Ambient Music e Cinema Contemporaneo: Parte 1 di 2, da Eno a Djawadi

Dune

«After silence, that which comes nearest to expressing the inexpressible is music»

Aldous Huxley

Guardando molti film e serial attuali, specie quelli che meglio di altri rappresentano i malesseri e le distonie dell’entropia filosofica e politica che circonda e domina le vite di tutti noi cittadini del nord del mondo, viene da chiedersi se quella di Huxley sopra riportata sia stata davvero solo una considerazione generale sulla musica e non, piuttosto, l’ennesima sua lucida previsione sul futuro della nostra società.

La domanda diventa ancora più calzante se ci si ferma ad ascoltare le colonne sonore di un particolare tipo di produzioni cinematografiche e televisive, che presentano musiche composte per lo più da artisti attivi nella la vasta e variegata scena musicale di genere ambient, con le tante e diverse correnti in cui si articola il mondo della musica elettronica strumentale.

E’ proprio questo il denominatore comune su cui ho il piacere questa volta di soffermarmi con voi, parlando di 10 compositori straordinari di musica da cinema (in alcuni casi, intesi come coppia artistica e non come singolo autore) e delle loro collaborazioni eccellenti con alcuni grandi registi, il tutto diviso in due puntate, per un altro viaggio nell’affascinante mondo della settima arte.

1 – Brian Eno

01-Brian-Eno

Blogger maggiormente preparati di me in campo musicale potrebbero certamente illustrarci, in modo più forbito e meno frettoloso di quanto io non stia per fare, lo straordinario viaggio compiuto in campo musicale , partendo dalla ricerca condotta nei primi anni del 900 da innovativi compositori, come Claude Debussy ed Erik Satie, fino allo statunitense John Cage, uno dei padri della musica eclettica e sperimentale e da lui all’Europa degli anni 60 ed alle campionature digitali e radicali degli esperimenti di Karl Stockhausen, fluendo poi nel mondo di alcune divinità jazz quali Miles Davis o Paul Horn ed ancora più lontano, nel mondo mainstream del rock e del pop, attraverso l’ingegneria sonora di gruppi iconici come The Beatles, Tangerine Dream, Pink Floyd, fino ad approdare a quella grande scritta «AMBIENT», posta in alto nella storica copertina di Music For Airports del 1978, del sound designer e musicista Brian Eno, sul retro del quale album si trova stampato l’intero manifesto ufficiale del genere ambient music o per lo meno l’interpretazione che Eno ne volle dare allora, ufficializzandone di fatto la nascita.

Music-for-Airports

Ciò che tuttavia a me interessa di questo genere musicale (che il nostro compositore concettualista britannico era solito definire, certamente in modo riduttivo ma anche azzeccato, come «designed to induce calm and space to think») è soprattutto il sodalizio incredibilmente fruttifero con il mondo del cinema e della televisione, unione nata negli anni 80 e continuata con progressione aritmetica fino a questo scorcio di nuovo millennio, quando è assurta di colpo a modello imperante per tutte le produzioni che vogliano avere un mood giocato sul distacco emozionale, con personaggi magari sottilmente borderline, sempre coinvolgenti, ma anche disturbanti.

A differenza di tanti miei post, molto più strutturati e legati ad una pesante tesi di fondo (che in genere lascia poco spazio al dibattito), in questo pezzo mi limiterò a raccontarvi di alcuni eccezionali connubi tra registi e compositori, lasciando, a chi lo volesse, il piacere e l’onere di trovare il filo che tutto unisce, sempre che questa volta ci sia davvero o che invece non siano solo tante istantanee scattate da una macchina in movimento casuale.

Dune-Empereor-and-Space-Guild

Nel 1984, il genio del cinema David Lynch chiese a Brian Eno di comporre uno specifico tema musicale per il suo film visionario Dune (stra-cult della sci-fi, libero rimaneggiamneto del primo libro della omonima esalogia scritta da Frank Herbert) e che avrebbe dovuto accompagnare lo spettatore nel vasto senso di evasione dalla realtà e nuova conoscenza imposta alle scene dalla straordinaria condizione del protagonista maschile, Paul Atreides, futuro Paul Muad’Dib e predestinato a diventare il messia imperatore Kwisatz Haderach: da tale collaborazione tra Lynch ed Eno, nacque Prophecy Theme, un brano di pura ambient music, che vi propongo nella clip seguente, assieme ad alcune scene del film:

Passano molti anni, 25 per la precisione, quando nel 2009, un Peter Jackson più umile e minimalista, oramai lontano sia dalla conclusione della memorabile e fortunata trilogia cinematografica di The Lord of the Rings, sia anche dal suo ridondante e dimenticabilissimo King Kong, regala al mondo un prezioso gioiello di cinema understatement con il suo The Lovely Bones e lo fa scegliendo di nuovo Brian Eno per la soundtrack, affinché come compositore potesse commentare un dramma familiare mentre si liquefa in una struggente melodia di speranza ultraterrena.

