Downton Abbey: God Save British Television!

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Ho già avuto modo in passato di parlare di quella sorta di “gigante buono” del cinema statunitense che è Jon Favreau (nella recensione al suo gradevolissimo La ricetta perfetta) e della sua passione, molto sottotraccia, per il cinema e per la fiction televisiva dai nobili sentimenti e non dovrebbe stupire più di tanto, quindi, l’omaggio che egli, in qualità di produttore esecutivo e nume tutelare di tutta la saga, ha voluto fare alla serie britannica Downton Abbey, chiedendo esplicitamente alla Disney di inserirne un cameo nel blockbuster Iron Man 3.

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Ricordiamo che in tutti e tre i film dedicati al supereroe Marvel, il nostro Favreau (anche regista dei primi due capitoli) ha interpretato il ruolo dell’autista particolare di Tony Stark e che questo personaggio nel terzo film ottiene finalmente la “promozione” a capo della sicurezza personale. Inoltre, data la virata emozionale voluta da Joss Whedon (il dio di tutto il Marvel Universe Cinematic), il personaggio di Favreau, Harold “Happy” Hogan, dopo gli accadimenti di New York narrati nel primo Avengers, si lega in modo viscerale e protettivo al suo capo, assumendo quasi il ruolo di un fratello maggiore e per questo motivo il suo ferimento al Chinese Theatre (luogo simbolo di Hollywood), nell’attacco orchestrato dal “Mandarino” (il villain fantoccio interpretato da Ben Kinglsey) assume valenze assai significative: Hogan ha rischiato seriamente di morire nell’esplosione e la preoccupazione che Tony Stark ha per lui e le attenzioni che gli riserva mentre è ricoverato in ospedale sono molto aldilà della semplice riconoscenza e correttezza professionale, ma assumono i toni del rapporto con un parente stretto.

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In ben due volte nel film, scene del serial di Downton Abbey appaiono in onda su un televisore nella stanza dove è ricoverato Harold: nella prima, questi è privo di conoscenza ed è lo stesso Stark ad insistere affinché nessuno si azzardi a cambiare canale, perché, rivela, quella è la fiction preferita del suo protetto; nella seconda, invece, Hogan è sveglio e commenta entusiasta una scena della serie Tv britannica, uno spezzone in particolare, in cui sono presenti i personaggi di Lady Sybil Crawley in Branson (figlia di Lord Robert Crawley, conte di Grantham) e suo marito Tom Branson.

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Come ha raccontato, sia nelle interviste, sia nei suoi twitter (riportati anche dal sito specializzato Hypable), Favreau ha selezionato appositamente quella scena, perché ha visto un parallelismo tra il suo personaggio e la storia dell’autista di famiglia di Downton, alle dipendenze del conte, che da semplice membro della servitù, sposando una figlia del conte, diventerà anch’egli, pur di umili origini, parte della famiglia nobiliare.

Charles Carson (Jim Carter), Elsie Hughes (Phyllis Logan), Thomas Barrow (Rob James-Collier), James

Il cast al completo, alla fine della Quarta Stagione, da sinistra: Charles Carson (Jim Carter), Elsie Hughes (Phyllis Logan), Thomas Barrow (Rob James-Collier), James “Jimmy” Kent (Ed Speleers), Ivy Stuart (Cara Theobold), Alfred Nugent (Matt Milne), Daisy Robinson (Sophie McShera), Beryl Patmore (Lesley Nicol), Anna May Smith (Joanne Froggatt), John Bates (Brendan Coyle), Isobel Crawley (Penelope Wilton), Violet Crawley (Maggie Smith), Cora Crawley (Elizabeth McGovern), Robert Crawley (Hugh Bonneville), Mary Josephine Crawley (Michelle Dockery), Edith Crawley (Laura Carmichael), Tom Branson (Allen Leech), Lady Rose MacClare (Lily James)

Quando si parla con qualcuno di serie televisive, difficilmente capita di parlare di Downton Abbey e questo a meno che non si abbia di fronte un appassionato di fiction televisiva inglese e più in particolare di “historical period drama”, definizione di genere (per lo più sintetizzata semplicemente in “period drama”) usata per indicare un film o una fiction che vedono, nella ricostruzione di un preciso periodo storico, una delle maggiori ragioni di appeal da parte del pubblico, sia esso legato più ai costumi ed alle scenografie, piuttosto che alla trattazione degli avvenimenti storici sullo sfondo della narrazione principale.

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La nostra fiction, come tutti i period-drama, è ovviamente un  serialized, ma la sua bellezza e fama internazionale (date un’occhiata veloce alla pagina relativa di WikiPedia, solo per rendervi conto della messe di riconoscimenti ottenuti sia in patria, sia all’estero) sono legate in primis alla straordinaria fedeltà quasi maniacale nella costruzione dei vari set, intesi come teatro di scene d’interni o location per riprese in esterno: tutto è curato nei minimi particolari, dagli abiti, ai cibi preparati nelle cucine del palazzo e serviti in tavola, alle stoviglie, alle lenzuola, alle automobili, ogni cosa è orchestrata e predisposta per creare un’impressione di massima finzione, come un perfetto parco divertimenti, dove lo spettatore può davvero fingere di aver viaggiato nel tempo e come un internauta di un’altra dimensione, spiare senza essere visto, la vita quotidiana di un gruppo di persone realmente esistite.

