizio su THE LOBSTER, l’unico altro film di Rachel di cui hai parlato, solo per MY BLUEBERRY NIGHT sono in disaccordo (è la quintessenza del romanticone-moccolone….) per il resto, sottoscriverei ogni singola virgola

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      • Buona Domenica anche a te! Colgo l’occasione per dirti che ho appena sfornato un nuovo post. Anche stavolta ho rischiato di brutto: ho recensito un film vecchissimo e caduto nel dimenticatoio più totale, e soprattutto mi sono messo a parlare di un argomento spinoso come la politica… speriamo di vincere la scommessa anche stavolta! 🙂

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    • Ho dimenticato un pezzo della mia risposta ed esattamente il Post Scriptum, che è poi il mio momento canonico per un bel OT…

      Ho visto su FaceBook che hai poi cominciato a vedere film di Sidney Lumet e mi sembra che sei partito in quarta con uno dei suoi più famosi ovvero Network (in Italia Quinto Potere)… Ma che filmone è? Certo, ci sono dei momenti tipici del periodo in cui i personaggi si parlano addosso, con un doppiaggio italiano che azzera completamente la colonna sonora ed il ritmo inveitabilmente s’inceppa, perché era lo stile di allora, ma praticamente ogni esibizione televisiva del character di Howard Beale è superlativa! Una sceneggiatura di Paddy Chayefsky che ha precorso i tempi per un film su cui ci sarebbe da parlare per ore e che ha fatto scuola in tanti di quei modi da fare davvero impressione…

      Scusa, non sono riuscito a trattenermi!

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      • Hai fatto bene a non trattenerti.
        Si, come preannunciato ho iniziato questo RECUPERONE LUMET, cui seguirà il RECUPERONE SCORSESE.
        Ho visto anche Quel pomeriggio di un giorno da cani e Serpico, con un Al Pacino monumentale (più nel secondo che nel primo, imho). Poi è incredibile vedere oggi questi film perchè, al netto di quei difetti da te evidenziati, è come vedere un seme trasformarsi in alberto. Voglio dire, tanti elementi della cinematografia moderna cui siamo ormai abituati e tendiamo a dare per scontati, sono nati allora e con quei film. E’ illuminante proprio, te lo dico con una passione che uso di rado, molto infantile, però sincera.
        Se riesco a trovare una versione che gira sul mio televisore, domani è il turno de IL VERDETTO.
        E se contiuo di questo passo, entro la fine della settimana vado in giro coi pantaloni a zampa di elefante, poco ma sicuro 😀

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  4. Caro Kasa!
    i tuoi articoli sono some sempre scritti divinamente e argomentati in modo esaustivo (imparo sempre nozioni/aneddoti nuovi leggendoti) ma la cosa che mi piace di più sai qual è? Che scegli sempre degli argomenti interessanti. Mai banali o prevedili. Qualsiasi sia l’oggetto della questione, prima ancora di aprire la notifica via mail che mi avvisa di un tuo nuovo pezzo, so già che l’argomento mi prenderà e mi farà riflettere su cose su cui magari non mi ero mai soffermato!
    Dio ti benedica per questo! 😀
    Detto ciò non posso esimermi dal dire la mia.

    C’è poco da dire in realtà, uno dei generi che meno mi interessano (cinematografico, letterario, ecc ecc) è lo storico. Sono davvero pochi i film “storici” che mi hanno fatto dire “cavolo, questo sembra interessante, non vedo l’ora di vederlo”. E dallo storico al biopic il passo è breve. Uno racconta un evento, l’altro una vita.
    Certo, è interessante conoscere le guerre e le conquiste che hanno plasmato la nostra attuale realtà, così com’è interessante conoscere le storie degli scienziati, dei luminari, delle icone dello sport o dello showbiz che tanto amiamo, ma a fare veramente il biopic non è mai “la storia” in se ma bensì l’attore (LA TEORIA DEL TUTTO senza Eddie Redmayne? Non l’avrei mai visto) , la regia (sai quanto cazzo me ne fregava della storia della nascita di facebook? Ma sotto l’occhio di Fincher…madonna! Capolavoro!), il montaggio (non ho statistiche alla mano, ma credo che un buon 70% dei film di guerra che vengono realizzati siano ambientati durante la seconda guerra mondiale e la cosa non hai idea di quanto mi annoi…ma un film come DUNKIRK? Cavolo, è difficile distogliere lo sguardo da una tale architettura filmica). Ci deve essere un elemento forte per farmi godere un biopic e quasi mai è la storia in se, per questo è uno dei generi che apprezzo meno.
    Detto questo, tu fai un interessante confronto. Il biopic fedele da quello più “artistico”. Ecco, qui la cosa si fa interessante.

