La Sindrome del Tacchino Selvaggio: Errori ed Orrori dei Titolisti Italiani

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L’imbarazzante strafalcione, operato dai traduttori e dagli adattatori dell’edizione italiana di “Rambo: First Blood” (la famosa pellicola di Ted Kotcheff del 1982 con Sylvester Stallone), è oramai entrato nella storia del cinema ed è riportato come esempio lampante, ogni qual volta si parli della noncuranza e della faciloneria degli adattamenti italiani sia dei nomi, sia dei dialoghi dei film stranieri in distribuzione, ma vale sempre la pena ricordarlo.

First-Blood

Quando lo sceriffo Will Teasle (interpretato da Brian Dennehy) entra nel bar e si siede al tavolo del colonnello Samuel Trautman (impersonato dall’attore Richard Crenna), nel dialogo originale ordina alla cameriera «A short, Wild Turkey», intendendo ovviamente un bicchiere della nota marca di bourbon whiskey, mentre in italiano il personaggio ordina senza battere ciglio «del Tacchino», ma una volta servito, stranamente non mangerà, bensì berrà dal suo bicchiere…

Questo aneddoto ci racconta di un “errore”, certamente imbarazzante e colpevole, soprattutto per la superficialità dell’adattatore, ma non è quello che preferiamo definire “orrore”, ossia una mostruosità decisa a tavolino: non è ovvero una di quelle tante imbarazzanti decisioni prese scientemente dagli staff dei distributori cinematografici che hanno il compito di “adattare” una pellicola per il pubblico italiano.

Star-Wars

Tanto per capirci, un esempio famosissimo di orrore, perpetrato questa volta dai curatori della versione nostrana del primissimo “Star Wars” (quello di George Lucas del 1977) è senza dubbio la famosa frase, pronunciata da Alec Guinness, nella parte di Obi-Wan Kenobi, con cui si fa riferimento (per la prima volta nella saga) alle “Clones Wars”, le famose Guerre dei Cloni, che tanta parte avranno poi nella seconda trilogia cinematografica (la trilogia prequel) e negli spin-off in animazione: ebbene, gli adattatori italiani pensarono che il nostro pubblico non fosse pronto per il concetto di “clone”, che il popolo italiano si sarebbe confuso e che infine tutto questo avrebbe nuociuto agli incassi: presero pertanto la decisione di sostituire la parola “cloni” con il termine “Quoti”, coniato per l’occasione, come se si trattasse di una popolazione confinante (un pò come gli Etruschi per gli Antichi Romani) e fu così che in Italia tutti videro il primo film di Star Wars con questo riferimento a delle fantomatiche Guerre dei Quoti, dove Impero e Repubblica si combatterono evidentemente a colpi di citazioni.

Restiamo ancora un po’ sul lavoro di traduzione ed adattamento dei dialoghi finalizzati al doppiaggio, pratica diffusasi in Italia a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60, allo scopo di rendere più facilmente vendibili i film stranieri in un paese di pecore ignoranti, come dobbiamo dedurre ci vedano i distributori.

Doppiaggio

Quella del doppiare le voce degli attori stranieri, incollando sopra la pista audio originale una nuova traccia con la voce di un attore italiano al posto di quella dell’attore straniero, ha una sua storia molto articolata, con picchi di assoluto prestigio (stiamo comunque parlando di recitazione) e sacche di vero schifo, ma in ogni caso parliamo sempre di un lavoro estremamente complesso, che prevede la presenza di traduttori, di dialoghisti (che modificano il testo tradotto, scegliendo espressioni o locuzioni anche gergali più consone della nostra lingua), di adattatori (mettendo a confronto con la moviola le aperture labiali, le pause e le movenze facciali dell’attore originale con la voce del doppiatore italiano) ed infine del direttore del doppiaggio, a cui sta il coordinamento di tutto lo staff elencato.

Siccome il doppiaggio non è a cura delle Accademie delle Belle Arti ma dei distributori del film, è evidente che il dictat ricevuto spesso dai direttori è quello di “tradire” il testo originale quel tanto che basta affinchè sia meglio compreso e quindi venda di più.

