The Gathering Vol. 7: Wall Street e l’Inferno di Manchester

cover-0Sapete cosa sono i Futures? Sono delle scommesse.
Nel linguaggio del gioco d’azzardo, si chiamerebbero puntate al buio, mentre in quello dell’economia e delle analisi di mercato, previsioni statisticamente attendibili.
Sono dei contratti, conclusi tra compratori e venditori di merci o servizi, in base ai quali, ad una ben precisa data futura, si pagherà per un determinato prodotto non già il prezzo corrente, ma quello stabilito alla data della stipula del contratto.
E’ evidente che, una volta arrivata la data fissata, se il valore di mercato del prodotto sarà salito nei confronti di quello segnato sul contratto, il compratore avrà guadagnato, se invece sarà sceso allora a guadagnare sarà stato il venditore. Semplice, no?

Le cose però si complicano se questi future vengono essi stessi messi in vendita sul mercato borsistico: se all’avvicinarsi della data prevista sul contratto, il prezzo fissato, in base alle proiezioni sull’andamento del prezzo di mercato di quello specifico prodotto, apparirà vantaggioso, allora quel future potrà essere facilmente rivenduto ad un terzo soggetto.
In questo modo, il capitalismo avanzato ha spostato il concetto base di commercio, dal valore reale dell’oggetto della contrattazione (sia un esso una casa, un prodotto della terra, un oggetto lavorato e persino un’idea), al valore della previsione della sua fluttuazione sul mercato e successivamente ancora alla fluttuazione del stima della stessa previsione.
L’iniziale rapporto tra il valore di un prodotto ed il suo prezzo ed il mondo dell’economia di scambio costruito intorno ad esso (pensiamo, ad esempio, al commercio della seta, che nei secoli passati ha creato intere rotte commerciali ed una serie di economie parallele, cambiando confini geografici, abitudini e facendo persino crollare imperi) diventa in questo modo sempre più virtuale.
Alla fine, però, se chi deve comprare e pagare non lo fa, perché è fallito o altro, tutto questo diventa solo carta straccia.

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Ovviamente, qualcuno potrà osservare come la contrattazione dei future, così come di tutti i prodotti finanziari, sia strettamente regolamentata da norme governative ben precise, così come l’attendibilità dei compratori e dei venditori, sia sempre garantita e controllata da organi preposti, ma questi sono spessi privati o comunque gestiti da soggetti privati e quindi vulnerabili, ricattabili e soggetti all’andamento del mercato, come le agenzie di rating, ovvero coloro che determinano la credibilità delle operazioni e che danno dei punteggi alla solidità sia degli operatori finanziari sia dei loro prodotti.
Quindi, alla fine, resta il dubbio che si poneva l’autore satirico Giovenale nel primo secolo dopo Cristo, ovvero “Quis custodiet ipsos custodes?”, chi controlla i controllori?

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Uno dei primi film americani a parlare in modo efficace di Wall Street e dei prodotti finanziari è senza dubbio la famosissima e brillantissima commedia “Trading Places” (Una Poltrona per Due), scritta nel 1983 dalla coppia Timothy Harris e Herschel Weingrod e diretta da John Landis.
Il mondo dell’economia, in questo caso, fa solo da sfondo alla vicenda o se vogliamo è il pretesto per la manipolazione che i due scrittori hanno fatto di un testo precedente: la storia è infatti apparentemente giocata sull’archetipo creato nel 1881 da Mark Twain con il suo romanzo “The Prince and the Pauper” (Il Principe ed il Povero), ma in realtà scopriamo subito che ne è un’interessante e diabolica evoluzione.

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Nel libro del celeberrimo romanziere statunitense, infatti, attraverso lo stratagemma narrativo dello scambio consenziente di ruolo tra due bambini, provenienti da stili ed ambienti di vita opposti (il primo era il figlio del re ed erede al trono, mentre il secondo era figlio di un delinquente di strada dalla vita miserrima), si proponeva una morale netta e senza ambiguità, secondo la quale l’ambiente circostante e la famiglia d’origine di un bambino determinano sempre la qualità del suo futuro lavorativo e del suo ruolo nella società; nel film anni ’80, invece, i due sceneggiatori creano un accomodante compromesso tra teorie ambientaliste (come quella di Twain) e genetiste (secondo le quali la predisposizione al successo è predeterminata geneticamente e come tale supera anche i limiti ambientali), creando un plot in cui, dopo lo scambio tra il mendicante di strada ed imbroglione Billie Ray Valentine (interpretato da Eddie Murphy) ed il ricco rampollo della Philadelphia classista ed istruita Louis Winthorpe III (interpretato da Dan Aykroyd), entrambi avranno comunque successo, il primo utilizzando al meglio le opportunità offertegli dal nuovo ambiente sociale ed il secondo usando le sue capacità innate ed il suo ingegno per risalire la china.

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La pellicola di John Landis, però, esemplare campione di quel decennio di storia americana, va oltre e finisce per affermare che comunque, anche in un mondo fatto di squali come quello della finanza di Wall Street, la perseveranza, il duro lavoro e l’arguzia riescono sempre a portare al trionfo anche chi parte da posizioni svantaggiate: viene ossia glorificato il falso mito della terra delle opportunità, in cui non importa da che posizione si parta giacché per magia o giustizia divina, chiunque può avere successo, a patto di impegnarsi moltissimo e sacrificare tutto quello a cui riesce a rinunciare (affetti, famiglia, tempo libero, etc.).
Il mondo della finanza è di per sé calvinisticamente assolto, quindi, da ogni peccato, come una pistola che non ha colpa di chi uccide o un qualsiasi strumento impersonale, perché una sana ed aggressiva competitività viene servita come giusta ed accettabile dalla società americana, soprattutto se si viene anche tranquillizzati sul fatto che i cattivi, quelli che potrebbero alterare le sacre regole del gioco, vanno sempre in galera. Tutto bene, quindi.

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Fermiamoci, però, un attimo sulla scena finale del film, quando i due eroi della vicenda mettono in scacco i due principi della borsa di Wall Street, Mortimer e Randolph Duke (ruoli che vedono due maestri di cinema, quali Don Ameche e Ralph Bellamy, duettare in modo superbo), usando contro di essi le loro stessi armi, ovvero l’inganno e le speculazioni sul valore dei future (in questo caso con oggetto il succo di arancia surgelato).
La scena, come per altro tutto il resto della pellicola, risulta assai efficace solo ed esclusivamente grazie alla straordinaria bravura degli interpreti, nonché per l’impeccabile messa in scena del suo iconoclasta e goliardico regista (il ritmo delle cui pellicole era in quegli anni davvero magico, basti pensare ad una delle pellicole più belle di tutti i tempi,  quale “The Blues Brothers” e prima ancora “Animal House“), mentre sul versante dello script, dobbiamo lamentare una certa farraginosità ed una fastidiosa approssimazione, che hanno reso di fatto quasi incomprensibile, per la maggior parte del pubblico, la reale sequenza degli accadimenti: gli spettatori, ossia, intuiscono che gli eroi positivi della storia hanno vinto e che lo hanno fatto imbrogliando gli stessi imbroglioni, facendo loro acquistare qualcosa che pensavano avesse molto valore quando invece non ne aveva affatto, ma tutto il meccanismo di scambio successivo dei future tra gli operatori di borsa ed il finale acquisto al ribasso, che determinerà il fallimento dei Duke e contemporaneamente il successo economico dei due eroi, è stato accolto invero con un atto di fede, come si fa di fronte ad un astronomo che ci parla delle eruzioni solari o ad un fisico entusiasta per aver scoperto la prova dell’esistenza del bosone di Higgs.