Nasce proprio da questa richiesta l’ultima collaborazione conosciuta (ad oggi) del grande musicista britannico con la settima arte e per celebrarla vi invito a vedere ed ascoltare la clip proposta di seguito, in cui il brano 8m1 è stato montato sopra la bellissima scena in cui il personaggio di Jack Salmon (con le sembianze di un ispirato come non mai Mark Wahlberg) intuisce la verità di quanto è accaduto alla figlia Susie, pur senza ancora comprenderne la logica:

Tornando indietro nel tempo e guardando col senno di oggi a quel decennio di finta euforia e falso ottimismo che furono gli anni ’80 di Ronald Reagan, ci accorgiamo che l’animo intuitivo della musica e dell’arte visiva, dopo aver atteso anni dietro lo specchio delle vanità, aveva finalmente accolto come una liberazione l’arrivo al cinema dell’ambient music, un genere così ben codificato da Eno e soprattutto grazie a lui da subito slegato da qualsiasi equivoco con altra musica strumentale commerciale.

Prince-of-Darkness

Per questo motivo, essa diventò rapidamente la scelta per eccellenza di tutti quei cineasti che, per aspirazione o per confornità al soggetto del dramma, cercavano per i loro lavori il lato più sincero della musica elettronica, ossia quello più alienante e non divertente, come fece lo stesso regista Carpenter, il quale per raccontare le visioni da incubo horror e distopiche dei suoi film, usò refrain ossessivi e tappeti sonori strumentali, componendo spessissimo egli stesso la colonna sonora.

Brian-Eno-and-David-Byrne

Con Brian Eno come apripista, altri talentuosi musicisti emigrarono verso le sonorità ambient, sospinti anche dalla piccola rivoluzione avvenuta nel mondo del rock e del pop statunitense con i tre album prodotti dallo stesso Eno per la band di culto Talking Heads (More Songs About Buildings and Food del 1978, Fear of Music del 1979 e Remain in Light del 1980): la collaborazione ed il mutuo scambio artistico con il leader e vocalist del gruppo, David Byrne, divenne da allora in poi patrimonio culturale di ogni musicista americano ed europeo, tanto che ne ritroviamo segni praticamente ovunque, compreso nel mondo della settima arte.

2 – Clint Mansell

02-Clint-Mansell

Nel 1996, dopo lo scioglimento della sua band, i Pop Will Eat Itself, il cantante e chitarrista Clint Mansell fece l’incontro che avrebbe cambiato per sempre la sua vita artistica ed anche influenzato per anni il mondo della musica per cinema: conobbe infatti il cineasta Darren Aronofsky e per lui creò la soundtrack del suo primissimo lungometraggio, π (da noi distribuito con il sottotitolo Il teorema del delirio); da quel momento, Aronofsky volle Mansell per tutte le colonne sonore dei suoi film successivi, come The Fountain del 2006, The Wrestler del 2008, Black Swan del 2010 e per ultimo Noah del 2014.

Black-Swan

I successi di Mansell al cinema sono davvero moltissimi, con più di 30 colonne sonore all’attivo e una notorietà di molti suoi brani che ha persino scavalcato l’ambito dei film per i quali erano stati scritti, venendo usati come commento per spot pubblicitari, documentari e programmi televisivi (basti pensare alla sua famosissima composizione Death is the Road to Awe, scritta per la soundtrack del film The Fountain, ma che ritroviamo persino come commento a trailer di altri film), ma senza ombra di dubbio il brano che gli ha donato l’immortalità resta tutt’ora la sua incredibile Lux Aeterna, scritta ed eseguita per la colonna sonora del bellissimo Requiem for a Dream scritto e diretto dal solito Darren Aronofsky.