Semplice? No, perchè le cose non sono mai così ovvie e perchè la discrezionalità è davvero immensa.

Snake-Plissken

Escape from New York – Italia: “1997: Fuga da New York

Quando, ad esempio, la Medusa Film nel 1981 si occupò dell’adattamento italiano del film di John Carpenter “Escape from New York”, per prima cosa ci incollò un bel 1997 nel titolo, che faceva tanto fantascienza (così abbiamo avuto “1997: Fuga da New York”), poi pensò al protagonista, Snake Plissken (il mitico character interpretato da Kurt Russell) e pensò bene di cambiargli il nome in Jena Plissken, infischiandosene non solo della volontà degli autori originali ma anche della constatazione che il nostro Snake/Jena aveva un bel serpentone tatuato addosso, ma tant’è, “chissene” avranno pensato in Medusa, la gente neanche se accorgerà.

Saving-Grace

Saving Grace – Italia: “L’erba di Grace

Queste storpiature e distorsioni sono dettate solo nel migliore dei casi dalla volontà di rendere più comprensibile una frase o un dialogo: in una scena del film del 2000 di Nigel Cole “Saving Grace (titolato in italiano con “L’erba di Grace”), il nome del gioco di ruolo “Dungeons & Dragons” (a cui dichiara di doversi dedicare di sera con la sua compagna lo spacciatore che Grace usa come mediatore per incontrare il vero boss dello spaccio) viene sostitituito in italiano dalla più comune “Battaglia Navale”: certo, sempre una forma di “tradimento”, ma parliamo in questo caso di un peccato, per così dire, “veniale”.

Nel peggiore dei casi, invece, tali storpiature sono generate dalla fretta e dalla faciloneria e questo perchè purtroppo, una volta venduto il film all’estero, non c’è quasi alcun controllo o diritto di controllo da parte degli autori originali sulla versione finale.

Ho scritto non casualmente l’avverbio “quasi”, perché ci sono stati in passato e ci saranno certamente anche in futuro casi eccezionali, in cui il regista di un film si preoccupa di verificare ed a volte persino di scegliere la miglior traduzione possibile in lingua straniera di una o più frasi della sua opera: celeberrimo, ad esempio, il caso della scena del film “Shining“, in cui il personaggio di Jack scrive sulla sua macchina da scrivere la frase «All work and no play makes Jack a dull boy» ripetuta di continuo in modo ossessivo e che Kubrick girò tante volte quante erano le versioni estere del film, sostituendo la frase originale ogni volta con una frase diversa, decisa da Kubrick stesso, in base alla lingua del paese di destinazione.

Sia su questa vicenda, sia su altre considrerazione sulla titanica figura del cineasta inglese, vale la pena di leggere cosa rivela il grande Mario Maldesi, figura di riferimento di tutto il mondo del doppiaggio italiano di qualità e direttore di doppiaggio voluto dai più grandi registi stranieri, nell’intervista curata da Filippo Ulivieri sul sito “Archivio Kubrick”: vi troverete tantissime altre notizie, che faranno capire la differenza tra professionisti appassionati e ciarlatani.

Paterson

Molto recentemente, un altro grande autore di cinema ha dato prova di una cura non maniacale ma sincera ed appassionata per la sua arte: quando si è trattato di distribuire il suo belissimo film “Paterson“, Jim Jarmusch ha curato personalmente la traduzione nelle varie lingue straniere delle poesie che vengono nella storia scritte dal protagonista e che appaiono direttamente sullo schermo.

Giancarlo-Giannini

Lasciamo ora il mondo del doppiaggio (dove, oltre ai cani, vivono anche maestri come Giancarlo Giannini, attore sopraffino e grande voce, acclamato dallo stesso Kubrick), realtà che abbiamo capito essere particolarmente complessa e variegata e limitiamoci solo alle versioni italiane dei titoli dei film, settore dove la fedeltà all’originale semplicemente non è prevista e quando capita si resta tutti molto stupiti!