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Il segreto del successo di Downton Abbey è infatti proprio in questo continuo e duro lavoro di cesellatura da parte di tutto il cast e della troupe, correggendo e limando ogni dettaglio della trama, dei dialoghi e delle scenografie, per trasportare il pubblico lontano dal tempo presente, e gettarlo in una full-immersion della vita di questa magione britannica: non deve stupire, dunque, che si sia radunato attorno a questa fiction un vero manipolo di aficionados, artefici di decine e decine di siti web, blog, pagine social, in cui si parla dei personaggi del serial come se fossero persone vere, in carne ed ossa.

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Il periodo storico che fa da sfondo alla trama è tra i più significativi del Regno Unito: le vicende della famiglia nobiliare dei Crawley e dei suoi servitori vengono infatti raccontate proprio partendo dai giorni successivi all’affondamento del Titanic,  con le conseguenze dinastiche ed ereditarie che alcuni lutti comporteranno alla tenuta; siamo quindi nell’aprile del 1912, alla conclusione del cosiddetto periodo edoardiano (Re Edoardo VII governò la Gran Bretagna per nove anni, dalla morte della Regina Vittoria nel 1901 e conseguente suo insediamento , fino alla morte dello stesso Edoardo avvenuta nel 1910), quando, insieme al re prima ed al Titanic poi, stava lentamente affondando anche quel mondo fatto di distinzioni sociali ed economiche cristallizzate su posizioni apparentemente inamovibili, che avevano caratterizzato tutta la lunga epoca vittoriana.

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In quegli anni, la Gran Bretagna stava veramente per cambiare e tutti i settori della società erano in fermento: dal passaggio, oramai necessario, dall’economia agricola quasi feudale alle imprese specializzate in più moderni sistemi di sfruttamento dei terreni e degli allevamenti, dalla politica che ardeva emancipare al voto i settori ancora esclusi e persino all’economia dei grandi capitali, dove la ricca borghesia premeva per ottenere riconoscimenti che fino ad allora erano stati appannaggio esclusivo di una nobiltà spesso in crisi finanziaria.

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Poi nel 1915 arrivò come un’esplosione lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e sull’altare delle necessità e del pragmatismo (di cui i britannici sono da sempre i più cinici portabandiera) molte convenzioni e rituali furono bruciati: alla fine della guerra un nuovo mondo ed una nuova società cominciò a premere alla porte dell’aristocrazia e nemmeno gli strateghi più abili poterono arrestare questo flusso migratorio di cambiamenti sociali.

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Nelle 5 stagioni fino ad ora realizzate della nostra fiction (in Italia trasmesse tutte le prime 4, prima in chiaro su Mediaset e poi su Sky nel canale Diva Universal, mentre la quinta è di imminente programmazione), questo momento storico di delicata transizione fa in continuazione da sfondo ed anzi alimenta le vicende stesse dei personaggi, registrando in tutte le loro azioni i segnali di questo mondo che va avanti inesorabilmente, malgrado i protagonisti siano tutti, sia nobili che servitù, ugualmente legati alle loro tradizioni secolari (sono gustosi e storicamente ineccepibili anche i siparietti in cui le domestiche cominciano a cambiare il modo di trattare i lavori domestici, come il rammendo o la preparazione dei pasti, con l’ausilio di nuovi e per loro ancora misteriosi e “diabolici” piccoli elettrodomestici).

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Aldilà delle vicende personali, dei lutti, dei matrimoni, delle nascite, dei battibecchi, delle congiure tra la servitù, degli scandali tra i nobili, aldilà di tutto questo intreccio di trame e sotto-trame (dal sapore sempre altalenante tra melodramma e romanzo d’appendice), ciò che rende Downton Abbey una prestigiosissima produzione televisiva è proprio l’essere una fedele simulazione di questi cambiamenti, una sorta di grande time-lapse a puntate di un pezzo di storia inglese,  raccontato, a livello visivo e recitativo, come se fosse la serializzazione televisiva del capolavoro filmico di James Ivory The Remains of the Day (Quel che resta del giorno), imponente film del 1993 e verosimilmente la migliore interpretazione dei già grandi Anthony Hopkins ed Emma Thompson.

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La citazione della pellicola di Ivory è assolutamente d’obbligo, non tanto per la genesi concettuale del serial (che vedremo dopo avere altra paternità), quanto piuttosto per il debito che la nostra fiction ha sul modo con cui Ivory, nel suo film, aveva spostato il centro focale della narrazione dai grandi personaggi ed i grandi eventi storici alle storie quotidiane ed ai drammi personali e familiari del maggiordomo e della governante: la grande Storia, con la esse maiuscola, delle Guerre Mondiali e degli intrighi politici aveva ceduto il passo alla “piccola” storia dei sacrifici e degli eroismi quotidiani dei membri della servitù ed i personaggi di Hopkins e della Thompson avevano, con la forza delle loro interpretazioni e dei loro characters, preso ciò che fino ad allora era sempre restato sullo sfondo e lo avevano posto al centro del palcoscenico, davanti a tutti e tutto, fornendo al mondo una straordinaria lezione di cinema e di morale storica che non sarà mai più dimenticata.