Una mezza verità è la menzogna più diabolica, recita un vecchio adagio popolare ed Hollywood, da sempre, è bravissima nel propagandare messaggi pseudo-liberisti, per poi fermarsi qualche metro prima delle stanze del vero potere.

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Nel 1987, Hollywood affida ad uno dei suoi uomini di cinema più radicali ed apertamente contestatori della compagine politica capitalista, un film leggendario, in cui la volontà di denuncia del sistema di corruzione insito nel mondo dell’alta finanza di Wall Street sfumava progressivamente dentro l’epico disegno narrativo di un vero anti-eroe, un titano dell’illegalità dei colletti bianchi, un personaggio di fantasia che divenne per tutti l’archetipo stesso del finanziere senza scrupoli, così ben disegnato da diventare persino, in quel disgraziato periodo di yuppies drogati di denaro facile, un modello da imitare ed a cui ispirarsi, ovvero il corporate raider Gordon Gekko.
Il film in questione è ovviamente “Wall Street”, diretto da Oliver Stone e scritto a due mani dallo stesso regista, insieme al suo sodale amico di penna Stanley Weiser.
Preciso, a scanso di equivoci, che dal punto di vista cinematografico ed artistico, considero l’opera di Stone assolutamente impeccabile, con un ritmo perfetto ed un’interpretazione davvero titanica di Michael Douglas nei panni di Gekko, che qui firma probabilmente la sua più grande prova recitativa; tuttavia, proprio tale grandiosa potenza evocativa ha permesso ancora una volta di spostare il focus degli spettatori lontano dal sistema e concentrarlo sull’individuo, l’unico vero colpevole, il grande villain, che alla fine della storia, viene arrestato dall’integerrima e scrupolosa FBI, decretando la fine del suo dominio ed il crollo del suo impero, come già era avvenuto nel film di Reitman con i due fratelli Duke. Il demonio aveva forse perso uno dei suoi generali, ma di certo aveva salvato l’esercito.

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Oliver Stone aveva in qualche modo suonato un campanello d’allarme sui pericoli e la fallacia del sistema economico e finanziario statunitense e per estensione occidentale ed europeo, ma aveva anche contribuito a soffocarne la sirena con le fascinazioni individualiste fatte di romanticismo e pratiche predatorie così furbe e geniali da diventare quasi eroiche.
Accadde così che, quando nel 2010 Oliver Stone ritornò sul suo personaggio, con il suo sequel “Wall Street: Money Never Sleeps”, aldilà dell’esito comunque artisticamente più modesto e meno originale del predecessore, qualsiasi possibile allarme sui pericoli dell’alta finanza naufragava in una pellicola molto meno arrabbiata ed aggressiva, forse meglio fotografata, ma tutta incentrata solo sulla storia personale di Gekko.
C’è tuttavia un momento in questo film, una piccola perla di cinico realismo e spirito libertario, che fa trapelare quale sia davvero la considerazione per il mondo della finanza da parte di Stone, ovvero quando fa fare una fugace apparizione al personaggio di Bud Fox, sempre interpretato da Martin Sheen, quello che nel primo film era stato il discepolo di Gekko ed anche quello che lo aveva consegnato alla giustizia: sono passati gli anni ed il bravo ragazzo è diventato uno squalo, completamente corrotto da quel mondo senza scrupoli.

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Per trovare un film che affronti di petto il problema della complice cecità di tutta Wall Street, di fronte ai suoi punti deboli, dobbiamo arrivare fino al 2011, quando la HBO decide di produrre “Too Big to Fail” (Troppo grandi per fallire), un film per la Tv basato sul libro-inchiesta “Too Big to Fail: The Inside Story of How Wall Street and Washington Fought to Save the Financial System—and Themselves”, scritto da Andrew Ross Sorkin, avvocato, saggista ed editorialista finanziario per il New York Times.
Sorkin è un uomo del sistema, un giovane di successo ed un intelligente analista (un individuo che per certi versi ricorda il personaggio di fantasia di Louis Winthorpe III del film Trading Places), che ha deciso di raccontare in un libro la sua versione dei fatti sulla grande crisi economica del 2008: dal suo saggio esce un quadro desolante, in cui impietosamente si fustigano le pessime abitudini, l’ottusità ed il malaffare di moltissima parte della city, ma in qualche modo, si salva il potere politico, anche se in extremis.
Il regista Curtis Hanson, usando l’adattamento curato dallo sceneggiatore Peter Gould (lo stesso di Breaking Bad e Better Call Saul) dirige un cast stellare, in cui riescono comunque a distinguersi due fantastici Paul Giamatti (nel ruolo difficilissimo ed ambiguo di Ben Bernanke, allora Presidente della Federal Reserve ) e William Hurt (nella parte di Henry Paulson, il segretario al Tesoro degli Stati Uniti ed anche ex presidente ed amministratore delegato della Goldman Sachs, come dire il luogo-tenente del diavolo in persona ).

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Anni dopo, nel 2016, Sorkin si ritroverà di nuovo a parlare di crimini finanziari, ideando di persona, insieme a David Levien, “Billions”, una miniserie televisiva, terribilmente affascinante, sceneggiata e diretta splendidamente in ogni puntata, nonché recitata in modo impeccabile ed anche trascinante da tutto il cast.
Le paure per le incertezze sul sistema economico economico sono qui convogliate dentro una struttura narrativa molto più romanzesca e soprattutto blindata nel duello tra due anti-eroi, affascinanti ed eticamente opachi: il Procuratore Federale del Distretto Sud di New York Charles Rhoades (ruolo affidato da un Paul Giamatti in stato di grazia) ed il misterioso e geniale self-made-man Bobby Axelrod (rappresentato sullo schermo da un grandissimo Damian Lewis), villain della situazione, manager e dio in terra di un prestigioso fondo d’investimento, sulle cui presunte attività illecite Rhoades indagherà senza pietà.
Un’ottima fiction televisiva, nella quale ad ogni puntata, quasi con meccanismo procedural, assistiamo ad un nuovo colpo di scena e ad una mazzata, assestata da uno dei due contendenti all’altro, circondati oltretutto da un nutrito contorno di personaggi minori, tutti ritratti con la massima grazia e profondità possibile.
Tuttavia “Billions” non aggiunge nulla al nostro discorso sulla vera identità di Wall Street, la qual cosa, ovviamente, non diminuisce l’efficacia artistica di questa fiction, ma semplicemente la fa restare dentro ambiti più collaudati, preferendo all’inchiesta una deriva più romantica ed investigativa.