Leonardo-Ortolani

Inoltre, per meglio illustrare questa mia dissertazione, ho chiesto ed ottenuto dal grande Leonardo Ortolani, parmigiano d’adozione e fumettista arci-noto (definito da pubblico e critica come il più grande autore Marvel vivente, creatore del successo editoriale senza precedenti del personaggio di Rat-Man, nonchè autore satirico di celebri recensioni cinematogafiche illustrate, pubblicate sul suo blog Come Non Detto) di poter usare nel mio post alcuni suoi disegni satirici: in queste creazioni grafiche, infatti, Ortolani ha immaginato la figura di una divinità ctona, vero ideatore occulto delle più strampalate decisioni dei nostri titolisti italiani proprio in campo cinematogafico; trattasi ovviamente di un essere demoniaco, perchè tale soltanto poteva essere la natura di chi è artefice di simili misfatti!

Diamo dunque su queste pagine il benvenuto al potente “Uottefak”!

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Queste sciagurate decisioni, prese in fase di pre-distribuzione sul nostro mercato di un film (ma anche di una serie Tv, giacché non si pensi che le fiction siano immuni da queste nefandezze, tutt’altro!), sono sempre basate su miopi ragionamenti di convenienza: se ad esempio ha incassato molto bene un film che aveva nel titolo la definizione “quattro zampe” per indicare un cane, allora i distributori cambieranno tutti i titoli dei film in procinto di essere portati nelle sale italiane, con protagonisti anche marginalmente dei cani, inserendo a tutti i costi la frase di successo.

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Mit liv som hund (lett. “La mia vita da cane“) – Italia: “La mia vita a quattro zampe

Questo il motivo dietro a porcherie come la scelta del titolo “Un poliziotto a 4 zampe” per l’edizione italiana del film “K-9” di Rod Daniel del 1989 o come “Il mio amico a quattro zampe”, versione italiana del film “Because of Winn-Dixie” del 2005 di Wayne Wang o ancora “Chestnut – Un eroe a quattro zampe” al posto di “Chestnut: Hero of Central Park”, commedia del 2004 di Robert Vince: per altro, la locuzione “a quattro zampe” era diventata per i nostri distributori l’unico modo di definire un cane, tanto che anche la pellicola svedese di Lasse Hallström del 1985 “Mit liv som hund” (letteralmente “La mia vita da cane“) venne distribuita in Italia con il titolo di  “La mia vita a quattro zampe”.

Bolt

Chiudiamo in bellezza l’altrimenti infinita serie dei cani, con quel gioiellino d’animazione della nuova Disney (rinnovata dalla gestione del geniale John Lasseter) che è stato nel 2008 “Bolt”, pellicola che i distributori italiani non hanno saputo trattenersi dal commercializzare in tutti i cinema con il sotto-titolo “Un eroe a quattro zampe”, nel dubbio che il pubblico nostrano non capisse si trattasse di un cane.

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C’è una logica, dunque, dietro l’ignominia dei titolisti italiani, una logica che quindi segue una sorta di codice, anche se, citando il Barbossa del primo film della saga dei “Pirates of the Caribbean” quando si rivolge ad Elizabeth dicendo «the code is more what you’d call guidelines than actual rules», il codice è solo una traccia…

Anzitutto, di base, c’è l’idiosincrasia dei distributori per i nomi propri: essi non hanno mai accettato l’idea che un italiano possa andare al cinema a guardare un film che nel titolo abbia soltanto un nome proprio e basta, quasi fosse un abominio, a meno che non si tratta di un personaggio famoso, perché allora un titolo composto da un nome proprio diventa accettabile.

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Sylvia Scarlett – Italia: “Il diavolo è femmina

Basti prendere come esempio la cinematografia di un qualsiasi famoso regista della Hollywood classica, per capire cosa intendiamo: George Cukor, giusto per citare un grossissimo nome,  nel 1935 portò sul grande schermo “Sylvia Scarlett”, che da noi diventò subito “Il diavolo è femmina”; qualcuno, tuttavia, potrebbe obiettare che allora eravamo sotto il fascismo e quindi tutto anche il cinema veniva italianizzato ed allora aspettiamo il 1952, quando Cukor diresse “Pat and Mike”, da noi subito intitolato “Lui e Lei” e nel 1969 abbiamo il suo “Justine” che viene adattato in un più complicato “Rapporto a quattro”.