    Bella la storia della battaglia delle Termopoli eh, nulla da dire, ma un film realistico e storicamente accurato non credo me lo vedrei mai. Ma un film epico dove gli spartani diventano sculture viventi, dove le bestie vengono dipinti come demoni, dove Serse diventa un gigante, dove le schermaglie diventano coreografie di bronzo…ecco, questo è SPETTACOLO!
    Charles Bronson non sapevo neanche chi fosse prima del film di Refn. Ma vedere un film mentalmente instabile con protagonista Tom Hardy che ci regala la performance della vita (e già a inizio carriera)…wow, questa è ARTE!

    Quale preferisco tra i due tipi di biopic? Nettamente la seconda. È più stimolante, più divertente, più interessante. Sono dei racconti. Non si limitano a “dirci” come sono andati i fatti, ci “raccontano” quello che è successo, quello che hanno provato i protagonisti. C’è più gusto.

    Sono contento che tu abbia menzionato BOHEMIAN RAPHSODY e ROCKETMAN perchè sono l’esempio perfetto di come dovrebbero e come non dovrebbero essere i biopic (imho).
    Io sono un grande fan dei Queen e un film sulla loro storia non vedevo l’ora che venisse realizzato. Di contro, non conosco moltissimo Elton John, conosco giusto i pezzi più famosi ma di sicuro non vita/morte/miracoli della sua carriera. E sai che c’è? Ho DETESTATO il film su Mercury dall’inizio alla fine mentre invece ho AMATO alla follia il film su Elton. Il primo è stato di una noia pazzesca, fatti su fatti su fatti raccontati in modo passivo (e per di più sbagliati…ci stanno le modifiche alla storia, ma devono dare un contributo al film se no a che servono?), mentre il secondo è stato uno spettacolo musicale a tutto tondo.
    La cosa potrebbe essere dovuta a tanti fattori, il film su Freddie Mercury ha avuto una gestione travagliata mentre per Rocketman non solo è andata meglio ma ha anche avuto un importante contributo da parte di Elton John stesso (e qui si potrebbe parlare di autobiopic, tanto per ricollegarci al commento iniziale di Celia), ma la verità è che, come dici tu stesso, è come mettere a paragone una tribute band che cerca di scimiottare i propri idoli (una band comunque brava e le cui intenzioni sicuramente sono buone) contro un musicista che decide di reinterpretare ex novo dei classici del rock.
    Non c’è confronto.
    La cosa è abbastanza palese nei finali dei rispettivi film. Laddove BOHEMIAN si limita a riportare noiosamente in scena uno degli eventi più conosciuti e amati dai fan della band inglese (e già il confronto non può che essere inesorabile) ROCKETMAN decide di modificare totalmente la canzone “I’m Still Standing” aggiungendoci l’orchestra, rallentando la ritmica e piazzandolo in modo errato all’interno della storia (il pezzo era nato molto prima). Ma sai che c’è? È perfetto! Perché la canzone racconta benissimo il momento che stava vivendo Elton John e l’orchestra gli conferisce un valore epico alla scena che mi fanno veramente capire cosa stesse provando il cantante in quel momento di rivalsa della sua esistenza. Questa è arte. Questo è cinema cazzo.
    Il finale di Bohemian? Uno dei momenti più brutti della storia del cinema, non scherzo.