Se con questa pellicola il regista e sceneggiatore statunitense ebbe senz’altro creato uno standard imitatissimo nell’uso particolare e provocatoriamente innovativo della macchina da presa (non ci fu videoclip musicale o film indie che nei due decenni successivi non abbia tenuto conto di come erano state girate le scene di quel film, con quell’uso ridondante dello split-screen, del montaggio frenetico di migliaia di scene diverse, dei primi piani deformati, del time-lapse e soprattutto delle cineprese fissate addosso agli attori), altresì le sinfonie orchestrate da Mansell sono entrate direttamente sotto la pelle di ogni spettatore, come ne è prova la clip qui sopra, alla cui visione ed ascolto vi invito più caldamente del solito, perché qui si parla di un pezzo di storia del cinema.

3 – Jóhann Jóhannsson

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Nel 2017 Darren Aronofsky, per le musiche del suo ultimo lavoro Mother! sostituì il fidato Mansell con un altro importante esponente della musica ambient al cinema ovvero l’islandese Jóhann Jóhannsson.

Scomparso prematuramente nel Febbraio di quest’anno a soli 49 anni, è da tutti ricordato per lo più per la sua partitura sinfonica per il film The Theory of Everything del 2014 di James Marsh, ma è indubbio che i suoi lavori più importanti di musica per il cinema siano invece quelli scaturiti dalla preziosa collaborazione con un altro grande regista contemporaneo, Denis Villeneuve, per il quale il nostro compositore ha infatti scritto le soundtrack tutti i suoi film di maggiore successo, come Prisoners del 2013, Sicario del 2015 ed Arrival del 2016.

Arrival-Heptapod

Soffermandoci ora su quest’ultima pellicola, osserviamo come il lavoro svolto da Jóhannsson è quasi sperimentale, ma anche assolutamente funzionale all’approccio visivo del regista con una specie aliena, dalla biologia esogena (sono eptapodi) e soprattutto con la particolarissima relazione che si instaura tra i vari personaggi della storia, attraverso lo studio della lingua: in questo caso parliamo di una sorta ideogrammi con funzioni di comprensione ed accoglimento di uno spazio-tempo non lineare e multidirezionale (come mutuato direttamente dal racconto Story of Your Life del 1998, dello scittore Ted Chiang da cui è tratto il film), ma Villeneuve sa benissimo che gli alieni al cinema sono stati sdoganati come civiltà amiche e più evolute con lo storico Close Encounters of the Third Kind di Steven Spielberg, laddove la comunicazione tra terrestri ed alieni avveniva con l’uso delle note musicali (sull’argomento ci sarebbe moltissimo da dire ma non nel corpo del post, magari nei commenti, per chi volesse) e di questo se ne è ricordato quando ha commissionato al musicista islandese una pista sonora seminale e decisamente quasi alfabetica.

4 – Max Richter

04-Max-Richter

Per quei meravigliosi cortocircuiti che il cinema ogni tanto regala, malgrado il lavoro di Jóhannsson per la colonna sonora del capolavoro di Villeneuve sia stato assolutamente egregio, non è suo il brano musicale che più di ogni altro nel film ha rappresentato per gli spettatori la perfetta fusione, sia spaziale che temporale, tra le azioni, i pensieri ed i tempi della protagonista femminile, la linguista Louise Banks, ma di un altro grandissimo interprete, il britannico Max Richter: per Arrival, infatti, Villeneuve decise di usare nel film anche il memorabile brano On the Nature of Daylight (con cui il film simmetricamente si apre e si chiude, commentando momenti intimi e quotidiani di vita familiare), che Richter aveva scritto per la colonna sonora di Shutter Island del 2010 di Martin Scorsese.

Mentre nello spazio dedicato alle note, posto sotto il corpo del post stesso, potrete trovare un’imperdibile videoclip, creata con alcune scene prese dalla versione finale di Arrival ed anche da quelle eliminate in fase di post-produzione (fortunatamente recuperate in home-video) , dove si evidenzia l’intelligenza adattativa con cui è stato usato il brano di Richter nel film di Villeneuve, mi è sembrato più corretto invece presentarvi qui, nel corpo del testo, il medesimo brano ma in una clip con le scene dal film di Scorsese per il quale era stato scritto originariamente.

Già musicista di lungometraggi di fortissimo impatto emotivo (come Vals Im Bashir del 2008 di Ari Folman, Morgan del 2016 di Luke Scott ed il recentissimo Hostiles del 2017 di Scott Cooper), Richter ha ampliato in modo netto l’elemento orchestrale e la contaminazione con i ritmi della musica classica dentro il genere ambient cinematografico (aprendo di fatto una corrente che in un ampio giro condurrà poi a collegarsi con il moltiplicarsi ipnotico delle scale e dei refrain di Hans Zimmer e gli slanci orchestrali di James James Newton Howard), con una predilezione particolare nei suoi lavori per le moderne fiction televisive, raggiungendo una potenza ed una profondità evocativa di cui potete ascoltare un esempio nella clip precedente, tratta dalla soundtrack della serie The Leftovers.

