Kasa Shots – Touch of Evil: opening scene, sequence shot

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Dopo il leggero aperitivo introduttivo della volta scorsa, con il teaser dei nostri “Kasa Shot”, eccoci pronti per la nostra prima importante sequenza da glorificare in questa speciale categoria di interventi dedicati ai momenti di cinema maggiormente memorabili e l’onore di aprire le danze (o il bar, per restare al gioco degli shottini), spetta ad una delle sequenze più celebrate di tutti i tempi, un lungo meraviglioso piano-sequenza, costituente anche l’opening scene di uno dei film che hanno letteralmente fatto la storia del cinema.

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Stiamo parlando del capolavoro immortale di Touch of Evil (L’infernale Quinlan) del 1958, scritto e diretto da Orson Welles, un genio assoluto della settima arte, un maestro tutt’oggi ineguagliato ed ancora imitatissimo e che da solo ha spinto il critico francese André Bazin (co-fondatore della mitica rivista i “Cahiers du cinéma” e padre putativo della Nouvelle Vague di Truffuat, Godard, Chabrol, Rohmer e compagni) a creare il concetto e il termine stesso di “plan-séquence” per descrivere la sua arte.

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Precisiamo subito che oggi abbiamo il privilegio di guardare un frammento della versione restaurata nel 1998, in ossequio ai precisi dettami lasciati dallo stesso Welles in un volumetto di 58 pagine scritto di suo pugno e consegnato alla produzione, con la preghiera di rimediare allo scempio che era stato fatto, al tempo dell’uscita della sua pellicola, contro la sua volontà: non solo era stato modificato il finale scritto dal nostro maestro, ma anche svariate scene erano state tagliate durante il film e persino l’inizio, quello che oggi andiamo ad ammirare in tutto lo splendore della “director’s cut”, era stato oscurato con la sovrapposizione dei titoli di testa ed i credits del film (in origine concepiti per essere posti solo al termine della prima sequenza) ed anche la colonna sonora, voluta dal regista come mix sia della musica del compositore Henry Mancini, sia dei rumori di scena (dal ticchettio della bomba, alle portiere che si aprono e si chiudono, al chiacchiericcio dei passanti e persino alle radio che, facendosi concorrenza da una finestra all’altra delle case che si affacciavano sulle strade, suonavano musiche di etnie diverse, in una sorta di melting pot da territorio di confine), era stata modificata lasciando integra solo la traccia audio della musica di Mancini.

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Insomma, tutto l’enorme lavoro di meticolosa preparazione fatto da Welles, era rimasto occultato per tantissimi anni dalla major che distribuì il film ed aveva visto la luce solo 14 anni dopo la morte dello stesso regista: Touch of Evil fu per decenni un film maledetto, più sognato che goduto, mai davvero visto nella sua completezza eppure, malgrado tutte le mutilazioni ed i camuffamenti impostigli, entrò nel cuore di tutti i cineasti e degli appassionati, tanto da divenire quasi un simbolo di quel modo di fare cinema con il cuore ed il cervello o meglio, se vogliamo, di petto che ha contraddistinto tutta la filmografia di Orson Welles.

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Questa sequenza copre un tragitto fisico distribuito su quattro isolati e tutto, dai passanti, alle auto, ai manifesti semi-strappati sui muri, alle insegne con neon elettrico, è stato studiato, sistemato, costruito per l’occasione sotto il rigido sguardo da perfezionista di Welles: la location scelta era un villaggio messicano al confine tra gli USA ed il Messico, Los Robles, come da copione, ma la Universal si rifiutò di collocare il set in Messico e così il nostro regista dovette adattare una parte di Venice, il quartiere nella parte Ovest di Los Angeles (di cui infatti possiamo facilmente riconoscere i tipici archi a tutto sesto ed i portici, con cui a suo tempo l’architetto e costruttore edile Abbot Kinney, innamoratissimo della nostra Venezia, realizzò molti degli edifici), trasformandola nel luogo di degrado simbolico che egli s’immaginava dovesse essere una città messicana di confine, dove la parte messicana era quella povera e vittima della corruzione e quella americana, di contro, la parte corruttrice, opulenta e moralmente sordida.

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Come sempre nel cinema del maestro del Wisconsin, il perfezionismo maniacale si accompagna ad una franchezza di intenti e di simboli che lascia disarmati, anche a costo di rischiare un’accusa di razzismo, per il modo con cui veniva presentato il Messico, salvo poi santificarne l’etnia, grazie alla trovata di identificare nel personaggio del poliziotto messicano incaricato delle indagini, Ramon Miguel Vargas, tutto il buono non solo della vicenda ma del concetto stesso di uomo integerrimo ed incorruttibile.