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Pur nella sua irruente scandalosità e nella poetica dell’eccesso, l’apparentemente amorale script di “The Wolf of Wall Street”, che il bravissimo Terence Winter scrisse rielaborando il già controverso libro autobiografico scritto dallo stesso pirata della finanza Jordan Belfort, racconta più verità di tanti documentari su quella piccola sezione borderline della middle-class statunitense che da sempre ha una considerazione perversa dell’american dream, declinando quest’ultimo come un viatico verso l’accaparramento senza freni inibitori.
Specializzato nella descrizione di personalità spaventosamente narcisiste ed autodistruttive, nel 2013 il maestro indiscusso Martin Scorsese prende la sceneggiatura di Winter (consegnatagli da un orgogliosissimo DiCaprio, il quale ha lottato con i denti affinché nemmeno un rigo fosse censurato) e dirige certamente uno dei suoi più alti capolavori, mescolando stili narrativi differenti, imbrogliando lo spettatore con i suoi falsi momenti verità ed intessendo un inno alla trasgressione, inzuppato di anfetamine, barbiturici, sesso ed alcol.
Alla fine della visione, di certo non si è imparato nulla del mondo della finanza, ma il nostro cuore si è arricchito della lirica visione perversa di un demone che ci racconta, appoggiato ad un tavolo di un bar, di come all’inferno siano viste la cupidigia e l’ingordigia.
Un film decisamente outsider nel nostro discorso, ma che va visto ancora ed ancora ed ancora.

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Non potevo concludere questa nostra carrellata veloce sul cinema americano dedicato a Wall Street ed ai suoi demoni senza parlare del film senz’altro più importante ed esplicativo al riguardo, fra tutti quelli citati, nonché una delle pellicole più eclatanti e straordinarie uscite negli ultimi anni, ovvero quel piccolo miracolo cinematografico di “The Big Short”.
Guardatevi con sospetto da chi ve ne ha parlato male, di persona o tramite lettura di articoli o post nel web, perché costoro sono le stesse persone superficiali che se assaggiassero una vichyssoise storcerebbero il naso sentendo che è fredda: il film di Adam McKay è un prodigio ed anche un miracolo filmico, come la vittoria di una squadra di atleti senza sponsor in un campionato di Serie A.
Ho sempre voluto bene a McKay, per via di film come Anchorman: The Legend of Ron Burgundy e Anchorman 2: The Legend Continues (la scena di battaglia tra giornalisti a Central Park è una di quelle che meriterebbero un articolo a parte e forse lo farò!) e persino per il suo script per Ant-Man, ma io stesso non avrei pensato che avesse le palle e la stoffa per scrivere (coadiuvato da Charles Randolph) una sceneggiatura incredibile come quella di questo film e che ha meritatamente vinto tutti i premi possibili (Academy Awards, British Academy Film Awards, Critics ‘Choice Movie Awards, Empire Awards, Hollywood Film Awards, USC Scripter Award, Writers Guild of America Award).
Tralasciando la bellezza e la genialità ovvia e lampante di scene come quella in cui Margot Robbie spiega cosa siano le cartolarizzazioni mentre fa il bagno ricoperta di schiuma, il film riesce dove anche grandi registi hanno stentato a raggiungere il climax emotivo ovvero nella coralità: tutto il cast è meravigliosamente in parte, con picchi di eccellenza prodigiosi (Christian Bale toglie letteralmente il fiato per la sua capacità di calarsi nel personaggio in modo quasi mimetico), tutti in qualche modo empaticamente collegati sia dal personaggio che dall’interpretazione di Steve Carrell, sempre sulla falsa riga della comicità nera e del dramma personale, quasi come un coro greco disincantato o un filosofo assetato di pessimismo cosmico.
Un film prodigioso che ha un villain assolutamente non umano, ossia il sistema di collusione tra grandi banche, politica e agenzie di rating ed un mostro spaventoso da loro stessi creati, il CDO: la scena in cui il fund manager Mark Baum (il personaggio di Carell) assiste assieme allo spettatore alla spiegazione che viene fatta in modo esemplare su cosa sia un CDO “sintetico” è epocale e resterà nel cuore di chiunque non sia così stupido da pensare che ciò che ha visto sia solo fantasia.

Nel 1862, in uno dei suoi “Petits Poèmes en prose”, Charles Pierre Baudelaire diceva: “la plus belle des ruses du Diable est de vous persuader qu’il n’existe pas!”, ovvero il trucco più bello del diavolo è di convincerci che egli non esista!
Il demonio, la menzogna, il serpente tentatore, tutte immagini che affondano nella storia del cristianesimo e prima ancora del paganesimo.
Sempre il poeta Baudelaire, questa volta nei suoi “Diaries” del 1887, torna sull’argomento demoniaco in questo modo: “Le commerce est, par son essence, satanique. Le commerce, c’ est le prêté-rendu, c’ est le prêt avec le sous-entendu : Rends-moi plus que je ne te donne”, il commercio è per sua natura demoniaco, il commercio è un prestito con obbligo di restituzione, un prestito che sottintesa ha la regola restituiscimi più di quanto ti ho dato.
Forse non bisogna aspettare di morire per incontrare il demonio, forse i suoi emissari sono già tra noi o forse ancora qualcuno di noi umani è convinto di essere lui stesso il demonio…

Lasciamo dunque per un attimo il mondo del cinema ed addentriamoci con Blackgrrrl in un mondo di fiamme…


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Blackgrrrl stava correndo a perdifiato lungo i corridoi infuocati che collegavano i vari gruppi di binari, proprio lei che non aveva mai amato nemmeno fare jogging ed aveva anzi sempre guardato con sospetto le sue amiche, che invece si ritrovavano al parco, con la code dei loro capelli scodinzolanti, mentre trotterellavano sorridenti in tenuta da running, con la tutina d’ordinanza e le cuffiette alle orecchie.
In mezzo a quel calore devastante, così potente che lo si poteva quasi palpare con le mani, la nostra eroina quasi volava: si spostava con così tale rapidità che le lacrime le scappavano via dal viso, scorrendo lungo le guance così veloci da farle male, come sciabolate sulla pelle.
Si stava addentrando, ogni metro di più, in un vero inferno, di cui non vedeva e nemmeno immaginava la fine.
Il suo cuore era straziato, in modo terribile, per la consapevolezza che non solo di certo sarebbe morta, ma che nessuno avrebbe potuto mai scoprire cosa le fosse accaduto davvero, perché tutta quella mostruosità che la circondava avrebbe di certo distrutto il suo corpo ed anche lo stesso ricordo di quanto successo.
Il suo potere espanso la stava in qualche maniera proteggendo da tutte quelle fiamme, in un modo che nemmeno lei riusciva bene a capire, forse per una sorta di bolla d’energia, creata dal contrasto tra il calore e la pressione, ma non lo sapeva: non era mai stata brava in queste cose scientifiche, nemmeno a scuola, ma adesso vedeva solo che la pelle delle sue mani si stava spaccando, come un foglio di argilla, abbandonato nel forno da un ceramista distratto.