5 – Ramin Djawadi

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La particolare attenzione di Richter agli aspetti sinfonici delle sue composizioni, richiama immediatamente alla memoria lo stile di un altro grande autore di colonne sonore per la tv, la cui notorietà è salita alle stelle dopo che ebbe composto il tema musicale della sigla di apertura di Game of Thrones: Ramin Djawadi.

The-Great-Wall

Se le sue produzioni per il cinema sono senza dubbio importanti e legate a blockbuster di successo e di tendenza, specie tra il pubblico giovanile (come Pacific Rim del 2013 di Del Toro o Edge of Tomorrow di Doug Leiman o anche The Great Wall del 2016 di Zhāng Yìmóu), a far risaltare maggiormante la sua arte e le sue partiture più oblique e innovative sono tuttavia anche nel suo caso i suoi contributi ai serial televisivi destinati ad un pubblico adulto ed in particolare, il fertile sodalizio artistico con Jonathan Nolan, per il quale ha curato le soundtrack di due fiction di culto da lui progettate, Person of Interest e Westworld.

Proprio dal superlativo lavoro svolto su quest’ultima, ho preparato la clip che vi sottopongo di seguito, con cui si conclude anche questa prima puntata del nostro percorso dietro la musica ambient al cinema.

Arrivederci a tutti con la seconda ed ultima parte di questo articolo!


I compositori di musica da cinema di cui abbiamo parlato in questa prima puntata:
Brian Eno
Clint Mansell
Jóhann Jóhannsson
Max Richter
Ramin Djawadi

Musicians-1


Contributi videomusicali aggiuntivi

Come scritto nel testo del post, ho il piacere di condividere con voi una bellissima clip di montaggio di scene elimnate dal film Arrival di Denis Villeneuve, in cui si mostra lo splendido uso che è stato fatto sia dal regista, sia dal montatore, del brano che Max Richter aveva anni prima scritto per il film di Scorsese Shutter Island.

Regalatevi qualche minuto di piacere puro, ascoltando queste note, mescolate per pochi istanti alla voce di una maestosa Amy Adams:


In questo post abbiamo ricordato i seguenti film e fiction:

Dune“, USA, GBR, NZL, 1984
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: David Lynch
dal romanzo omonimo di Frank Herbert
Musiche: Toto e Brian Eno con il brano Prophecy Theme

Requiem for a Dream“, USA, 2000
Regia: Darren Aronofsky
Soggetto e Sceneggiatura: Hubert Selby Jr. e Darren Aronofsky
dall’omonimo romanzo di Selby
Musiche: Clint Mnasell

The Lovely Bones“, USA, GBR, NZL, 2009
Regia: Peter Jackson
Soggetto e Sceneggiatura: Fran Walsh, Philippa Boyens e Peter Jackson
dal romanzo omonimo di Alice Sebold
Musiche: Brian Eno

Shutter Island“, USA, 2010
Regia: Martin Scorsese
Soggetto e Sceneggiatura: Laeta Kalogridis
dal romanzo omonimo di Dennis Lehane
Musiche: Max Richter

Arrival“, USA, 2016
Regia: Denis Villeneuve
Soggetto e Sceneggiatura: Eric Heisserer
dal racconto Story of Your Life di Ted Chiang
Musiche: Jóhann Jóhannsson (più brano di Max Richter)


24 pensieri su “Ambient Music e Cinema Contemporaneo: Parte 1 di 2, da Eno a Djawadi

    • Quanto ti ho pensato, Barman, mentre scrivevo questo post! E penso avrai anche capito che uno di quei blogger a cui facevo accenno nell’introduzione, nettamente più preaparati di me in campo musicale e che meglio di me avrebbe potuto disquisire dell’evoluzione musicale, eri proprio tu!
      Sappi che se non ti ho citato direttamente nel pezzo è solo per paura che sarebbe ai più apparsa come una squallida marchetta, volta solo a farsi pubblicità con il tuo nome ed invece sarebbe stata solo ammirazione.
      Tuttavia posso dirlo ora, in risposta ad un commento tuo, perché ogni volta che parli di musica io faccio tre passi indietro di rispetto ed ascolto.