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Gaslight – Italia: “Angoscia

Ci piace ricordare George Cukor, perché, aldilà della fobia per i nomi propri, i nostri distributori si esibirono nella versione italiana pià creativa possibile, quando tradussero con il titolo di “Angoscia” uno dei più bei film di Cukor, nonchè uno dei più celebri in assoluto della storia del cinema ovvero “Gaslight” del 1944.

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Elmer Gantry – Italia: “Il figlio di Giuda

Cukor è soltanto uno dei mille esempi, giusto per sottolineare che la regola dei nomi propri non lascia scampo nemmeno ai grandi classici ed è davvero una strage di titoli, quella che i distributori italiani hanno fatto in nome del loro dictat, accompagnando la storia del cinema, dai melodrammi polizieschi come “Laura” del 1944 di Otto Preminger (diventato “Vertigine”) ai drammatici come “Elmer Gantry” del 1960 di Richard Brooks (tradotto in modo molto evocativo con “Il figlio di Giuda”), ai musical di impianto teatrale alla “Gypsy” (“La donna che inventò lo strip-tease”) del 1962 di Mervyn LeRoy, agli horror alternativi come “Jacob’s Ladder” del 1990 di Adrian Lyne (disgraziatamente banalizzato e travisato con un fintamente allusorio “Allucinazione perversa”), passando per i conflitti familiari moderni di “Dolores Claiborne” del 1995 di Taylor Hackford (da noi divenuto “L’ultima eclissi”), fino alle commediole per la Lindsay Lohan del periodo ante-Machete come “Georgia rule” del 2007 di Garry Marshall (distribuito con l’equivocabile e stupido “Donne, regole… e tanti guai!”).

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Il secondo principio guida per il malcostume italico nel tradimento dei titoli di film stranieri è quello della “serie di successo”, ossia il principio in base al quale se un film o un gruppo di film simili ha avuto successo di pubblico, basterà appioppare al film straniero di turno un titolo italiano che ricordi in qualche modo quel primo fortunato capostipite di forte incasso, suggerendo in modo truffaldino allo spettatore impreparato che si tratti di un sequel di quella pellicola che gli era tanto piaciuta: la cosa più triste è che moltissimi spettaori, ahimé, cadono davvero nella trappola!

Lo so che può sembrare incredibile o esagerato, ma questi tizi che lavorano per i distributori ragionano davvero in questo modo, trattando i film stranieri come se fossero bulloni o alimenti per gatti o colle impermeabili o merde finte!

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Van Wilder – Italia: “Maial College

È così che ci siamo ritrovati sul groppone un vero esercito di commedie studentesche da titoli italiani assimilabili, introdotte da “How High” del 2001 (tradotto come “Due sballati al college”) e che ha coinvolto anche le commedie della saga di “Van Wilder” (inizialmente nate come creatura ibrida National Lampoon, dai produttori del franchise di American Pie), a partire dal primo film del 2002 (che diventa immediatamente il pecoreccio “Maial College”), il suo sequel “Van Wilder 2: The Rise of Taj” del 2006 (giustamente a questo punto distribuito come “Maial College 2″) ed infine il prequel (lo so, sembra incredibile ma questa sozzeria ha persino un prequel!) “Van Wilder: Freshman Year” del 2009 che divenne per l’occasione “Niente Regole – Siamo al college”, nel quale i nostri distributori si sono persi per strada il maiale, ma non il college.