Gosford-Park

Come ho sopra anticipato, tuttavia, il padre putativo della nostra fiction è molto più vicino nel tempo e risale esattamente al 2001, anno in cui lo sceneggiatore britannico Julian Fellowes fu chiamato a scrivere, per il regista americano Robert Altman, la sceneggiatura del film in costume Gosford Park: nel comporre quella sontuosa storia gialla deduttiva alla Holmes, egli usò gli stilemi del period-drama e soprattutto usò l’esempio di rigido classismo (collaudato già molti anni prima in televisione, dalla mamma di tutti i serialized di quel tipo, ossia la storica fiction televisiva inglese Upstairs, Downstairs (Su e giù per le scale), 5 stagioni e 68 episodi dal 1971 al 1975), narrando in modo parallelo le vicende della servitù e quelle della famiglia nobiliare.

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Il film di Altman ottenne moltissimi riconoscimenti internazionali e tra questi anche l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale: da quell’esperienza e da quel gradimento di pubblico e critica, nacque quindi in Fellowes l’idea del serial Dowton Abbey, dove, con grande gioia di tutti gli spettatori non solo inglesi (io per primo), egli inserì praticamente da subito nel cast la divina Maggie Smith, classe 1934, nel ruolo di Violet Crawley, vedova e contessa di Grantham, nonché madre appunto di Robert Crawley, conte di Grantham e già presente con un ruolo simile nel film di Altman.

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Per continuare a parlare di questa fiction, bisognerebbe ora entrare nel vivo dei vari plot, ma è abbastanza evidente che toglierei, a chiunque volesse gustarsi la visione, una bella fetta del piacere: piuttosto, invece, mi preme sottolineare la particolare struttura compositiva di una saga romanzesca divisa in 6 grandi capitoli, uno per ogni stagione, caratterizzati ciascuno da un gruppo di elementi portanti, sia personali dei personaggi, sia storici (la prima guerra mondiale, ad esempio, fa da sfondo a tutta la seconda stagione) e divisi al loro interno (con eccezione della prima stagione di sole 7 puntate) sempre in 8 puntate di circa un’ora, più uno speciale natalizio che conclude ogni anno la narrazione stagionale riannodando, in modo mai frettoloso, tutti i fili iniziati ed aperti all’inizio della stagione: è una procedura decisamente rilassante, poiché, aldilà della lieta o tragica conclusione di alcune sotto-trame, lo spettatore viene quasi accompagnato con mano nell’intimità dei suoi beniamini, accomiatandosi da loro senza dubbi o vicende lasciate incompiute.

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Questo collaudato meccanismo di successo, s’incrinò bruscamente alla fine della terza stagione, quando il nostro serialized, compito ed inappuntabile come un gentleman britannico, venne frastornato e sconquassato dalla decisione di due membri del cast di abbandonare di colpo la produzione.

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Senza entrare nel merito della decisione (dissapori con la produzione, piuttosto che impegni paralleli e contrastanti e comunque materia da gossip che non c’interessa), Fellowes e compagni dovettero affrontare narrarivamente il problema e lo fecero nel modo più drastico e pulito che si possa immaginare in un serialized: i personaggi interpretati dai due attori in questione semplicemente morirono nel corso della stagione, in modi e con motivazioni che non vi voglio svelare nel modo più categorico, così come resterà ignoto in questo post anche il nome dei personaggi stessi, così chi vorrà vedersi la serie lo scoprirà da solo.

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Potete, però, immaginare che scossone queste due vicende portarono alla storia: Downton Abbey è infatti una produzione corale, in cui di fatto quasi tutti sono protagonisti e soprattutto non v’è decisamente differenza gerarchica nella visibilità tra personaggi appartenenti alla nobiltà o alla servitù; parimenti, a livello di gradimento di pubblico e di audience, quasi tutti i personaggi godono di una grande eco sul pubblico, con nutrite schiere di fan per tutti, nessuno escluso.

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La morte non di uno solo, ma di ben due characters fu accolta ovviamente con enorme dolore e sbigottimento dal pubblico inglese ed internazionale e questo creò oltretutto la necessità di riscrivere in fretta e furia la sceneggiatura della stagione successiva, la quarta, in cui tutti gli accadimenti già stabiliti andavano riorganizzati da cima a fondo, tanta era l’importanza dei personaggi scomparsi: immaginate il classico paradosso di un viaggiatore del tempo che andando nel passato modifica qualcosa che poi, tornando nel presente, lo fa vivere in una realtà cambiata profondamente ed avrete una misura della rivoluzione a cui dovettero mettere mano lo sceneggiatore ed il cast e che caratterizzò tutti e 9 gli episodi della quarta stagione, non a caso anche quella definita da tutti, pubblico e critica, come la più debole ed approssimativa a livello di storia.

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Passato il ciclone e terminato anche lo sforzo di accomodamento per far tornare “nei ranghi” tutte le sotto-trame individuali di ogni personaggio, la Quinta stagione è proseguita con il ticchettio regolare di un cronografo svizzero!

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E’ giunto a questo punto il momento anche per me di salutare chi ha avuto la tenacia per seguirmi fino a questo punto del post, invitando chi ne avesse voglia a gustarsi questa serie di imminente conclusione: la sesta stagione, infatti, verrà trasmessa in Inghilterra a partire dal prossimo autunno, concludendosi, come da tradizione, con la puntata speciale natalizia, che scriverà la parola fine in modo definitivo a tutta la saga.

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Ed è sempre con un misto di dispiacere e di serenità che si saluta una serie che, per quanto la si possa aver amata ed apprezzata, è giusto che abbia una degna conclusione, senza quella sorta di accanimento terapeutico con cui sempre più spesso gli uffici marketing delle produzioni televisive mantengono in vita cadaveri che camminano, zombies ai quali, come dicono in “Z Nation”, andrebbe data la grazia, con un bel colpo in fronte.