    Detto questo mi congedo perché penso di aver scritto più del dovuto XD
    Grazie ancora Kasa per regalarci questi momenti di confronto artistico/personale coi tuoi pezzi 😀

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    • Non so davvero come fare per poter esprimere la grandissima gioia e soddisfazione che ho avuto nel leggere il tuo commento, senza essere accusato di ruffianeria o “leccaculismo”… Quando ho scritto questo post, come mio solito poco modaiolo e decisamente troppo lungo per le normali capacità di attenzione degli utenti dei social, speravo che a leggerlo ed a commentarlo fossero proprio i miei colleghi di WordPress più amici ovvero, come è accaduto, coloro con cui mi scambio quasi quotidianamente opinioni su cinema, televisione e letteratura e dei quali ben conosco ed apprezzo le capacità intellettuali, ma vedere apparire tra i commenti anche il tuo nome ed immediatamente vicino quello di Davide Traversa (altro ex-fedelissimo del nostro pseudo-circolo di compagni di merende nerd e post-nerd), mi ha fatto sorridere di piacere così tanto, che solo che ci leggeva a suo tempo potrebbe comprendere!

      Nostalgia a parte (sono ancora scombussolato dal trailer di The Irishman, con tutto il suo bagaglio di una vita di cinema che ritorna, in un film che ha le carte in regola per essere ciò che fu Roma per Cuaron), hai scritto un commento al mio post che fa davvero rimpiangere il periodo in cui tutti potevamo leggere le tue riflessioni sul mondo dell’intrattenimento: anzitutto, onore al merito, sei stato il primo ed unico ad aver colto il messaggio intertestuale nascosto nell’immagine di copertina, con cui sin dall’inizio svelavo quella che a mio avviso è l’unica possibile modalità di fare un film biografico ovvero quella creativa, con cui si prende la.storia reale e la si rimpasta, destrutturandola e poi riassemblandola, ma in modo sfacciato ed evidente, senza alcuna possibilità di essere scambiata per strategica agiografia spicciola, senza la retorica di esaltazione che puzza di sudore nascosto dal deodorante o dal borotalco; anche se nel testo io sembro essere equidistante tra gli unici due modi possibili di realizzare un biopic (imitazione ruffiana e glorificante contro trasformazione creativa), in realtà ho assegnato il mio premio proprio a quel Bronson di cui tu hai riconosciuto al volo in giovane Hardy (ma quanto cazzo è bravo quell’uomo? Riesce a dare spessore persino ad un trash come Venom!).

      Svelato l’arcano (mica poi tanto tale) tutti gli esempi che ho portato seguono questa regola e quindi possiamo dirlo orgogliosamente ad alta voce, carissimo Pizza Dog: se vogliamo vedere un documentario sulla vita di qualcuno non ci guardiamo un film, ma ci guardiamo uno dei tantissimi prodotti distribuiti da Sky Arte o Discovery Channel…

      Applauso poi anche per tutte le altre tue affermazioni ed in particolare una: un film applauditissimo come il ruffianissimo The Theory of Everything semplicemente non esisterebbe se non fosse per la straordinaria interpretazione di Redmayne che ci ha regalato un esercizio di stile, meraviglioso, ma anche fine a sé stesso…

      Cavoli, Denilson, che bello chiacchierare con te…

      P.S. Per quanto molto diverso dai comics (specie per il discorso dell’uso della droga potenziante e poi per la clamorosa differenza su Becca ed il bambino), ma quanto è stata bella la prima stagione di The Boys?

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      • Karo casa, quell’immagine in apertura dell’articolo mi ha fatto subito alzare le antenne! Per altro quel film è forse uno dei meno conosciuti e più sottovalutati dell’attore. Ogni volta che nella giungla dell’internet leggo che Hardy è considerato un bravo attore “perché ha fatto Bane” mi viene un po’ da piangere se penso alle magistrali prove attoriali che ci ha regalato in BRONSON (ripeto, per me la sua performance migliore ad oggi), WARRIOR (da cui ha “rubacchiato” qualcosa per il suo Bane), LOCKE (esercizio cinematografico riuscito anche/sopratutto grazie a lui) e tanti altri lavori poco conosciuti/riconosciuti.
        Poi certo, come ogni grande attore riesce a dare il massimo e alzare la qualità di un film anche se il film o il ruolo assegnatogli è una ciofeca. Vedi appunto Venom XD (ma sto Serkis che si lancia alla regia del sequel? Ne vogliamo parlare?)
        Tommy a parte, sono contento che ci troviamo d’accordo sull’argomento biopic. E non sai quanto sto pregando che il film su Elvis di Baz Lurhman sia un film al 100% Baz Lurhman. Uno come lui non può certo regalarci qualcosa di “normale” e/o lineare com un biopic qualsiasi XD