Tart

Tart – Italia: “Tart – Sesso, droga e… college

Non soddisfatti, sempre nel 2001 venne importata anche la pellicola “Tart”, scritta e diretta da Christina Wayne, a cui venne immediatamente aggiunto il sottotitolo “Sesso, droga e… college”, in modo da suggerire falsamente un mood completamente diverso dall’originale drammatico, assimilando questo film al gruppone di commedie sexy-studentesche

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Knallharte Jungs” (lett. “Giovani brutali”) – Italia: “Porky College: un duro per amico

Mentre negli anni ’80 i nostri distributori si erano goduti gli incassi dei tre Porky’s originali (“Porky’s” del 1982, “Porky’s II: The Next Day” del 1983 e “Porky’s Revenge” del 1985, tutti venduti nelle sale con titoli tradotti in modo fedelissimo), con gli anni 2000 la mancanza di un titolo trainante di successo in questo settore creò un po’ di nostalgia e così la commedia tedesca del 2002 “Knallharte Jungs” (alla lettera “Giovani brutali”) venne presentata, in una sorta di mix tra il vecchio successo ed il nuovo fiklone studentesco, come “Porky College: un duro per amico”, film che ebbe un sequel nel 2007, “Harte Jungs” (ossia “Giovani cervi”) e che ovviamente da noi uscì come “Porky College 2”.

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Sydney White – Italia: “Biancaneve al college

Nello stesso anno troviamo anche un vero salto carpiato lessicale con la traduzione del film di Joe Nussbaum “Sydney White” divenuto “Biancaneve al college”, perchè in fondo la trama è una rilettura della famosa fiaba e non si poteva lasciare di certo il pubblico dei film romantici senza un pizzico di college!

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The Texas Chain Saw Massacre – Italia: Non aprite quella porta

Quando parliamo di serie “forzata” o “finta”, non intendiamo ovviamente quei film che anche in originale sono davvero parte di una serie e che come tali riporteranno nei sequel il nome del film originale in modo sequenziale, indipendentemente da come sia stato tradotto: una volta che, ad esempio, i nostri distributori commisero la terribile nefandezza di usare il titolo “Non aprite quella porta” per importare il capolavoro horror di Tobe Hopper del 1974 “The Texas Chain Saw Massacre”, ovviamente hanno dovuto chiamare allo stesso modo tutti i relativi sequel, prequel e remake e questo, aldilà della fetenza iniziale, ha una sua logica.

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Comletamente diverso, invece, lo scempio della forzatura di un titolo in una serie avvenuto con l’ossessione tutta italian delle carie “case” dell’orrore, che iniziò nel lontano 1972, quando il geniale regista Wes Craven scrisse e diresse il suo primissimo lungometraggio, scegliendo la formula dell’exploitation, con “The Last House on the Left“, tradotto all’epoca in Italia in modo letterale, con “L’ultima casa a sinistra”: Craven non poteva immaginare che il suo film horror sarebbe diventato l’inconsapevole iniziatore di decine e decine di pellicole di ispirazione più o meno elevata (di cui pochissime perle in un mare di porcheria), che da noi rubarono il suo titolo, perché da quel momento, infatti, per i nostri distributori, un film horror che si ambientava anche lontanamente in una casa (poteva essere un fienile o una grotta, andava bene lo stesso), avrebbe avuto per sempre il nome “casa” nel titolo italiano.

Superstition

The Witch Superstition – Italia: “La casa di Mary

Quando nel 1977, quindi, uscì negli USA il film horror di Pete Walker “They Come Back”, da noi fu subito ribattezzato in “Chi vive in quella casa?” e quando poi, nel 1981 fu la volta dell’inguardabile “The Witch Superstition” di James Roberson, anch’esso venne trasformato ed adattato con il titolo di “La casa di Mary” e vi assicuro che non avete ancora visto nulla…

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The Evil Dead – Italia: “La Casa

Nel 1981 il genere horror vede nascere una delle sue pietre miliari, “The Evil Dead” scritto, diretto e prodotto dal geniale Sam Raimi ed ancora una volta un titolo cult fu lo spunto per uno scempio terrificante, operato dai nostri custodi del Sacro Pitale della Traduzione, addiruttura doppio, perchè non solo scelsero per la pellicola di Raimo il titolone “La Casa” e ad esso restarono ovviamente fedeli con il primo sequel diretto (ossia quel “Evil Dead II: Dead by Dawn” che diventerà da noi “La Casa 2”), ma diedero anche origine ad una specifica sotto-serie dentro ad una nefanda finta serie generale.