Amen.


In questo post abbiamo parlato di:

Gosford Park”, USA / UK, 2001
Regia: Robert Altman
Soggetto e Sceneggiatura: Julian Fellowes

Upstairs, Downstairs”, UK, 1971-1975
5 stagioni e 68 episodi
creata da J.Marsh, E.Atkins, J.Hawkesworth e J.Whitney
scritta da Alfred Shaughnessy, J.Hawkesworth e F.Weldon
prodotta prima dalla LWT e successivamente dalla BBC


Per chi volesse approfondire l’esame delle fiction e dei film di tipo “period drama”, assolutamente imperdibile è il sito anglosassone “PeriodDramas.com”, dove tra l’altro potete trovare un’incredibile time-line, con elencati in ordine temporale di ambientazione (non quindi di realizzazione, sia chiaro) centinaia di produzioni dall’antica Roma del periodo immediatamente successivo alla nascita di Cristo, fino agli albori della Seconda Guerra Mondiale; oltretutto,  trattasi una time-line in progress, con partecipazione attiva degli utenti
PeriodDramas


Nel rispetto dei canoni inglesi del period-drama, tutti gli esterni del castello e la maggior parte delle scene in interno hanno una precisa location, quella di Highclere Castle, nell’Hampshire.


Per chi gradisse ascoltare le musiche realizzate dal compositore John Lunn (vincitore di un Emmy Award proprio per questo lavoro), può trovare qui il link per il download dal mio sito hosting su Mega.


Tra i molti documentari disponibili per il web su “Downton Abbey”, consigliamo per un approfondimento sul periodo storico che fa da sfondo alle vicende, “The Manners of Downton Abbey” con Alastair Bruce, il consulente storico della nostra fiction


 

26 pensieri su “Downton Abbey: God Save British Television!

  1. Stai scherzando?
    Dopo quello che hai scritto su di me, tu ringrazi me?
    Amo scrivere ed amo approfondire ogni discorso quando lo faccio, ma lo spettro della noia è sempre in agguato per un logorroico come me…
    Per questo quello che mi hai appena rivolto è il più bel complimento che mi potevi fare!!
    Grazie a te e di cuore!

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    • Comunque la “British television” certe volte risulta essere superiore rispetto a quella americana anche perché,parlando sempre di serie tv, gli inglesi sembrano essere generalmente meno propensi a spremere al massimo un’idea o un plot solo per sfruttare i “fan” che nascono dopo le prime stagioni e che resterebbero sempre fedeli ed incollati allo schermo a fare audience (come facciamo noi con diverse serie…), nonostante tutto.

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  2. Non ho mai visto una puntata di Downton Abbey nè mai lo vedro nonostante, lo ammetto, in un paio di passaggi il tuo post mi abbia quasi indotto a recuperarla.
    Non ho tempo e non ho voglia di iniziare qualcosa troppo distante dai miei gusti e dalle mie passioni: scegliere cosa vedere e, soprattutto, cosa NON vedere è esercizio difficile per chi come me (come noi) vedrebbe tutto per il semplice e solo gusto di farlo, per arricchimento personale, per curiosità. Ma ci sono il lavoro, la casa, la famiglia, gli obblighi sociali e, non ultima, la necessità di dormire almeno 5 ore al giorno: tutto ciò ci inchioda alla nuda e cruda realtà che non possiamo vedere tutto, che qualcosa dobbiamo lasciarlo indietro.
    E Downton Abbey lo lascio indietro senza troppi rimorsi. Nonostante il tuo post tentatore.

    Un passaggio mi ha incuriosito (mentre tutto il resto mi ha, come al solito, affascinato): la tendenza, dettata dalla grande fedeltà rappresentativa, a credere come reali i personaggi della serie.
    E’ un fenomeno che mi ha sempre stupito, questo, forse perchè ne fui vittima anche io. Tanti anni fa (credo facessi la quarta o quinta elementare) scrissi una lettera al 221b di Baker Street non già per chiedere una consulenza investigativa, ma semplicemente per complimentarmi delle straordinarie doti che rendevano Sherlock Holmes un Dio ai miei occhi di ingenuo fanciullo. Ricordo che mentre imbucavo la lettera all’ufficio postale sotto casa mi era sorto il dubbio che il buon Sherlock non sapesse l’italiano e non potesse capire quanto da me scritto, ma poi fui subito tranquillizzato dal pensiero che se era stato in grado di interpretare delle scritte composte da omini danzanti non avrebbe avuto problemi con una lingua neolatina.

    Ecco, questa capacità di farci tornare bambini e, ingenuamente, a prendere anche solo per un secondo come vera una finzione è un potere magico, mistico, meraviglioso. Onore quindi a chi ha l’ha saputo tradurre sullo schermo con Downton Abbey.