        Per quanto riguarda THE BOYS…ho un problema. Un problema che affligge un po’ tutti noi serial addicted ovvero la mancanza di tempo XD
        Per far fronte a questo problema ho deciso di darmi dei limiti e delle regole (ho abbandonato alcune serie che seguivo più per dovere che per piacere…tipo KRYPTON) e una di queste è che se escono contemporaneamente una serie nuova e una nuova stagione di una serie che già seguo…la seconda ha la precedenza.
        Ho finito appena venerdì l’ultima stagione di ORANGE IS THE NEW BLACK e ho attaccato ora con la quarta di PREACHER e la terza di DEAR WHITE PEOPLE (e mò è pure uscita la terza di GLOW…una vita non basta).
        Ecco, detto questo visto che non vedevo l’ora che uscisse e visto che ne stanno parlando tutti strabene ho fatto uno strappo alla regola e ho iniziato pure The Boys XD (basta veramente un nulla per mandare a puttane una pianificazione ben congeniata).
        Sono però appena al secondo episodio, quindi è ancora presto per dare un giudizio alla serie. Ti posso solo dire che è esattamente come me lo immaginavo (per temi e messa in scena) e mi sta piacendo. Ancora non grido al miracolo però. Se ne riparla ;D

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        • Ti so impegnatissimo e non pensavo nemmeno trovassi il tempo per rispondermi, visto che in fondo le nostre sono solo chiacchiere… Ma chiacchiere belle, però, come la tua risposta: anch’io considero Hardy un attore molto più di spessore di quanto non sia considerato in giro dal grande pubblico ed evidentemente la pensano così anche registi cazzuti come Ridley Scott, Paul McGuigan, Matthew Vaughn, Sofia Coppola, Nicolas Winding Refn, Guy Ritchie, Gavin O’Connor, Christopher Nolan, George Miller, Alejandro González Iñárritu… E questo solo per citare i più famosi con cui ha lavorato, ma praticamente tutti i suoi film sono belli, con ruoli forse non tanto glamour ma dalla fisicità e dall’espressività esplosiva…

          Non c’è una parte in cui non mi sia piaciuto, davvero, anche in film che nel loro complesso non erano bellissimi… Ma lasciamo stare, perché si sa che la mecca del cinema è ingiusta: se pensi che ad oggi il compenso medio a film di un divo come Dwayne Johnson (che ha tutta la mia simpatia, ma che in confronto ad Hardy ha lo spessore recitativo di una controfigura) è poco più del nostro Tommy (e solo perché Venom gli ha raddoppiato il suo compenso standard!), si può ben capire come non sempre la buona recitazione paghi…

          The Boys è la serie più chiacchierata del momento e non ti nascondo che io mi sono divertito da matti guardandolo dalla prima all’ultima puntata in due serate: tutti in parte, ritmo perfetto, recitazione ad hoc e sceneggiatura serrata e non mi sono nemmeno lamentato delle differenze sostanziali con la prima miniserie di Ennis, giacché sembra chiaro che lo show runner, non potendo seguire l’anomalo andamento narrativo delle storie a fumetti successive, si stia tenendo alcuni plot twist per le stagioni successive..

          Effettivamente la decisione del capo sceneggiature (lo stesso Eric Kripke che ha reso Supernatural così longeva) di fare quel cambiamento drastico sul finale mi lascia un perplesso: una scelta di campo che può rendere tutto ancora più bello e ancora più slegato dal comic o trasformare la serie in una cagata pazzesca appiattendola sulle altre… Tutto dipenderà da come Kripke deciderà di gestire il materiale narrativo lasciatogli da Ennis sul composto V…

          Alla prossima, amico!