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In Italia vennero realizzati ben 3 film apocrifi (prodotti dal Joe D’amato, aka Aristide Massaccesi, famoso per i suoi porno), che volevano inserirsi sulla falsa riga dei due film di Sam raimi, sfruttando l’onda del successo, che uscirono nei nostri cinema con i titoli di “La Casa 3” di Umberto Lenzi (con lo pseudonimo di Humphrey Humbert), “La Casa 4” di Fabrizio Laurenti (con lo pseudonimo di Martin Newlin) e “La Casa 5” di Claudio Fragasso (con lo pseudonimo di Clyde Anderson) ed a quel punto per i nostri distributori le cose cominciarono davvero a complicarsi…

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House – Italia: “Chi è sepolto in quella casa?

Nel frattempo, infatti, negli USA erano uscite delle commedie horror, piene di sangue, battute stupide e recitazione inesistente, prodotte da Sean Cunningham (l’uomo che aveva nel 1980 scritto e prodotto “Friday the 13th – Venerdì 13” e che ora campava di rendita, senza fare più nulla di nuovo) che si chiamavano “House” (del 1986) e “House II: The Second Story” (del 1987): siccome in Italia eravamo già arrivati con i titoli a “La Casa 5” e non volendo comunque i nostri cervelloni perdere il richiamo dell’elemento “casa” nel titolo del film, che tanta presa aveva sulle fragili menti di noi spettatori italici, decisero di distribuire il primo film con il titolo di “Chi è sepolto in quella casa?” ed il secondo come “La casa di Helen”.

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House II: The Second Story – Italia: “La casa di Helen” anche “La Casa 6

Tuttavia, dopo un successo di pubblico molto scarso nei nostri cinema, il distributore italiano, pensando che ciò fosse colpa del titolo (e non del fatto che il film in questione facesse semplicemente schifo) decise di far fare un secondo giro di distribuzione a quella pellicola, cambiandogli il titolo in “La Casa 6”: alla fine l’oltraggio finale era stato perpretato, così come l’inganno nei confronti degli spettaori ignari, che pensavano di trovarsi di fronte davvero ad un franchise (illusione coltivata anche dagli pseudonimi inglesi dei nomi dei registi dei tre capitoli italiani).

Horror-Show

The Horror Show – Gran Bretagna: “House III” – Italia: “La Casa 7” e “La Casa III

Se già non erano bastanti i casini fatti dai nostri titolisti italioti, nel 1989 ci si misero anche gli inglesi che per disgrazia in quell’anno vollero commercializzare in Gran Bretagna il modestissimo film statunitense di James Isaac “The Horror Show” con il titolo di “House III”, sfruttando la constatazione che tale pellicola era stata prodotta dallo stesso Sean Cunningham dei primi House e House II (di cui abbiamo parlato sopra), in barba al fatto che nemmeno la storia di tale film avesse nulla a che fare con quella delle altre due pellicole.

Dopo il successo britannico, i produttori nordamericani decisero che effettivamente potevano anche loro imbrogliare il loro pubblico e ridistribuirono in Home Video The Horror Show anche negli USA con il sottotitolo House III.

Come si sa, però, i nostri distributori erano già andati molto più avanti con la numerazione e così da noi Horror Show / The House III divenne molto semplicemente La Casa 7 (il 6 era già stato preso, anche se in modo un pò farlocco e successivamente sconfessato): tuttavia, quando anche da noi il film passò dai cinema al settore casalingo, venne venduto in DVD con il titolo “La Casa III” (chiaramente con numero romano, per non creare confusione… Sic!).

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House IV – Italia: “House IV – Presenze impalpabili” e “Chi ha ucciso Roger?