    PS: senza stare a tirar su un post vecchio, ti do due notizie su Hannibal:
    1. ho infine recuperato tutti i film, anche Hannibal di Ridley Scott, invero un po’ moscietto e di sicuro non all’altezza dei suoi 3 predecessori (non voglio nemmeno nominare l’ultimo, quello con Hannibal giovane) che è veramente un abominio rispetto a tutti gli altri.
    2. non so se hai notato il mio post sulla tua pagina facebook ma la ABC ha cancellato la serie Hannibal, quindi la terza serie sarà l’ultima. Mi sono sentito in colpa: non vorrei che abbiano letto il mio commento al tuo post antologico sulla serie e sui film dedicati al dottor Lekter 😀

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    • Amico Lapinsù (che scritto così, fa tanto “cittadino Pennesi”, neanche fossimo sotto il “regime” di Robespierre…)!
      Leggere i tuoi commenti mi piace tantissimo, perché non sono solo complimenti (ah, la vanità, come giustamente chiosavi altrove…) o critiche (nel senso pieno di riflessioni e considerazioni), ma anche una fonte di notizie sulla tua vita personale e di come, al pari di ogni buon pensatore e scrittore, sai elevare considerazioni personali del tuo microcosmo a dettami più ampi del macrocosmo…
      Tanto lo sai che io sono convinto che tu sia molto più bravo e profondo di quanto tu stesso vada al contrario millantando in giro (altro che pane e salame…)… ma passiamo oltre…

      Malgrado il tono “enciclopedico” e da pontificatore che assumo quando parlo di qualsiasi cosa, in realtà non ho mai davvero sperato di trovare proseliti per tantissime cose che vedo e che ho visto, non ultima “Downton Abbey”, ma il massimo (lo giuro!) che spero di ottenere è l’interessamento di qualcuno al ragionamento generale ed in più la semplice registrazione di un mio parere… e non c’è volta in cui tu, in questo senso, non mi dia ampia soddisfazione: leggi sempre quello che scrivo, anche quando l’oggetto del mio post si allontana talmente tanto dai tuoi interessi da diventare quasi un rosario da recitare per penitenza… se non debbo ringraziarti io per questo, cos’altro?

      Su Facebook: non mi ero assolutamente accorto nemmeno che avessi visitato la mia pagina! Si, infatti la creai a suo tempo quasi per scherzo e di fatto si aggiorna da sola avendo collegato gli account, ma fino al tuo commento non l’avevo nemmeno visitata dall’atto della sua creazione!…
      Quindi grazie di averci scritto, ma ti avviso fin d’ora che non frequento quasi mai ne FB ne GOOGLE+ (quest’ultimo poi, malgrado l’enormità della casa madre, mi sembra un po’ la “Pepsi” della situazione…), mentre sono spessissimo su YouTube ed altre piattaforme di condivisione news…

      Hannibal: avevo letto anch’io… ma mi ripromettevo di postare qualcosa non appena si fosse fatta chiarezza sulle altre voci di corridoio…
      Infatti c’è un po’ di strano movimento negli States sui grandi scrittori…
      NBC ha chiuso la fiction, senza aver mai, tra l’altro, concluso il benedetto accordo con De Laurentis che avrebbe permesso (o meno) di usare il personaggio della Sterling… intanto Netflix si è fatta avanti proprio con De Laurentis per gli stessi characters…
      Fuller che, dopo la cancellazione, ringrazia i vertici NBC per il grande e bellissimo lavoro svolto fino a quel momento e poi dice “il cannibale siederà ancora a cena prossimamente”…
      Nolan che abbandona POI e chiude tutto (è roba sua!) al 13° episodio (ancora da scrivere, sia chiaro) della sesta stagione e passa a lavorare a tempo pieno in HBO ed anche per Netflix… mah!
      Strani movimenti… aspetto che sia partito il lavoro di Fuller per l’adattamento in Tv del romanzo di Gaiman “American Gods” e poi vediamo che annunci ci saranno… certo che sono strane coincidenze…
      Ti ricordi le nostre chiacchiere su Hannibal?
      Dopo la Terza stagione Hannibal veniva arrestato, il personaggio di Graham scompariva e con lui tutti gli attori che abbiamo visto nella fiction a fianco del cannibale… e si cominciava una nuova partita… mah! Staremo a vedere…

      A proposito, sei curioso di sapere come finiva l’ultimo romanzo di Harris (il finale di “Hannibal” di Scott è diverso…)?

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      • uhm, quindi Hannibal potrebbe ripartire su un altro canale (o piattaforma, nel caso di Netflix). Bene. Ormai il tuo post mi aveva talmente stregato che non vedevo l’ora di scoprire come finiva.
        A proposito, essendo arcicurioso, spara pure il finale di Hannibal sul libro: tanto non lo leggerò mai e comunque non sarebbe certo questo dettaglio a dissuadermi.

        Passando al baillame di sceneggiatori seriali: non seguo questi movimenti e ignoravo gran parte delle news che mi hai dato. Avevo solo visto che PoI sarebbe conclusa con la 5 serie di soli 13 episodi e, ingenuamente, avevo pensato che il taglio brusco fosse dovuto a un calo di ascolti (tra l’altro ancora non ho visto la 4 stagione, è tutta nel mio hdd che aspetta di essere gustata).
        Una cosa è certa: ormai dal punto di vista narrativo il mondo delle serie tv è molto (ma molto) più fervido di quello cinematografico, affogato da prequel, sequel, remake, cinecomic e cinepanettoni.
        Staremo a vedere!!!!