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  5. Penso che tu abbia descritto molto bene tutto il fenomeno, con suoi pregi e suoi innumerevoli difetti. Ti dico questo perché pur essendo sempre stato incuriosito da questo genere di film, alla fine ne sono uscito “quasi” sempre deluso, o se non deluso: perplesso, un po’ perché la mia passione per la pittura e la musica, mi ha portato sempre ad inseguire le vite di questi artisti, per poi capire che il fine ultimo è sempre l’opera e non la vita stessa di chi l’ha creata. Ma si sa, un film è sempre un film ed è giusto che sia così, e bisogna accettarlo con le sue varie sfaccettature, perché d’altro canto anche il regista è un artista, ed è giusto che la sua espressione sia variegata dalla sua personalità, che piaccia o meno. Io ho riparato, sempre per quanto riguarda autori a me consoni, sulla versione documentaristica, giusto per rimanere in quella che è la realtà vera e propria, anche se la formula che va in voga oggi, e cioè l’intervista ininterrotta, alla fine mi ha stancato e preferisco altre soluzioni stilistiche. Essendo malato di rock’n’roll, mi sono dovuto subire ben due brutti film su Jimi Hendrix, su Johnny Cash o su Ian Curtis (e così continuando su altri), mentre il film “20.000 Days on Earth” di Ian Forsyth su Nick Cave, l’ho gustato tantissimo per il carico di umanità e di passione che fuoriusciva da quella pellicola. Lo so, è una questione di generi, e sono andato fuori tema, ma tant’è, la vita è fatta di deviazioni e incroci stradali, e ognuno sceglie la via che lo porta al suo piccolo paradiso. Perfetto… una birra te la sei meritata !

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    • Ciao Barman, è bellissimo incontratri lungo queste lande desolate del web… Tu che sei un poeta rock comasco e servi arte liquida nei tuoi cocktail che sono idee e spunti di discussione, proprio tu mi hai lasciato un segno che non pensavo nemmeno fosse tanto profondo nel mio spirito: a volte le cose ci toccano appena di striscio, come la carezza di una amica o come la stillettata silenziosa di un killer esperto o l’ago appuntito di un ninja che ci ha colpito con la sua cerbottana senza che ce ne fossimo accorti, ma solo dopo giorni o settimane e persino mesi ci rendiamo conto di quale e quanto impatto hanno avuto su di noi… Pensa che ancora adesso, quando apro la disgraziatissima applicazione di Instagram (la “tabe” dei social network, con quel flusso purulento di voyerismo e narcisismo che fuoriesce dal tessuto cerebrale necrotizzato dei suoi utenti) e vedo i post di alsko (aka Alexey Kondakov), ti penso tanto intensamente con gratitudine, perché non solo quello ma tutti i tuoi post che ho avuto occasione di leggere sull’arte e sulla musica mi hanno lasciato dentro sempre qualcosa…

      Certo, dovrei parlare di ciò che hai scritto sull’argomento biopic e magari parlare del mio post, ma ho prefrito far sapere a te ed a tutti quelli che leggono di passaggio questi commenti quale fortuna sia transitare dal tuo bar ed assaporare ciò che riesci ogni volta a mescere…

      In fondo, per il resto c’è sempre tempo, no?