Nel 1992 il solito Sean Cunningham decise di realizzare un sequel dei due House e House II, affidandone la regia a Lewis Abernathy e producendo direttamente per il settore home-video e come tale, viste però le decisioni dei distributori inglesi e statunitensi riguardo la sua precedente perla, decise di chiamare tale seguito “House IV”: in Italia ci si trovò perciò di fronte ad un dubbio commerciale non da poco ovvero se a quel punto chiamare tale film “La Casa 8” (in ossequio alla numerazione fino a quel momento tenuta e con un poster che facesse riferimento alla saga farlocca, contraddistinta dalla grande “C” a forma di falcetto) oppure se spingere il pubblico degli spettatori di fine millennio a fare riferimento all’ultimissima uscita in DVD della saga di Cunningham ossia a quel “La Casa III” con cui avevano chiamato La Casa 7.

Con lo stesso acume che ha sempre contraddistinto nel nostro paese i responsabili dell’Ufficio Complicazioni Affari Semplici (UCAS che sappiamo estendere la sua autorità in ogni campo lavorativo) e che già si era fatto onore titolando i primi due film della saga post-apocalittica di Gerge Miller (“Mad Max” e “Mad Max 2“) con i nomi di “Interceptor” ed “Interceptor – Il guerriero della strada“, mentre il terzo film uscì inspiegabilmente come “Mad Max oltre la sfera del tuono“,  i distributori italiani misero sotto torchio grafici e lettersti ed il film direct-to-video di Cunningham uscì con il titolo di “House IV – Presenze impalpabili“.

Da notare che anche questo film fece un secondo giro nelle sale italiane, per l’occasione sfoggiando un secondo nuovo titolo: “Chi ha ucciso Roger?”.

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The people under the stairs – Italia: “La casa nera

Oramai i titolisti nostrani andavano a ruota libera con i film dell’orrore, non solo però con pellicole di serie B (o C o Z…), ma anche con produzione di alto profilo e così, quando nel 1990 il regista culto Wes Craven scrisse e dirisse un vero gioiello dal titolo evocativo, “The people under the stairs”, mescolando horror e paure infantili, in Italia l’hanno prontamente massacrato con un bel “La casa nera”.

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Dream demon – Italia: “La Casa al N. 13 in Horror Street

Gli adattatori stavano diventando così acuti e perfidi nell’opera di tradimento degli autori originali da suscitare persino (lo dico con sgomento!) una sorta di ammirazione: ad esempio, nel 1990, era stato distribuito senza alcun clamore una piccola produzione britannica, un filmino davvero insipido (è duro addormentarsi vedendo un horror, ma a me è capitato con questo), diretto ed in parte sceneggiato dall’autrice di ascendenza televisiva Harley Cokeliss, “Dream demon”: tale titolo sarebbe stato facile da adattare in italiano, visto che strizzava anche l’occhio al Nightmare di Craven (insomma, ci sarebbe potuta stare una semplice traduzione in questo caso), ma i nostri distributori laswciarono tutti sbalordito, realizzando un vero capolavoro, probbailmente il loro apice assoluto in campo horror, riuscendo a mescolare il ricordo di “Venerdì 13” e “La Casa” e partorendo infine un bellissimo e trashissimo “La Casa al N. 13 in Horror Street”: scusate, ma qui ci vuole un grande applauso!!

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Toolbox Murders – Italia: “La casa dei massacri

La serie delle case dell’orrore è inarrestabile ancora nel nuovo millennio: nel 2004 Tobe Hooper ha diretto “Toolbox Murders”, che è diventato da noi “La casa dei massacri” e nel 2011, l’inglese Kelly Smith dirige “Don’t Let Him In” rinominato come “La casa nel bosco“, da non confondere assolutamente con l’horror satirico “The Cabin in the Woods” (“Quella casa nel bosco“) scritto e prodotto dal poliedrico Joss Whedon nel 2012 e diretto da Drew Goddard.

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Don’t Let Him In – Italia: “La casa nel bosco

Potrei andare avanti, purtroppo, all’infinito, perchè di esempi di orrori deliranti nella creazione dei titoli italiani di film stranieri ce ne sarebbero una montagna, ma preferisco invece terminare qui la mia personale dissertazione, lasciando invece il passo ad un elenco, già molto lungo di suo, con una selezione di alcune tra le più famose dissonanzze tra il nome originale del film e quello scelto per il nostro paese.