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In un perfetto dualismo, Welles concede a se stesso il compito di interpretare il character dello schifoso ed immondo poliziotto americano Quinlan, quintessenza dell’immoralità dilagante nelle forze dell’ordine al servizio nelle zone di confine, mentre il ruolo dell’eroe positivo viene affidato ad un Charlton Heston, fresco del successo trionfale del suo Mosè nel “The Ten Commandments (I dieci comandamenti)” di Cecil B. DeMille.

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Non vogliamo parlare oltre di questo film, meritevole certamente non di uno ma di tanti saggi sull’argomento (ed effettivamente, nelle librerie specializzate anche in Italia c’è solo l’imbarazzo della scelta!), ma concentriamoci solo su questo straordinario piano-sequenza.

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La prima inquadratura ci mostra il dettaglio di un timer, legato a dei candelotti di esplosivo, in cui il killer dinamitardo sistema l’orario della detonazione a tre minuti e mezzo: da quel momento, fino all’esplosione, non ci saranno stacchi, tagli o montaggi di scene di alcun tipo e l’azione fluirà ripresa in tempo reale, senza rallenty o accelerazioni: il regista in questo modo crea subito con lo spettatore una complicità assoluta, poiché la sequenza procederà cronologicamente in modo che il pubblico in sala, se volesse, potrebbe anche guardare ogni tanto il proprio orologio al polso per sapere quando la bomba esploderà: è una suspense alla Hitchcock, in cui la minaccia è palese e non imbroglia lo spettatore.

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Non siamo nell’epoca del digitale e tutto quello che viene ripreso è fatto manualmente, con le cineprese trasportate a mano o con carrelli su rotaie o fatte salire al cielo con gru manovrate direttamente dagli addetti, senza meccanismi servo-assistiti, eppure quello a cui assistiamo in questi 210 secondi è una specie di danza elegante, come un serpente alato cinese che si muove tra i palazzi, che si eleva sopra i tetti e poi plana in mezzo alla strada, volando al contrario, per non perdere nulla di quanto sta accadendo alle due coppie di umani che stanno andando per le vie di questa città di confine e che non casualmente intrecciano e condividono il loro tragitto per tutta la sequenza: la prima coppia, quella del ricco “gringo” americano ridacchiante (scopriremo poi essere il boss della città, Rudi Linnekar ) e della sua bionda amante sguaiata (una spogliarellista) , in auto, una Cadillac ultimo modello, in palese contrasto con i carretti dei peones che attraversano la via e poi la seconda coppia, a piedi, quella degli amanti ed anche degli eroi positivi, composta dal poliziotto messicano Vargas e dalla sua novella sposa statunitense.

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Nell’edizione americana del film in DVD uscita nel 2008 e dedicata al 50esimo anniversario della pellicola, troviamo tantissimi spunti interessanti, con racconti dal set dei protagonisti ed uno di quelli che più ha colpito la mia attenzione è l’aneddoto riguardante l’attore che interpretava la guardia al posto di confine con gli USA: ogni volta che questo attore (poco più che comparsa) vedeva arrivare all’orizzonte la lenta carovana di camion attrezzati, con gru a bordo, macchinisti, microfonisti ed operatori che seguivano come un circo a tre piste in movimento, durante tutto il piano-sequenza le due coppie, si agitava ed emozionandosi sbagliava le battute ed il nostro regista era costretto a girare tutto da capo e la cosa andò avanti per sei o sette volte, finché alla fine tutto andò liscio.

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Ecco, siamo esattamente arrivati al punto dove volevo arrivare ed anche al motivo per cui ho scelto proprio questa sequenza per inaugurare degnamente la rubrica dei “Kasa Shots”: la conoscenza è tutto per non vivere come dei tubi digerenti (che nascono, mangiano, cagano e muoiono) e per capire come dietro le nostre passioni cinematografiche (ma è così per qualsiasi forma di comunicazione artistica) ci sia tanto lavoro e che tale lavoro non è solo tecnicismo ma arte; conoscere quello che accade dietro le quinte è la differenza che c’è tra il vivere passivamente un’emozione e sentirla sia nel cuore che nel cervello ed in qualche modo farla propria.

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Obbligato dalla Universal a rientrare in patria (dopo una sorta di esilio personale in Europa) per fare un film minore presente in contratto, tratto da un romanzo pulp di cui la major aveva acquisito i diritti ed avendo a disposizione solo le maestranze già dipendenti della produzione, Orson Welles, invece di arrendersi e produrre una vaccata piena di cliché adatti ai gusti dell’epoca, prende lo script e lo trasforma in un’opera aggressiva, piena di riferimenti sulla politica di segregazione razziale, sullo scontro tra una popolazione di serie A (quella statunitense) ed una di serie B (quella messicana) ed entrambe funzionali al traffico degli stupefacenti ed alla corruzione derivante, quindi prende come fido braccio destro il direttore della fotografia Russell Metty, famoso proprio per la sua capacità di muovere la gru ed il dolly e studiano una sequenza che senza tagli o stacchi in un solo colpo racconti tredici pagine di sceneggiatura: la produzione ringrazia per aver risparmiato giorni di riprese e denaro ed il cinema guadagnò una delle più belle sequenze di tutti i tempi.