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  6. Argomento veramente interessante e pieno di spunti. I film biografici per me fanno parte di un tipo di cinema capace di far conoscere al grande pubblico personalità importanti della storia che certe volte vengono ingiustamente ignorate (non sai quant gente ignorava l’esistenza di Alan Turing).
    Una cosa che però non mi piace tanto del biopic è quando si romanza troppo la storia di un personaggio o di un gruppo di persone realmente esistite.
    E per esempio prendo appunto Bohemian Rapsody. Mi piacciono molto i Queen e adoro le loro canzoni ed ero curiosissimo di questo film. La prima parte mi era pure piaciuta, diretta benissimo con scenografie ottime e montata pure bene, poi la seconda il tracolo. Non solo ho visto un calo registico (so che Bryan Singer ha avuto problemi con la produzione ed è stato cacciato dal set), ma anche cose che nella vita reale dei Queen non sono mai successe. Personaggi inventati, situazioni cambiate e/o omesse. In un film c’è bisogno di drammatizzare certe cose, c’è bisogno di creare pathos e quindi sarebbe opportuno farlo con eventi veri della vita di un personaggio storico e a essere sincero di tragedie sia ai Queen sia a Freddy Mercury non sono mancate, purtroppo.
    Parlando poi di Freddy Mercury, io non ho visto l’uomo dietro la leggenda. In film come A Beautiful Mind o Imitation Game vedevamo anche parti di personaggi importanti non proprio stupende. Avevamo una visione dei loro errori, dei loro difetti e ciò mi faceva empatizzare molto con loro, perché non sono perfetti, perché sono umani nonostante le capacità che avevano. Con Bohemian Rapsody questa cosa non è successa. Io in quel film non ho visto l’uomo dietro la leggenda ma solo la leggenda. Per questo non sono riuscito a empatizzare con quel personaggio nonostante l’ottima interpretazione di Rami Malek. Freddy nella vita reale ha commesso degli sbagli involontari e non e sarebbe stato bello vedere ciò sul grande schermo, vedere il suo lato umano, vedere le sue fragilità e il modo con cui riusciva a superarle.
    EStessa cosa si può dire con il recente Edison, dove certe cose sono state cambiate (il personaggio di Tesla è stato messo completamente in secondo piano e gli è stato dato poca importanza) ed Edison alla fine è sembrato l’eroe senza macchia e senza paura delle favole. E ti giuro che faccio fatica a empatizzare con personaggi simili. Perfino Superman commette errori e ha le sue debolezze (e non mi riferisco alla kryptonite).

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    • Ciao Butcher, è sempre un piacere chiacchierare con te, sia che si tratti di WordPress, sia di qualsiasi altro medium o social network che sia…

      Effettivamente, come dicevo nel mio post, quello educativo e/o divulgativo è il motivo preponderante alla base dell’esistenza dei biopic, giacché, a differenza di un documentario, una biografia romanzata può avere una presa maggiore sul pubblico e riuscire a far conoscere anche argomenti scomodi: parliamo di un grande potere, che è poi quello della comunicazione, capace di convincere moltitudini, spostare voti e purtroppo non solo nel senso della giustizia, come ben sanno gli strateghi dei mass media…

      Hai fatto degli esempi splendidi, sopratutto con il film su Turing, persona ed argomento che mi sta molto a cuore e monito per tutti su quanto uno stato può far male ad una minoranza se considerata deviata dalla norma… Tuttavia resta il problema artistico ovvero quella continua oscillazione tra la volontà di testimoniare qualcosa (anche enfatizzandola) e la tentazione di creare solo un bello spettacolo molto vendibile…

      E così torniamo al tanto discusso film sui Queen, mimesi perfetta della funzione live della band ma tradimento dell’uomo: hai usato una perifrasi splendida quando hai detto che non hai visto l’uomo dietro la leggenda, che invece è esattamente ciò che si vede in The Rocketman (anche se qui risulta tutto un po’ troppo artificioso e costruito).

      Mentre scrivevo il post, pensavo a cosa accadrebbe se qualcuno volesse realizzare un biopic su Michael Jackson: come potrebbe il produttore mediare tra la necessità di omaggiare i tantissimi fan ed estimatori di un artista, che a giusto titolo è stato definito Re del Pop e quella di non offendere la memoria delle vittime della sua più volte evocata pedofilia (per non parlare di tutti gli altri eccessi)? Insomma, parlare di un mito in modo sincero significa sempre mostarne anche le debolezze, come ha fatto Eastwood in modo asciutto in quel gioiello che fu J. Edgar, fregandosene di un facile incasso (ma lui se lo puà permettere).

      Il grosso problema è che non può esistere un vero controllo sui biopic perché essi restano opere di finzione e quasi tutto è loro concesso, compreso far passare Edison per un santo e Tesla per un povero coglione: l’unico baluardo resta la propria conoscenza e cultuta personale, ma a quel punto, se è pericoloso quando dice cose sbagliate e se è sincero nel dire ciò che già si sa, un biopic a cosa serve?

      La risposta è solo in quei pochi casi in cui un grande spettacolo non tradisce la realtà, ma la spiega e la racconta affascinando lo spettatore… Compito davvero arduo.