        Concludo con la riflessione sui social: la tua definizione di google+ (la pepsi dei social) mi ha fatto spanciare, oltre che riflettere perchè indubbiamente vera (anche se molti analisti ritengono che sarà il social più usato da qui a breve). Io al blog ho collegato FB e Twitter, sopporto il primo e mi piace il secondo. Quando hai realizzato la nuova veste grafica ho notato i link social in fondo e ho messo mi piace sulla tua pagina, mi sembrava doveroso 🙂

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        • Ehm!…
          Ho detto Sesta per PoI?
          Ooops! Mi sono sbagliato! Chiedo venia…
          Volevo dire Quinta… Hai ragione tu!
          Nell’intervista che aveva rilasciato all’atto della firma con HBO, Nolan raccontava che PoI si sarebbe dovuto concludere con la Terza stagione, ma poi fu rinnovato per una Quarta (dove, tra l’altro è avvenuto il passaggio di consegne tra lo stesso Nolan e la nuova scenggiatrice, quella Denise Thé da me tanto decantata e che con le puntate 9, 10, 11, 12 e 13 ha fatto dei veri capolavori…); i 13 episodi della Quinta serviranno in teoria sia a chiudere i fili narrativi aperti da Nolan, sia a lanciare il nuovo progetto CBS/Bad Robot della Denise Thé su cui c’è ancora un grosso alone di mistero…

          Hannibal…
          Probabilmente tu lo avevi immaginato da solo, perché nei due film con protagonista l’agente Clarice Starling (“Il silenzio degli Innocenti” ed “hannibal”), anche se le trame dei due romanzi sono state parzialmente modificate, l’interesse e l’ammirazione che hannibal prova per Clarice cresce in modo costante e diventa amore vero e proprio verso la fine: tutte le azioni del nostro cannibale mirano a proteggere l’agente dell’FBI ed è una protezione romantica, come la cena finale dove viene lobotomizzato il suo capo che di fatto si mangia il cervello da solo perdendo lentamente l’uso della ragione… nel libro Hannibal riesce inesorabilmente a conquistare l’amore di Clarice ed i due diventeranno amanti, lei lo aiuterà a liberarsi degli agenti che gli danno la caccia e fuggirà con lui, dice Harris, per girare in una sorta di perenne vacanza, ma nel film di Scott, il produttore alla fine impedisce allo sceneggiatore David Mamet di compiere questa sorta di “sacrilegio” e fa riscrivere la parte finale a Steven Zaillian (un autore mostruosamente bravo, in genere, ma non qui) e Hannibal fugge da solo…
          Tra l’altro, quando Fuller scrisse la trama della Terza stagione di Hannibal, non pensi che in qualche modo, alla luce di quello che ti ho detto, abbia voluto creare un parallelismo ed omaggiare, con la coppia Lecter-Du Maurier (inesistente nei romanzi) in fuga in Toscana, la coppia romanzesca Lecter-Starling?
          Forse vaneggio, ma ho come l’impressione che Fuller abbia voluto in Tv rendere possibile raccontare in immagine qull’amore impossibile tra un cannibale assassino seriale ed una serissima profesisonista che i produttori avevano negato al cinema… forse sto davvero solo fantasticando…

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          • Direi proprio che non stai fantasticando.
            Effettivamente, alla luce del tuo racconto i parallelismi sono evidenti, quasi lapalissiani direi.
            A questo punto bisogna capire se Fuller potrà proseguire la storia con le altre 2 serie programmate, magari sotto l’egida di un’altra emittente: come si svilupperebbe la relazione Clarice\Hannibal sarebbe sicuramente un pilastro fondamentale (e bellissimo).

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  3. Comunque oramai è un “mantra” che ripetiamo tutti e due ad ogni piè sospinto… ci sono più cose in fermento in campo televisivo oltreoceano che in campo cinematografico… come hai detto tu tante volte ed anche qui…
    Bye!

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  4. No vabbeh, sei riuscito a convincermi a vedere una serie che fino ad ora ho cercato di evitare con tutto me stesso sulla base di un malcelato pregiudizio di cui mi vergogno, ma che non posso nemmeno nascondere. Perché se uno decide di non guardare una serie tanto acclamata da critica e pubblico, è solo perché ha paura dei costumi e dell’ambientazione, ovvero paura che sia una serie noiosa e lontana dal proprio mondo. Ma dopo aver letto questo post, non posso fare a meno di dargli una chance. E non lo dico tanto per… è che se un blogger amico e con una conoscenza così vasta come il maestro Kasabake mi consiglia una serie, un film, o qualsiasi altra cosa, con così tanta convinzione, probabilmente un motivo c’è. E allora mi fido.

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    • Ooooh, il nostro Zack!
      Come va, ti sei ripreso un po’ dallo stress post-esame?
      Pronto a ributtarti nella mischia?
      Narraci…

      Ovviamente grazie delle belle parole e dell’attestato di stima, una di quelle cose che si attaccano in ufficio, con una bella cornice sotto vetro… perché detto da te non è mica roba da poco!