Mentre pensava a cosa sarebbe successo al suo viso ed al suo corpo in generale, maledisse il giorno in cui aveva deciso di recarsi in stazione con Fassbender, perché mai, mai, avrebbe immaginato quello che fu costretta a vedere appena scesa dal taxi, uno spettacolo che, in modo bizzarro, le ricordò le tavole di Gustave Dorè, disegnate a corredo della Divina Commedia di Alighieri: due colonne di fuoco si alzavano verso il cielo grigio della cittadina inglese, come torri di un reame demoniaco che cercava di entrare nella nostra realtà, stuprandola con il sadismo di un torturatore drogato di crack.
Dalla terra sgorgava lava incandescente, mista a cavi elettrici e terriccio, che poi si riversava in piccoli torrenti, sparsi senza ordine apparente lungo le gradinate della stazione, ma fluenti tutti in un’unica direzione, come se più avanti dovessero radunarsi in un unico punto, nascosto sotto i binari sotterranei dell’alta velocità
Non riusciva ad immaginare come avrebbero potuto i mezzi di comunicazione, nei giorni successivi, far passare quell’apocalisse per un’attentato terroristico, anche se è noto che, quando si vive in un regime di democrazia debole, come diceva il pensatore Massimo Bisotti, le verità più incredibili passano facilmente per bugie, mentre le più grandi bugie vengono fatte passare per verità inconfutabili.
La consapevolezza della terribile atrocità di quello che stava accadendo ed assieme l’assoluta ignoranza del resto del mondo verso quel cataclisma, innaturale e mostruosamente umano ed artificiale, la colpirono in volto, mozzandole il fiato, come nel peggiore dei traumi infantili o meglio come la versione, all’ennesima potenza, dello smarrimento e del dolore che aveva provato il giorno del suo primo ciclo mestruale, quando sua zia, pensando che avesse mal di pancia le aveva comprato un gelato, ironia della sorte, mentre lei si stava contorcendo per un dolore così nuovo e potente, da pensare persino di invocare l’angelo della morte per venirla a prendere: quel giorno, ancora dodicenne, tutte le donne della sua famiglia le sorrisero, dicendole che era finalmente divenuta donna, ma negli anni avrebbe scoperto che quella cosa che gli uomini ancora pensano sia una malattia e che faceva puzzare di capra la sua compagna di banco a scuola per tutta la settimana del ciclo, era soltanto la prima delle maledizioni che colpiscono il suo sesso.
Ora, di fronte al suo destino, Blackgrrrl comprese che davvero non c’è mai limite al peggio, cazzo!
Era un’eroina, una fottuta eroina, anche se non lo aveva mai chiesto (come per le mestruazioni) ed era anche una cretina che credeva nell’umanità e probabilmente pensava che sacrificarsi per un bene maggiore fosse una scelta comprensibile, così piegò la bocca in una smorfia di disgusto e dispiacere: pensò a tutto ciò che avrebbe perso per sempre, al sesso, all’amicizia, alle sue passioni, persino ai dolci, che un palato bruciato e distrutto dalle fiamme non avrebbe mai più potuto gustare, nemmeno se fosse sopravvissuta, ma poi, alla fine, aveva gettato la sua borsa addosso a Fassbender e si era buttata in mezzo a tutto quel fuoco e quell’orrore, cominciando a correre in mezzo ad esso.

Le fiamme avevano avvolto come un putrido lenzuolo svolazzante ogni parete o struttura degli ambienti interni della stazione: i pavimenti sembravano invece cosparsi di un liquido viscoso, forse frutto della carne e delle ossa dei cadaveri di chi si trovava là in quel momento, disciolti sotto il calore, come in una gigantesca cremazione a bassa temperatura, in cui la liquefazione si prolunga prima della polverizzazione.
Anche il suo corpo stava perdendo consistenza, ma il suo potere sembrava tenerne assieme la struttura e persino drogarne le terminazioni nervose, incapaci di trasmettere ancora il dolore.
Stava seguendo i rivoli di quella strana lava, lungo gli ampi corridoi che conducevano ai binari della metropolitana ed ogni tanto con la coda dell’occhio, osservava, senza fermarsi, quei loculi infernali che un tempo erano stati edicole e negozi e sale d’attesa e biglietterie.
Dopo l’ennesima svolta di quella sorta di labirinto, si ritrovò in un gigantesco spiazzo, dove poteva addirittura udire il ribollire di quel torrente di fuoco e pietra liquida, come una terrificante cascata, nascosta in un bosco impossibile e al centro di quello spiazzo vide una sagoma umana, immobile come il manichino di un robot ciccione ed inarcò le sopracciglie oramai bruciate per meglio mettere a fuoco ciò che stava vedendo, finché quel manichino non alzò un braccio, per salutarla.