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      • Un lavoro arduo, questo è certo, ma non impossibile. Si dovrebbe dare spazio a registi e sceneggiatori capaci e vogliosi di fare del loro meglio. Ci sono molte persone capaci nel mondo del cinema ma soprattutto si deve pensare a fare un prodotto maturo e serio che non prenda in giro il pubblico. Perché in un certo senso quando vedo certe cose, quando ad esempio “semplificano” certe storie e le rendono più sciocche per attirare il pubblico io un po’ mi sento preso in giro, perché non credo che il pubblico sia così stupido come pensano certi produttori (se ti interessa mi riferisco a film tratti da miti e leggende di varie culture che siano greche, nordiche, orientali ecc…).

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  7. La storia non è mai la storia che è stata, ma il suo racconto, se poi ci aggiungi anche il doversi accattivare il pubblico, il disastro è fatto. Hai citato film che io considero ottimi, se guardati per ciò che sono, film, e alcuni hanno avuto il pregio di avvicinare qualche (sparuta) persona all’argomento che riprendono… ma poi arrivo in fondo al tuo ragionamento e anche io penso allo scolaro, che si guarda una versione pastello della storia, della matematica, della fisica, e che si bea di quanto sa, tanto da poter scrivere un articoletto su Wikipedia.
    …e ora mi leggo anche i vostri splendidi commenti.
    ^_^

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  8. Pingback: Reblog: Biopic, tra Storiografia e Biografia romanzata . kasabake | ilperdilibri

  9. Mi assento da wordpress per un mesetto e sforni un saggio di tale livello! D’ora in poi mi converrà assentarmi più spesso, allora!
    La mia citazione preferita è: “gli individui non sono degli straordinari crononauti in grado di vivere le loro vite surfando sul piano della realtà, ma comuni mortali le cui scelte vengono costantemente influenzate (spesso persino indirizzate a forza) dall’ambiente che li circonda, tanto che quanto accade su scala nazionale o globale non è mai determinato soltanto dai loro intendimenti, per quanto essi possano essere eroici, titanici ed ostinati” che trovo di una acutezza e profondità da applausi. Chapeau.
    Quanto al tema del biopic (ne ho visti diversi ma mi mancano i più recenti a sfondo “musicale”, ovviamente mettendo al primo posto nella mia classifica di gradimento A Beautiful Mind, pellicola che a quanto pare non incontra i favori di molti come ingenuamente mi immaginavo), mi permetto di aggiungere anche il fenomeno – per ora poco sviluppato ma non per questo poco interessante – del “biopic” spalmato su più puntate di una mini-serie tv. Avendo adorato la prima stagione di Genius (con un cast azzeccato ed un Rush che giganteggia come al solito), non posso non pensare anche all’adattamento televisivo in questione che ho trovato molto equilibrato tra le due tendenze (quella del realismo e quella dell’arricchimento romanzesco). Si potrebbe fare un discorso analogo su The Crown (nella quale probabilmente l’elemento fiction è quello preponderante).
    Ti ringrazio ancora per sfornare simili articoli ricchi di spunti e riflessioni.

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    • Che grande complimento mi hai fatto, Amulius, tu non puoi immaginare: pensa che la frase del mio post che hai riportato come virgolettato, malgrado fosse una delle mie più sincere e di cui ero maggiormente convinto, stava persino per essere da me cancellata, perché rileggendola mi sembrava potesse essere fraintesa come troppo avvilente per quanti ricercano sempre e comunque la finzione dell’iperbole e che non vogliono nemmeno vedere l’inganno, come il personaggio di Cypher che nel primo Matrix sa benissimo che quella che sta addentando non è una vera bistecca ma preferisce vivere nell’inganno piuttosto che perdere quelle sensazioni.

      Grazie, quindi, per avermi regalato questa assoluzione a posteriori ed ovviamente grazie per la delicatezza e la signorile generosità con cui commenti sempre i miei post!

      P.S. A Beautiful Mind non è solo il capolavoro indiscutibile di Ron Howard, ma in generale un film maestoso, dove viene trovata una misura quasi miracolosa tra la messa in scena di Howard e la sceneggiatura di Akiva Goldsman, nel creare di fatto un thriller psicologico dentro un biopic e chi non riesce a capirlo non sa cosa si perde…

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