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Alla fine dei 3 minuti e mezzo la macchina esplode, oh si che esplode e non casualmente questo avviene proprio nel momento in cui la coppia mista (scandalo!) si sta per baciare.
Per completezza, ho voluto lasciare anche i secondi successivi ai primi due stacchi dopo il piano-sequenza, con l’accorrere dei soccorsi sul luogo dell’esplosione, il tutto girato con camera a mano, in un ‘epoca in cui ricordiamo non c’era ancora il computer ad aiutare tremolii o a cambiare gli sfondi, le luci e le ombre.

Buona visione.


In questo post abbiamo presentato un estratto dal film:

Touch of Evil“, USA, 1958
Regia: Orson Welles
Soggetto e Sceneggiatura: Orson Welles
dal romanzo di Whit Masterson Badge of Evil
Interpreti: Orson Welles, Charlton Heston e Janet Leigh
Musiche: Henry Mancini


7 pensieri su “Kasa Shots – Touch of Evil: opening scene, sequence shot

  1. Grazie Gianni! E’ un gran complimento, considerando la grandezza del film!!
    In questa rubrica dedicata alle sequenze per me davvero memorabili, cercherò di dare spazio alle scene più che hai film, di cui già recensori più degni di me hanno scritto tanto.
    Così qualche volta mi prenderò la libertà di mescolare sacro e profano, purché la scena o la sequenza lo meriti… perché, come diciamo spesso nei nostri commenti sui vari blog, il cinema bello è bello tutto, aldilà dei generi, così come la vera qualità dell’opera d’arte non si giudica dal soggetto o dalla committenza, siano essi principi, papi o despoti nazisti, come nel caso della Leni Riefenstahl…
    Alla prossima e grazie ancora delle belle parole!

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  2. Questi tuoi shot sono troppo forti, creano dipendenza! Hai iniziato la
    rubrica alla grande, con una scena a dir poco storica realizzata da un genio visionario della Settima Arte. Non c’è altro da dire: bisogna semplicemente gustarsi l’articolo e la scena, perché sono entrambi perfetti. Non vedo l’ora di assaggiare il prossimo shot!

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    • Grazie tantissimo, Dave, che hai sempre delle bellissime parole nei miei confronti.
      Come dicevo a Gianni, nel commento sopra, essendo quella dei Kasa Shots una selezione molto personale, presenterò di volta in volta sequenze dai film più disparati, dando a volte l’impressione di mescolare il popolare con l’elegiaco, ma in realtà non sarà così, perché la differenza tra un cinema cosiddetto alto ed uno basso non è nel soggetto, nel tema trattato e nemmeno nella scelta dei personaggi e del ritmo lento o adrenalinico, ma è nella messa in scena, nella capacità di raccontare nel modo giusto e al momento giusto la cosa giusta: per questo motivo si può fare un film di due ore e passa solo di inseguimenti di automobili e fare un capolavoro ed allo stesso modo si possono fare solo 10 minuti inseguimenti e fare un’enorme vaccata, ugualmente si può fare una scena in cui sembra non accada nulla ed il tempo si sia fermato e realizzare un capolavoro e al contempo fare una scena lenta fine a sé stessa che trituri pure gli zebedei…
      Il cinema bello è bello tutto, questo è il mio mantra!

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  3. Bellissimo pezzo Kasa. Non c’è veramente nulla da aggiungere. Questa rubrica mi stuzzica tantissimo, confesso che per un momento ho pensato anche di rubartela! Ma non lo farò perché non sarei mai neanche lontanamenta all’altezza, quindi meglio continuare a fare le cose che non fai tu.

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    • Perché? Bella invece l’idea di farne una tutta tua: sarebbero comunque momenti di cinema diversi e questo perché anche se abbiamo per molti aspetti gusti simili, abbiamo comunque avuto esperienze diverse e le nostre scelte cadranno su sequenze e scene diverse.
      Verosimilmente apprezzeremmo l’uno le scelte dell’altro (perché come dicevamo, il bello e ben fatto è tale per tutti o dovrebbe…), ma ugualmente le nostre “selezioni” sarebbero differenti.
      Insomma, viva la biodiversità cinematografica!
      E poi… il nome? La configurazione? L’approccio? Blogger diversi, approcci diversi e più scelta per tutti!
      Come diceva il solito Shaw “Se tu hai una mela e io ho una mela e ce le scambiamo, abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee.

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