Una sorta di armatura, una via di mezzo tra un palombaro ed un soldato di ventura, si avvicinò con passi pesanti, fino a quando non fu a portata di sguardo ed allora, con un ampio sorriso, assolutamente fuori luogo, un uomo le disse da dietro il vetro del suo ingombrante casco: “Ciao, sei Blackgrrrl, vero?
Lei lo guardò con la smorfia di chi inequivocabilmente ti sta chiedendo “E tu chi cazzo sei?
Sono Gabriele, Gabriele Mainetti!
Quello di Basette?”, chiese quasi senza voce Blackgrrrl, con lo sguardo obliquo ed interrogativo, di chi sta guardando un Chiwawa ordinare incredibilmente un panino da Burger King.
Quello di Jeeg Robot!! Comunque si, anche di Basette, è chiaro…
Mentre la nostra eroina lo continuava a guardare come si fa con un miraggio o un prodigio bizzarro, Mainetti proseguì imperterrito: “La SAG si è spaccata dopo la scomparsa di Alan Rickman… si sa che dietro la sua morte c’era qualcuno di molto potente ed ora pensiamo che ci siano persino dei traditori fra noi… comunque io sto dalla parte dei buoni!
Un architrave si staccò dal soffitto, crollando lentamente ma in modo fragoroso sopra la lava e finendo per sprofondare in quella specie di fiume infernale, ma quando Blackgrrrl, che si era girata a guardare lo spettacolo, tornò di nuovo a rivolgersi verso Mainetti, questi non aveva smesso di parlare “e così hanno deciso che dovevo andare io, con questa armatura fighissima a prova di fuoco e proiettili, ma ci credi?
Gabriele, tu mi stai anche simpatico, ma ora…”, Blackgrrrl pensò che altre parole sarebbero state inutili, quindi alzò verso il casco dell’armatura le sue mani, oramai ridotte a due tizzoni di carbone.
Mainetti fece con la bocca una “o” di stupore e subito allargò le braccia, come un Cristo in croce e dalle maniche di metallo e polimeri di quella tuta protettiva cominciò a zampillare una pioggia di un qualche liquido, che di certo non era semplice acqua.
Blackgrrl si sentì come l‘ultima rosa rimasta in un pianeta arso da un sole vendicativo e che un istante prima di morire e piegarsi in terra, riceve il dono di una rugiada celestiale, così chiuse gli occhi e si fece lavare tutta da quello scroscio fresco e salubre.
Come si diradò la nebbiolina, sprigionatasi dal contrasto di temperature, Mainetti fece per spingere la nostra eroina verso l’uscita, ma ne incontrò la resistenza: “Cosa fai? Dobbiamo andare! Qui non c’è più nulla da fare, non c’è nulla per noi!
Scherzi?”, lo rimproverò Blackgrrrl, “Qui c’è tutto!! Là sotto c’è il motivo per cui io sono qui e probabilmente il motivo per cui morirò e… sticazzi!
Quindi fece con le mani un gesto simile a quello che, più goffamente di suo padre Naruto, faceva Boruto Uzumaki, all’inizio degli allenamenti, quando provava a lanciare il Rasengan e davanti a lei creò una bolla ancora più lattiginosa di tutte quelle fatte fino ad ora e poi ci entrò dentro, con la semplicità di chi lo fa tutti i giorni, come se salisse sull’autobus che la portava in centro.
Avrebbe voluto salutare quel bonaccione di Mainetti, ma non si girò nemmeno a guardarlo, mentre si buttava a precipizio nel gorgo dove tutta quella lava si riversava: come uno stupido lichene o un’orchidea da poco prezzo, incastrati dentro una pallina di plastica trasparente, Blackgrrrl nuotava in un mondo sottomarino che finì ben presto, sul bagnasciuga di una gigantesca grotta, scavata sotto la stazione ed al cui centro si apriva una voragine fumosa e nera come la pece dove tutto quel fuoco si stava riversando, creando una cascata circolare che ricordava, per l’effetto frastornante, quello delle Niagara Falls.
In quel posto il calore era assurdo, come l’interno di un vulcano ed anche la sua speciale bolla di protezione stava cedendo di fronte a tanta forza termica: per la prima volta la testa di Blackgrrrl cominciò a roteare e capì che stava perdendo i sensi.
Mentre si accasciava lentamente a terra, come nella nebbia fuori fuoco di un miope che guarda un film senza gli occhiali, vide dal buco emergere una specie di enorme serpente ed a cavallo di quel leviatano a forma di rettile, c’erano degli uomini o comunque delle sagome che di certo lo ricordavano.
Il suo pensiero corse ai guerrieri Fremen, che nel film “Dune” di Lynch avevano imparato a cavalcare i grandi vermi del deserto e sorrise pensando che, forse, quello sarebbe stato il suo ultimo pensiero, ma mentre una tenebra le cominciava ad offuscare lo sguardo, ebbe quasi l’intuizione di una nuova sagoma all’orizzonte, con uno strano vestito ed un buffo copricapo, che stava agitando, verso il serpente ed i suoi compari qualcosa di simile ad una lancia o una spada.
Mentre stava verosimilmente esalando il suo ultimo respiro, Blackgrrrl pensò che laggiù, in quel buco di culo nascosto sotto Manchester, qualcuno stava conducendo una battaglia per la vita e sperò che a vincere fosse uno dei buoni, perché anche in mezzo al caos primordiale c’è sempre un buono, un eroe che combatte contro i cattivi.
Le labbra con cui quella bocca avrebbe dovuto disegnare un sorriso, sul volto bruciato della nostra eroina, rimasero immobili: l’impulso nervoso, partito dal cervello, era arrivato troppo tardi, perché il corpo oramai morto.
La silhouette che Blackgrrrl aveva solo intravisto si avvicinò al corpo esanime, mostrandosi per ciò che era davvero: un imponente Samurai, in tenuta cerimoniale da guerra.
Il bushi s’inginocchiò al capezzale, appoggiando a terra i suoi stivali, gli tsuranuki, apparentemente incurante dello spaventoso calore che lo circondava; quindi passò lentamente, sul volto inerme di quel corpo annerito, la sua mano destra, vestita con lo yugake, lo speciale guanto da battaglia, muovendosi delicatamente nell’aria, come se stesse accarezzando un campo di spighe di grano.
Infine, un volto indecifrabile, nascosto dietro il mempo, la maschera protettiva del viso, prese evidentemente una decisione ed il guerriero, alzatosi in piedi, dopo aver urlato qualcosa al cielo, affondò la sua no-dachi, una katana di grandi dimensioni, direttamente nel petto della nostra eroina defunta e là rimase, appoggiandosi alla sua spada come se stesse riposando o meditando.


In questo post, abbiamo parlato dei seguenti film e fiction:

Trading Places”, USA, 1983 (“Una Poltrona per Due”, Italia)
Soggetto e sceneggiatura di Timothy Harris a Herschel Weingrod
Regia di John Landis, con Dan Aykroyd, Eddie Murphy, Ralph Bellamy e Don Ameche

Wall Street”, USA, 1987
Soggetto e sceneggiatura di Oliver Stone e Stanley Weiser
Regia di Oliver Stone, con Michael Douglas, Charlie e Martin Sheen, Daryl Hannah

Wall Street: Money Never Sleeps”, USA, 2010
Sceneggiatura di Allan Loeb e Stephen Schiff, su soggetto di Stanley Weiser
Regia di Oliver Stone, con Michael Douglas, Shia LaBeouf, Josh Brolin e Carey Mulligan

Too Big to Fail”, USA, 2011
Sceneggiatura di Peter Gold, quale adattamento del libro inchiesta di Andrew Ross Sorkin
Regia di Curtis Hanson, con William Hurt, Paul Giamatti, Edward Asner e Billy Crudup

The Wolf of Wall Street”, USA, 2013
Soggetto e sceneggiatura di Terence Winter, dal libro omonimo di Jordan Belfort
Regia di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio, Margot Robbie, Matthew McConaughey

The Big Short”, USA, 2015
Sceneggiatura di Charles Randolph ed Adam McKay, dal saggio omonimo di Michael Lewis
Regia di Adam McKay, con Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt