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  1. Da appassionato di colonne sonore (sono una di quelle persone malate che di tanto in tanto vanno su youtube per sentire in sottofondo qualche soundtrack), questa mini-serie di articoli era quello che ci voleva! Queste saggi mi danno anche l’opportunità di scoprire autori che non ho ancora troppo approfondito, al di là delle composizioni più note (penso, ad esempio, che la strepitosa Lux Aeterna sia stata utilizzata per qualsiasi spot e trailer esistente).
    La vera e propria simbiosi tra musica malinconica di On The Nature of Daylight (quel violino!) e le ultime scene di Arrival (si, ho proprio un debole per quel film) è da brividi e commovente. Non sapevo che fosse stata concepita per quell’altro capolavoro di Shutter Island!
    Aspetto la seconda parte e complimenti vivissimi Kasabake!

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    • Grazie Amulius per aver chiamato “saggi” i miei post e non è complimento da poco!

      Condivido con te l’amore per le soundtrack, che anch’io ricerco, scarico ed uso in tanti momenti della giornata, soprattutto quando scrivo! Inoltre, l’autore delle musiche è una di quelle caratteristiche che guardo quasi subito in un film, anzi, nell’ordine di interesse, guardo per primo il Regista, poi lo Sceneggiatore , quindi l’autore delle Musiche ed il Direttore della Fotografia ed ultimamente, da Dunkirk poi, ricerco con assiduità il montatore…

      Non c’è niente da fare, un film è davvero un’opera artistica corale ed il contributo di ogni figura è determinante, molto ma molto di più di quanto il pubblico medio non sappia: penso ad esempio a quanto abbia significato per i film di Scorsese uno scengofrafo come Dante Ferretti, che ti ricostrusice un salotto ed corridoio dietro l’altro, mentre la cinepresa corre in piano sequenza, inseguendo Newland Archer in The Age of Innocence, cosicché la scelta di ogni quadro, colore, tappeto, statuina posta su un mobile, sono tutte cifre che creano nello spettatore una visione che in qualche modo riconosce come evocativa per quel momento ed ancora, cosa sarebbero i film di Iñárritu senza la fotografia di un genio quale è Emmanuel Lubezki? E potei continuare fino a notte fonda…

      Premetto adesso che io non ho amato l’ultimo film di Aronofsky: da un lato non riesco nemmeno ad immaginare coloro che hanno gridato allo scandalo (ma dove sono vissuti fino ad ora? Seriamente uno può uscire dalla sala guardando un film così? Boh!), ma nemmeno chi ha gridato al capolavoro solo per presa di posizione nei confronti di chi rigetteva l’opera (un po’ il classico meccanismo del «più la massa lo disprezza, più deve essere incompreso»), perché sinceramente mi ha davvero stancato questo fossilizzarsi del regista (normalmente, un mostro di bravura) su temi allegorico-religiosi, in questo caso, così smaccati ed evidenti (Dio, il creatore, Caino ed Abele, l’Eden blà, blà), dove non c’è a mio avviso un vero significato da comprendere, ma solo la voglia smargiassa di colpire la platea osando con quattro metafore butate là, da catechismo parrocchiale (perché non facciamo mangiare il bambino figlio di dio alla folla dei fedeli? In fondo è quello che dice la liturgia!… Perché non serve a niente, ecco perché). Tuttavia…

      Tuttavia Aronofsky è un maestro nella messa in scena, un regista fantastico e riesce a creare delle perle anche quando racconta una storia che è una vaccata e lo fa nel migliore dei modi possibili, tra i quali far comporre una colonna sonora per il film da Jóhann Jóhannsson e poi, in accordo con lui, azzerare completamente le musiche (non c’è una nota mai per tutto Mother!) e lavorare solo sul suono, creando un vero linguaggio caratterizzato solo da sottolineature di sound design incredibili (in mezzo alle urla della Jennifer Lawrence, la folla che sbraita ed inneggia, un rumore di fondo continuo di moltitudine che calpesta i pavimenti e sbatte contro i mobili, in mezzo a tutto questo, si sente come uno sparo il rumore secco delle ossa del collo del vambino che si spezzano….Una cosa pazzesca ed un lavoro di Jóhannsson magistrale!).