      Su “Downton”, voglio dirti in sincerità che il mio è stato un atto d’amore, perché questa serie la amo come ho amato altre cose anche aldilà del loro valore (anche se la fiction è assolutamente perfetta nel suo specifico genere, sia chiaro): non speravo davvero di “convincere” qualcuno a vederla, ma solo scriverci un post, poiché ora che sta per arrivare alla sua conclusione (ho già detto che è giusto, perché tutto finisce e deve finire, caxxo!) mi sembrava un riconoscimento doveroso verso un pezzo del mio immaginario, una cosa che fa parte di me, come i videogames della serie di GTA, la trilogia di Batman di Nolan, i romanzi di Modiano, le poesie di Wilcock, le inquadrature di Kubrick, l’androide di Metropolis, il filetto alla Wellington, le lasagne al forno, il Popeye di Segar, lo sguardo granitico di Kitano quando fa il poliziotto, Emma Watson quando non fa Hermione, il cocktail Angel face (1/3 di Gin, 1/3 di Calvados ed 1/3 di Apricot Brandy), la sci-fi in bianco e nero statunitense e russa, le fantasie di Dick, Asimov e Farmer, gli immensi panini dei vari Subway di Londra, i cartoons della Pixar, la saga di Final Fantasy, Totoro, i dialoghi di Tarantino, tutti i dolly-zoom/Vertigo–effect, gli stand-up comedians alla Bill Burr o alla Ricky Gervais, i camera look di Oliver Hardy, il professor Piton, le teorie complottiste che vedono i templari governare il mondo, i croissant al cinnamon che fanno vicino Bryant Park a NY, la rilassatezza che mi trasmette guardare Stanley Tucci dentro lo spazio filmico anche quando fa una parte del piffero e potrei andare di lungo… e mi scuso per questo soliloquio ma mi permetto questo con te perché ti considero davvero un amico, altrimenti avrei mantenuto un doveroso e silenzioso aplomb, by Jove!

      Quindi?
      Quindi dovevo scrivere quel post.
      Voglio essere preciso, però con te, perché sei Zack e perché hai l’avatar più bello di WP (Lego The Movie Forever): “Downton Abbey” è la più bella serie di tipo “period-drama” mai realizzata, senza alcun dubbio, ma resta tale e non esce dai suoi confini, meravigliosi e curatissimi confini, ma sempre tali.
      Come scrivevo nel post, il paragone il film di Ivory, anch’esso period-drama: se quel genere di film non piace, si odierà anche “Downton”, perché alla fine sono 6 stagioni, molto più dei 134 minuti del film con la Thompson ed Hopkins ed io ti voglio ancora amico, perché dovrai sorbirti altri miei deliri, perché sto per sparare fuori tutto il mio amore per il sacro ed il profano, tra le braccia mozzate con sangue rossissimo di Dario Argento insieme alle sequenze più cerebrali che si possano trovare in giro… intanto questo week-end tocca al Titanic…

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  5. Ma scherzi!? Non vedo l’ora di leggere cosa hai da dire su Argento e Titanic! E il fatto di non aver mai pensato di poter scrivere questi due nomi nella stessa frase rende il tutto ancora più eccitante!
    Comunque sì, mi sono ripreso un po’ dallo stress, ma ho già iniziato a prepararmi per il prossimo esame che purtroppo lontanissimo non è.
    La voglia di raggiungere l’altra mia metà che se la spassa in spiaggia con i dinosauri cresce a dismisura!

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    • Che bello! Grazie a Lupo, conosco un’altra persona che apprezza “Downton”! Quindi puoi ben capirmi quando parlo della cura maniacale nella ricostruzione di tutto l’apparato scenografico…
      Quando parli dell’ultima stagione, ti riferisci all’ultima trasmessa in Italia (la quarta) o a quella trasmessa in Inghilterra (la quinta)?
      Se ti riferisci alla quarta, la ritengo personalmente la più deludente, anche per i motivi che esponevo nel post (cercavano di rimettere in piedi i cocci dopo l’uscita dei due character…), se invece ti riferisci alla quinta, me la sono scaricata poco tempo fa e non mi è dispiaciuta, con le nuove storie d’amore anche ai “piani bassi”…
      Comunque io penso che tutte le serialized debbano concludersi, perché la perdita di mordente, come dici tu, è purtroppo inevitabile.. pensa ad “House of Cards” che è in calando già dalla terza…

      Visto che sei una fan come me, giochiamo un attimo, se ti va: i personaggi li adoro tutti, ma i miei preferiti in senso assoluto sono Thomas Barrow (perché è un crogiolo di stronzaggine e dolore personale, vittima carnefice contemporaneamente) e Violet Crawley, la contessa madre (perché adoro Maggie Smith in tutti i suoi ruoli, compresa un’indimenticata professoressa Minerva McGranitt!!), mentre mi è sempre sta un po’ antipatica la perfettina Anna May Smith (anche se con la storia dello stupro è stata un po’ approfondita, forse troppo… ma penso che gli autori non sapessero come fare in quel periodo..).
      Eh tu?

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    • Ovviamente!
      Ne so qualcosa… ogni tanto me ne esco con delle storpiature anch’io… pensa che buffo, a proposito della tua svista: avendo letto i tuoi due commenti dal mio telefono, quindi in fretta ed anche distrattamente, avevo pensato che quel T9 si riferisse al mio post su Cameron… che so io, un altro Terminatore, un modello più vecchio e così non capivo… poi, ovviamente, leggo che il commento si riferiva a “Downton” ed allora fu tutto chiaro!!!

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  6. Naturalmente mi riferisco alla quarta italiana deludente in assoluto che poi come dici tu ha ripreso nella quinta ma ‘le cose belle hanno una fine’
    Adoro la tipologia tutta inglese delle nobildonne stizzose, burberamente coerenti al loro ruolo, e Violet Crawley, la contessa madre, Maggie Smith ( ultimo visto Marigold Hotel) è perfetta. I finali di stagione sono stati un rito prenatalizio.