Billions (TV series)”, USA, 2016, Creata da David Levien ed Andrew Ross Sorkin
Scritta da David Levien, Andrew Ross Sorkin, Brian Koppelman, Wes Jones, Willie Reale ed altri
Regia di Neil Burger, Scott Hornbacher, James Foley, Neil LaBute, Stephen Gyllenhaal ed altri


36 pensieri su “The Gathering Vol. 7: Wall Street e l’Inferno di Manchester

  1. E’ un vero peccato amico mio che tu perda tempo qui su wordpress scrivendo su un blog che non avrà mai la platea che meriti.
    Come ti ho detto più volte, credo che la Conoscenza senza la Condivisione sia solo masturbazione intellettuale. E quando mi capita di leggere o ascoltare qualcuno che non solo “conosce” ma addirittura sa anche “condividere” allora sgrano sempre gli occhi. E raramente mi è capitato di restare incollati alle parole scritte o dette da qualcuno come mentre leggevo questo post.
    In un paio di capoversi sei riuscito non solo a riassumere brillantemente complicate e intricate accezioni finanziarie e meccanismi socio-economici dell’etica discutibile quanto ineluttabile, ma addirittura hai fatto si che chi leggeva (io) finalmente riuscisse a comprendere pienamente il significato delle parole e le loro implicazioni.
    Ho incontrato poche persone nella mia vita con questo dono: l’insegnante di Latino e Greco al Liceo, il professore di Linguistica all’università (con cui poi per altro discussi la tesi di laurea) e infine te.
    Lo dico sinceramente, amico, è un vero peccato che tu non ti sia dato all’insegnamento perchè, ne sono certo, ci sarebbero stati centinaia di ragazzi che, anche a distanza di decenni, avrebbero ricordato con piacere e rispetto gli insegnamenti del loro Professor Kasabake!!!!!!

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  2. Grazie di cuore per il lunghissimo elogio, davvero, soprattutto perché è diretto alla parte indubbiamente più ostica del post ovvero quella in cui cerco di spiegare argomenti che da sempre sono complicati per definizione, con buona pace di chi ha tutto l’interesse affinché restino tali, per il proprio tornaconto!

    Sono altresì molto curioso di sapere la tua opinione sui film che ho citato come genere “Wall Street”, visto che praticamente si cavalcano due decenni…

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  3. Dei film che citi ne ho visti alcuni, ma non tutti.
    Ovviamente Trading Places, classicone natalizio (ma poi, perchè????) e The Wolf of Wall Strett (autentico capolavoro, imho). Ho visto anche The Big Short che però, devo ammetterlo, non mi ha fatto nè caldo nè freddo: il suo essere troppo asettico, girato con uno stile per certi tratti addirittura documentaristico, lo rende poco assonante con le mie corde.

    Del resto non ho visto nulla, neppure il citatissimo e lodatissimo Wall Street di Stone (te lo dicevo anche dall’altra parte che ogni volta che leggo te e quell’altro demone di un toscano mi fate sempre sentire un ignorante…).

    Billions però ce l’ho in canna, nel senso che ho scaricato la serie e non vedo l’ora di guardarla.
    SOlo che con le serie tv ultimamente sto un po’ ingolfato: sto guardando con diletto sommo The Affair (diomio quant’è brava Ruth Wilson, starebbe bene nel tuo Pantheon), sto ultimando la visione della stagione 2 di Gotham (non ho mai visto una serie tv crescere così tanto dalla prima scialba stagione a questa seconda, che invece è semplicemente fenomenale, soprattutto nei primi 10 episodi). Poi devo vedere anche Strangers things (ne ho sentito parlare troppo e troppo bene per perderla) nonchè le due stagioni di Better Call Saul (pe rla quale vale lo stesso discorso di Strangers Things).
    E poi a breve riprendono i nostri amanti vigilantes della CW: Arrow, Flash e sopratutto lei, la Divin Cugina. Che poi, a dio piacendo, magari quest’anno Mediaset propone pure Legends of Tomorrow, che a me sto fatto di non poter più vedere in tv il culo di Caity Lotz mica mi va giù…
    Insomma, di carne al fuoco ce n’è tanta: spero di avere lo stomaco abbastanza grande e di arrivre a Billions prima di essere esploso 😀

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  4. Inizio articolo con breve ma esplicativa lezione di economia e finanza sui futures e a seguire un meraviglioso excursus (come sempre) sulle pellicole, stavolta a tema ‘Wall Street’, che ci hanno accompagnato negli ultimi trentanni.
    Riguardo Trading Place sacrosanto quello che affermi .. “gli eroi positivi della storia hanno vinto e lo hanno fatto imbrogliando gli stessi imbroglioni … i fratelloni Duke”. A proposito del Principe e il Povero, se ben ricordi ci fu tuttavia un gesto di riscatto da parte (se non altro) di Landis e di Billy Ray Valentine allorquando, sotto le mentite spoglie del principe di Zamunda, donò un bel gruzzolo di dollaroni a Mortimer & Randolph, ormai barboni già dimoranti sotto i cartoni delle gelide strade newyorkesi.
    Scherzi a parte i migliori insegnanti, nella scuola come nella vita, sono quelli con maggiore capacità di sintesi e che hanno competenza nel collegare le storie e tu caro Kasa lo fai con una sapienza disarmante. Mi pare evidente che questo è pane per i tuoi denti, hai scritto un altro pezzo di storia di quel trattato sul cinema che prima o poi dovrai pubblicare (su carta intendo).
    Outstanding!!
    Fed

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    • Sei sempre gentilissimo con me ed anche assai generoso… tuttavia, siccome la carne è debole, mi godo i tuoi complimenti, gongolando…
      Deliziosa la tua citazione del film “Coming to America” (tradotto con il banale “Il Principe cerca moglie”), sempre di Landis, con il cameo dei fratelli Duke divenuti barboni… un tocco tipico alla Landis…

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  5. Gran pezzo come al solito, non è un argomento che mi attrae molto ma devo ammettere che con the big short più che con the wolf of wall street sono riusciti a farmi stare simpatico un film che parla di finanza e non è da tutti XD
    Venendo a the gathering invece, ci sono stati dei pezzi in cui mi sono rivista particolarmente ma poi… GUSTAVE DORE’, cioè come.. come?? come fai? io adoro i suoi lavori.
    La parte su Mainetti mi ha fatto sorridere 😀
    E scusa ancora per l’abbandono, mi spiace soprattutto perché ci metti un tale impegno a tenere in piedi tutto

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  6. In ritardo come sempre ma con eleganza 😀
    Non ho potuto commentare prima perché sono ingolfatissimo con il lavoro [che ho perso per un giorno per poi essere ripreso quello dopo…storie mai viste XD] tant’è che ho pure trascurato il mio blog [ma con l’arrivo di Cage su Netflix due righe non potrò non scriverle 🙂 ].
    Comunque, basta con le paraculate, veniamo al sodo!