      Insomma, penso che tu mi abbia capito, Amulius: ho passato così tanti anni a disperarmi per alcuni miei coetaei e compaesani che si ostinavano a guardare in mono e su un televisore da camping portatile film come Apocalypse Now (se ci penso mi vengono i brividi: Walter Murch per quel film vinse l’oscar tecnico per il suono, avendo fatto allora una delle prime piste con 23 canali sonori ed uno se lo guarda in mono!!!), che adesso, ogni volta che riesco, cerco di sottolineare i meriti di questi tantissimi artisti non sempre valutati in modo corretto!

      Arrival, che film meraviglioso… Anch’io non smetto di esserne innamorato e posso capire te, che hai anche un predilezione per le store legate ai viaggi tempoarli, specie se ben scritte!

      Scusa la prolissità, ma con te si chiacchiera molto bene!

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      • Mi hai fatto venir voglia di vedere “Mother!”, un film che ho evitato (malgrado la presenza della Laurence che sarebbe stato un ottimo incentivo) per la mia innata ritrosia a temi horror (un genere che non riesco a “godermi”, essendo già ansioso di mio, eh eh). L’ultimo di Aronofsky che ho visto in sala è stato quel Noah che, in tutta sincerità, mi aveva deluso e non poco, anche al netto del cast a disposizione mentre ho ancora impresso il Cigno Nero, un film disturbante che ho apprezzato (pur “soffrendo” in certe scene, lo ammetto). Il mio preferito dei suoi film rimane The Wrestler (che, se non erro, come “canzone ufficiale” aveva la canzone omonima di un certo Springsteen, mica il primo che passa). La colonna sonora effettivamente è più di un quid pluris di una pellicola e devo dire che l’importanza del comparto sonoro la sto notando anche nel mondo del piccolo schermo come se, insieme all’aumento qualitativo di mezzi e attori del mondo seriale, corrisponda anche un incremento della qualità delle colonne sonore.

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        • Ah, ah, ah! Dal mio commento avrai capito che il film Mother! ha creato in me sentimenti contrapposti e fortissimi: da un lato un’insofferenza notevole per la trama (ripeto, la trama, non lo scandalo fasullo ed in realtà inesistente) e per queste metafore sbattute sulla testa dello spettatore e spiegate in mille modi, con strizzate d’occhio del regista che sembra dirci «hai capito eh? Hai capito che lei è la madre terra, vero? E quelli i fedeli e quello dio e blà blà» che neanche una maestrina… dall’altro però la maestria di un cast stellare, con Jennifer Lawrence che non è solo brava, ma trascende ed è impossibile non empatizzare con il suo personaggio ed entreresti nello schermo per prendere a botte quelli che le fanno male e fare qualcosa per aiutarla, ma anche Javier Bardem, così distante e così stronzo e poi chicche di assoluto pregio come l’irlandese Domhnall Gleeson (diventato famoso soprattutto dopo che ha dato il suo contributo alla cattiveria del  General Hux del First Order) o l’immarcescibile Ed Harris o una straordinaria Michelle Pfeiffer che prenderesti a schiaffi per tutto il film… Insomma, guardi il film e t’incazzi per un milione di motivi, ma non riesci a smettere perché è anche ipnotico ed un maestoso esercizio di stile, tecnicamente superbo, con un sonoro da panico ed una storia che fa cagare, quindi si, è da vedere!

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  2. Niente da dire, stavolta mi hai stupito come non mai mettendo in campo dei pezzi da 100, nemmeno da 90! Non è da tutti citare i 5 samurai della musica! E che campioni. Non sempre legati a film dai grandi incassi, sono senza dubbio maestri nel coinvolgere e nel dare uno spazio tridimensionale allo schermo.

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    • Non so perché ma ogni volta che vedo il tuo avatar comparire nelle notifiche, seguito dal tuo nome, prima ancora di leggere, il mio cervello si mette in moto… Figurati non appena ho letto la frase «mettendo in campo dei pezzi da 100, nemmeno da 90» ed il mio immediato collegamento non è stato con il proiettile calibro di 90 mm utilizzato per cannoneggiare i carrarmati della Seconda Guerra Mondiale, no, ma con la congrega dei pirati nobili del Quarto Consiglio della Fratellanza, che per far uscire la dea del mare Calypso dalla propria prigione metafisica devono ciascuno donare il proprio pezzo da otto per bruciarlo in un rito…

      Grazie, Gianni.

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  3. Dei compositori di cui hai parlato conosco bene i primi quattro e ti dirò che adoro parecchio i lavori fatti da Brian Eno e da Clint Mansell. soprattutto quest’ultimo. Invece non conoscevo il lavoro di Ramin Djawadi. Ti ringrazio per avermelo fato conoscere.

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