    Io segue serie e film (che non mi interessa vedere al cinema) su Cineblog
    DA è qui
    http://www.cb01.eu/serietv/downton-abbey/.
    Ti confesso però che salvo la prima serie The House of card mi ha un pochino ‘rotto’. Il tema dei presidenti americani è stato trattato in tutte le salse non ultimo con la formula pruriginosa di Scadal.
    Io sono propensa alle serie truculente e Spartacus la prima serie soprattutto con Andy Whitfield che poi è morto (davvero di leucemia folgorante) è il mio preferito. Poi anche Games of Thrones e all’inizio Vikings …
    Di questi tempi due estati fa ero assolutamente presa da The bridge la serie americana, interpretata stupendamente da Diane Kruger e un machoissimo Demián Bichir che ha turbato i miei sonni neppur troppo adolescenziali (il caldo?). E lo scorso anno se nn lo conosci ti suggerisco True Detective, vale.
    Ma di serie imperdibili ce ne sono state tante per fortuna e mi sa che apriremmo un discorso troppo lungo. Sally, la mia cana mi guarda ed io nn so resistere ai suo sguardo…
    Sherareallyagreatpleasure 😉

    ps che dici…posso seguirti?

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    • Io divoro sia film che fiction e di quelle che hai citato non ho mai persona nemmeno una puntata, persino di “Scandal”, il che è tutto dire…
      A proposito di “The Bridge”, bisognerebbe scrivere su Diane Kruger… ne esistono almeno “due”… quella di facciata (“di ordinanza”, si potrebbe dire) di “Il mistero delle pagine perdute – National Treasure (National Treasure: Book of Secrets)”e quella VERA, quella di “ Inglourious Basterds” e di “The Bridge”, appunto.
      Su “True Detective” prima stagione (una delle cose più belle di tutti i tempi mai prodotte in Tv) e sul particolare piano sequenza del quarto episodio, sto per scrivere in uno dei miei “Kasa Shots”, la rubrica deicata alle seuqnze secondo me imperdibili!
      Non ho preclusioni di generi, come potrai notare dai miei post, ma riconosco solo il “ben fatto” o meglio la “mise-en-scene”, concetto a cui ho dedicato un post intero: odio gli snob (o meglio, i “finto snob”) che dileggiano il commerciale per darsi un tono, ma hanno alternative vacue, così come considero stupido allo stesso modo il suo contrario, ossia il considerare il cinema indie ed autorale una perdita di tempo… insomma non mi piacciono i presuntuosi pretestuosi ma amo gli appassionati, in qualsiasi settore!
      Come cito spesso quando parlo con Lupo, hanno ragione i Wachowski Bros… “All Boundaries are Conventions”…

      Se desidererai seguirmi sarà un onore, perché ho imparato a conoscerti dai tuoi commenti proprio sul blog cinemanometroso… e li condivido spesso…
      In ogni caso, grazie di aver commentato anche qui e di aver portato nel mio blog una boccata di sana sherazadeitudine!

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      • Diane Kruger.. hai dimeticato la testimonial perfettissima di non so quale profumo. Bella, impenetrabile, anche ‘dura’, sarebbe stata la Kim Novak de La donna che visse due volte, non credi? e azzardo forse Ranieri di Monacò l’avrebbe sposata 😉
        “True Detective” mozzafiato e in originale la recitazione è perfetta. perchè si gustano i diversi accenti.

        sheravecplaisireàbientot

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        • Ecco, ti sei guardata la prima stagione di True detective in lingua originale… Adesso capisco perché il Lupo ha così tanta stima di te… È facile farsi capire da una persona come te, che comprende la meraviglia dell’inflessione dialettale di un attore che, come in questo caso, si sforza di usare un accento del sud e quando vorrei spiegare queste cose in un mio post e di come il doppiaggio inevitabilmente appiattisce tutto, ho sempre il terrore di passare per persona altezzosa, mentre se lo dico con te, anzi se lo dirò con te, potrò essere me stesso.
          Il paragone tra Dianne Kruger e Grace Kelly è poi semplicemente sublime!

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            • Hai dei “crediti” eccellenti per conoscere la lingua inglese, di gran lunga migliori dei miei (che mi sono mosso solo come vacanziere mordi e fuggi) e quindi posso condividere con te la passione sfegatata per un film che a mio avviso è la bussola per parlare di doppiaggio nei film: “In a World…“, tradotto in Italia con “Ascolta la mia voce“, pellicola del 2013 straordinaria, con un’interprete (Laka Bell) altrettanto straordinaria, un plot intrigante di tipo familiare, ma soprattutto (sopra-tutto) l’amore per il doppiaggio, per la cura nei timbri e nelle scelte cromatiche della voce, per l’imitazione dei generi e delle inflessioni… insomma un film intraducibile eppure tradotto…
              Se lo hai già visto sai di cosa parlo, se non lo hai visto devi (DEVI) recuperarlo, prima di qualsiasi altra cosa e diventerà il tuo mantra… Quando Carol (la protagonista, di professione doppiatrice) fa al padre (un guru del mondo dei doppiatori) la versione in accento russo della famosa frase “These aren’t the droids you’re looking for” che Obi-Wan Kenobi pronuncia in “Star Wars” confondendo lo Stormtrooper, è da oscar!

              P.S.: Non mi hai ancora detto le tue preferenze nel mio stupido giochino infantile del “vota il tuo character preferito in DA”…

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