    Bellissimo il tuo pezzo sul cinema della finanza! Ho adorato ognuno dei film da te citati [tranne “Too Big To Fail” che mi manca e anche “Billions” che essendo una serie si perderà nell’oblio della mia watchlist…ma ci sta Paolino Giamatti quindi prima o poi me la recupero 😀 ] ma una menzione d’onore la devo a The Big Short, film che sono andato a vedere con delle aspettative che sono state totalmente stravolte [in positivo] e che mi ha fatto capire che non ci sono certezze [credevo di conoscere il regista, credevo di conoscere gli attori, credevo di sapere a cosa andavo in contro…e invece no. Ma il cinema è anche questo].
    Film incredibile in parte sottovalutato in parte passato completamente in sordina. Divulghiamo il verbo Kasa! 😀
    Nota nerd: visto il modo in cui si destreggia alla regia [e con tutte le acrobazie mediali presenti in The Big Short] e visto che ha già sceneggiato il primo film, io per il sequel di Ant-Man voglio assolutamente Adam McKay! Senza offesa per Peyton Reed ma con McKay secondo me si salirebbe di livello!

    Venendo invece al pezzo con protagonista la cara Blackgrrrl devo ammettere di esserne rimasto sorpreso.
    Ma è stata fatta fuori? Che fine farà il suo personaggio? Ma soprattutto…cosa c’entra Wall Street?!
    Domande a cui puoi ovviamente non rispondere [niente spoiler insomma].
    Qui ci stiamo avviando verso orizzonti ignoti, roba che Lost in confronto è Peppa Pig!

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    • Sono in autobus e quindi non mi dilungherò, ma sappi che adoro i tuoi complimenti di qui sono goloso!
      Sul film di McKay sì hai ragione dobbiamo diffondere il verbo!
      Quanto accaduto a Manchester e su quanto sta accadendo in generale i miei gioco, Ti faccio uno spoiler … vai a guardarti le foto di un preciso articolo dentro il sito del blogger morto per i riferimenti a Wall Street… Bkackgrrrl tornerà ma non sarà più lei e c’è di mezzo anche un golem Nosferatu…

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  7. Pingback: Kasabake The Gathering Vol. 7: l’Inferno di Manchester. | Chezliza

  8. Proprio in questi giorni sono venuti a trovarmi degli amici canadesi, e con sorpresa, dialogando insieme a loro, mi hanno riferito che da loro, già a 5 anni, il sabato mattina, e così per gli anni a venire fino ai 25 anni, tutti i ragazzi vanno a fare dei corsi (programmati dallo stato) su come investire i soldi: insomma, come fare business! E in terra americana, tutto ruota intorno a questo concetto: il business. Non esistono voli pindarici della mente: loro accettano tutte le idee, ma devono far girare il denaro e devono farlo guadagnare, altrimenti è tutta fuffa. Probabilmente anche da noi è così, ma è tutto visto in forma diversa, a volte in forma anche subdola, o al limite non si ragiona solo per quello. Il problema mondiale è che siamo schiavizzati da una forma di economia troppo legata a marchingegni virtuali, che hanno creato solo guerre finanziarie e crisi senza ritorno, da cui si devono inventare sempre più guerre per equilibrare le mancanze precedenti.
    Voglio raccontarti un aneddoto: mia cognata era educatrice in un collegio svizzero, e un giorno un ragazzino di 6 anni: ebreo (e anche questo non è casuale), andò da lei dicendole che aveva venduto a un altro ragazzino il suo registratore digitale, e siccome era già passata una settimana e l’altro non lo aveva ancora pagato, le chiese appunto, quanto doveva chiedere di interesse al suo giovane compagno per il ritardo dovuto in riguardo al pagamento. Ma ci pensi: 6 anni, e già pensava a una somma di interesse dopo solo una settimana. Mi chiedo come sarà a 40 anni.
    A volte per queste cose (come le altre del resto) bisogna proprio essere portati e i film da te citati sono un esempio calzante per un mondo a noi estraneo, eppure, drammaticamente vicino, soprattutto per i risvolti che possono contaminare i nostri destini.
    Bravo come sempre… complimenti!

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    • Mi stavo gustando il tuo frizzante commento, comodamente seduto in treno, mezzo di trasporto che amo particolarmente, almeno per girare attraverso l’Italia: la commistione tra l’abituale mia osservazione della varia umanità viaggiante (ovviamente in treno si è contemporaneamente osservatori ed osservati ed è giusto così, senza snobistiche gerarchie) e la lettura delle tue sempre interessanti digressioni era un ottimo cocktail!
      Alla prossima e grazie per i complimenti!

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    • Un consiglio, barman…
      Come tutti, sono sempre rimasto affascinato dall’assenzio, dalla terribile nomea che si portava dietro (a causa di un ingrediente in particolare, ancora presente nelle ricette odierne ma in dosi calmierate) e chiaramente dal fascino della tecnica con cui andrebbe servito…
      Tuttavia non l’ho mai bevuto e lo vorrei…
      Abito a Bologna, ma mi reco a Milano per lavoro saltuariamente: pensi che io possa trovare in queste due città una enoteca o negozio gourmet dove poter comprare una buona bottiglia? Conosci qualche etichetta da cercare e richiedere? Infine, hai qualche consiglio per berlo come si deve?
      Grazie in anticipo per la pazienza.

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  9. Pingback: Notizia flash | ilperdilibri

  10. È curioso come su tutti i post che ho letto fino ad adesso hanno un elemento importante che mi riguarda in un altro contesto che non viene al caso esporre qui perché sarebbe parecchio nonsense. Comunque è interessante, e come al solito commento cose che non c’entrano niente. Volevo da tempo salutarti ma ho un terrore, è come parlare di fronte ad un pubblico, immagina come sono nella vita quotidiana con le persone, non vedo l’ora di fuggire. Un saluto e grazie per le visite.

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    • Tempo fa scrissi un post che s’intitolava Echoes on My Mind ed ovviamente parlava di tutt’altro da ciò che sto per dirti: a livello puramente sensoriale, infatti, quel titolo, quella frase, quelle specifiche parole (tra l’altro penso alla tua poesia Echoes dell’11 di questo mese) hanno sempre su di me avuto l’effetto di una ricordanza ovvero un’assonanza tra emozioni che si accorgono / accordano quando qualcosa vibra nella lor stessa frequenza… così mi capita spessissimo quando leggo le tue poesie… e mi sento come un diapason che vibra sulla stessa sintonia della lirica che hai deciso di divulgare in quell’istante… perché si, ci sono tantissimi istanti, come i punti che compongono, secondo le fredde regole della geometria, una linea continua ed anche se questi punti non si vedono, essi creano la continuità… ed ora sto divagando, ma quando ti leggo / ti penso mi capita spesso… Così sto scrivendo sull’Inferno (sarà oggetto del mi prossimo post) e vedo apparire un tuo post con le immagini del Grande Drago Rosso di Blake (è accaduto il 4 sempre di questo mese di ottobre)… ed allora decido che devi comparire (come nome) nel mio prossimo capitolo e ti chiedo ora il permesso (impudico e presuntuoso) di poterti usare come nome de plume per un personaggio chiave della storia, pur in una sola fugace apparizione, una vodoo queen di New Orleans che deve spiegare cosa accade se chi ha il potere di curare cerca di esercitarlo su un morto e ti assicuro che la mia scelta di usarti come regina vodoo è diventata un’ossessione da quando ho letto quelle tue parole oggi scolpite nella mia mente […] senza dover dimostare nulla / in forte alleanza con l’invisibile […]

      Un tuo commento sul mio sito è grande motivo di orgoglio e me ne farò vanto, come uno stupido pavone.

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          • Non ho ancora finito, ma ti scrivo in un altro miglior momento, sono lenta. Devo ancora ricapitolare quanto mi hai detto e analizzare i dettagli, continuare a leggere con attenzione le cose che hai scritto dall’inizio. È molto impegnativo perché la mia concentrazione si sperde anche con una parola, la mia mente è fatta da una sostanza che sembra la stessa delle nuvole.

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              • Sono colpita dalle tue capacità intuitive fuori dall’ordinario, anche se non me lo sarei aspettata, non è qualcosa che mi sorprenda venendo da te.
                Riguardo alla sincronicità di certi elementi/argomenti, al di là di quelli che si possono leggere, ci sono anche quelli occulti, quelli che mi si sono rivelati in un’altro ambito, quello onirico, e non solo…
                Comunque, la ragione per cui ti scrivo, oltre a queste cose dette prima, è che scrivendo una poesia “Dominare l’animo” si sono affacciate le tue parole, quelle che descrivevano il film di Martyrs, lo noterai quando la leggerai.

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                • L’ho cercata, l’ho trovata e l’ho fatta mia, per sempre, come una preda o un trofeo, di cui mi sono appropriato in modo egoistico…
                  Di nuovo Buona Notte (qualsiasi cosa significhi davvero, Sandman permettendo…)

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  11. quando si dice “essere documentati” 😉
    chapeau!!!

    ho visto i film che citi nel post, a dire il vero anche altri, le major hollywoodiane hanno due punti fermi, inamovibili, la pedissequa produzione di movie sull’olocausto e quella sulla finanza aggressiva, due universi narrativi a loro particolarmente cari per ovvi e intuibili motivi. Performance di registi e attori a parte, guardo con perplessità questo creare fabbriche dei sogni in cui basta una semplice intuizione, associata a una overdose di bastardaggine, per diventare straricchi in uno stormir di fronda. Ho una formazione culturale di matrice umanistica e quindi faccio una certa fatica a comprendere come si possa giocare sulla pelle di miliardi di persone attraverso la prestidigitazione finanziaria, le metonimie sono sempre le stesse, compagnie smembrate, speculazioni ad alto rischio, bluff, scontri tra poteri e fighetti incravattati col Ferrari che però stanno in ufficio fino a notte fonda per capire come fottere i rivali o il popolo. In Italia siamo più prosaici, i pitbull della finanza non si sbranano quasi mai tra loro, preferiscono depredare i risparmiatori e dividere il bottino. C’è una cosa che da sempre mi stranisce, perché quando la gente entra in una banca assume un’aria mesta e sottomessa come quella dei fedeli quando entrano in una chiesa??? Posso capire che un credente sia timorato ma se entro nell’ufficio di un direttore di banca al quale ho affidato i miei soldi, deve essere lui il timorato della situazione.

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    • Un commento davvero molto lusinghiero e che oltretutto contiene un prodigio ovvero la sintesi fornita da una tua immagine proposta, che da sola dice più di tante parole: la mestizia e la sottomissione di chi entra in banca.
      E’ questo davvero il tempio delle divinità rovesciate, dove il tuo diventa il loro, dove i tuoi soldi non ti appartengono più, dove la genuflessione diviene ipocrita assenza di fede, con quel che di oscurantismo medievale della plebe succube di feudatari temuti e non certo stimati.
      Grazie per essere passato e per avermi apprezzato: è sempre un grande piacere (lo capisco dal mio sorriso, che si allarga quando leggo ciò che scrivi anche laddove dovrei rattristarmi per l’ineluttabilità delle cupe considerazioni).

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  12. Sul gathering mi esprimerò quando avrò recuperato per bene i secoli di arretrati accumulati in questi mesi, anche perché dovrei anche rileggere alcune parti della storia, per ricordare tutti i dettagli e riprendere il filo della narrazione. Comunque stupenda l’intera scena della scomparsa (momentanea o apparente, come mi sembra di capire dai commenti) dell’eroina blackgrrrl, con immagini molto evocative, quasi come se non fosse una lettura, ma la visione di immagini in movimento, la visione di un film.

    Sono affascinato dalla tua riflessione sul rapporto tra il cinema e il mondo di Wall street e, di fatto, sottoscrivo le tue considerazioni sui film da te citati, a partire da Una poltrona per due, fino a La Grande Scommessa (assolutamente uno dei film che più mi ha colpito negli ultimi anni, per la coralità del cast, la genialità dello script e soprattutto per la sua originalità nella messa in scena in generale), passando per il film sopra le righe di Scorsese, The Wolf of Wall Street.

    P.S. il problema personale che ha tenuto impegnata la mia mente (e
    non solo) negli ultimi mesi si è risolto per il meglio. Non assicuro un mio vero e proprio ritorno su WP, ma ora posso dire di stare bene.

    Un saluto Kasa, leggerai altri miei commenti molto presto!

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    • Oggi, Sabato 18 Marzo, ho recuperato da una casella SPAM di WordPress piena zeppa di porcheria (incredibile cosa spedisca la gente… tra medicinali ed attrezzatura sportiva…) questa perla di commento del lontano 7 marzo… Tremo a come ti sarai dovuto sentire, così snobbato da me per giorni e giorni, senza essere degnato di una risposta, proprio tu, con il quale abbiamo da sempre intessuto fiume di parole e scambi di opinioni ed in cui, fortunatamente, la nostra storia parla di una reciproca stima…
      Si, ho tremato proprio perché mi è dispiaciuto immaginare il tuo disappunto per la mancata risposta, che invece ti fornisco ora, perché solo ora ho letto ed ovviamente ti ringrazio, per aver trovato ilo tempo, per aver apprezzato e condiviso e soprattutto mi unisco nella soddisfazione di leggere che certi impedimenti si stanno risolvendo per il meglio…
      Curerò di più le mie caselle e cercherò di far si che simili fatti non si ripetano, carissimo Dave!!!
      Un abbraccio di stima di amicizia!!

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