Ciò che più mi ha ispirato nel redarre questa lista è che non ha importanza quanto bello possa essere il nome scelto per il nostro mercato (il titolo italiano del film di Peter Weir, ad esempio, è bellissimo), perchè ciò che davvero conta è la triste constatazione che comunque non si tratta di quello voluto dall’autore: è stato oscurata e cancellata agli occhi dello spettatore una parte del lavoro creativo fatto dagli autori originali e che al contrario andrebbe rispettato, sempre.

La mia speranza è che questo elenco possa invero allungarsi con i vostri consigli e le vostre personali indicazioni, fatemi sapere!


Titolo originale: “Ruggles of Red Gap” regia di Leo McCarey (1935)
Titolo italiano:    “Il maggiordomo”

Titolo originale: “The Stagecoach” regia di John Ford (1939)
Titolo italiano:    “Ombre Rosse”

Titolo originale: “The Shop Around the Corner” regia di Ernst Lubitsch (1940)
Titolo italiano:    “Scrivimi fermo posta”

Titolo originale: “Citizen Kane” regia di Orson Welles (1941)
Titolo italiano:    “Quarto Potere”

Titolo originale: “To Be or Not to Be” regia di Ernst Lubitsch (1942)
Titolo italiano:    “Vogliamo vivere!”

Titolo originale: “The Life and Death of Colonel Blimp” regia di M. Powell (1943)
Titolo italiano:    “Duello a Berlino”

Titolo originale: “Rio Grande” regia di John Ford (1950)
Titolo italiano:    “Rio Bravo”

Titolo originale: “The Seven Year Itch” regia di Billy Wilder (1955)
Titolo italiano:    “Quando la moglie è in vacanza”

Titolo originale: “Carve Her Name with Pride” regia di Lewis Gilbert (1958)
Titolo italiano:    “Scuola di spie”

Titolo originale: “Vertigo” regia di Alfred Hitchcock (1958)
Titolo italiano:    “La donna che visse due volte”

Titolo originale: “Rio Bravo” regia di Howard Hawks (1959)
Titolo italiano:    “Un dollaro d’onore”

Titolo originale: “The Time Machine” regia di George Pal (1960)
Titolo italiano:    “L’uomo che visse nel futuro”

Titolo originale: “Wild River” regia di Elia Kazan (1960)
Titolo italiano:    “Fango sulle stelle”

Titolo originale: “The Parent Trap” regia di David Swift (1961)
Titolo italiano:    “Il cowboy con il velo da sposa”

Titolo originale: “It’$ Only Money” regia di Frank Tashlin (1962)
Titolo italiano:    “Sherlocko… investigatore sciocco”

Titolo originale: “Dr. No” regia di Terence Young (1962)
Titolo italiano:    “Agente 007 – Licenza di uccidere”

Titolo originale: “The Fortune Cookie” regia di Billy Wilder (1966)
Titolo italiano:    “Non per soldi… ma per denaro”

Titolo originale: “Caine” regia di Samuel Fuller (1967)
Titolo italiano:    “Quattro bastardi per un posto all’inferno”

Titolo originale: “The Producers” regia di Mel Brooks (1968)
Titolo italiano:    “Per favore, non toccate le vecchiette”

Titolo originale: “La Sirène du Mississipi” regia di François Truffaut (1969)
Titolo italiano:    “La mia droga si chiama Julie”

Titolo originale: “Domicile Conjugal” regia di François Truffaut (1970)
Titolo italiano:    “Non drammatizziamo… è solo questione di corna”

Titolo originale: “Dirty Harry” regia di Don Siegel (1971)
Titolo italiano:    “Ispettore Callaghan: il caso “Scorpio” è tuo!!”

Titolo originale: “Jeremiah Johnson” regia di Sydney Pollack (1972)
Titolo italiano:    “Corvo rosso non avrai il mio scalpo”

Titolo originale: “Hungry Wives” regia di George A. Romero (1972)
Titolo italiano:    “La stagione della strega”

Titolo originale: “The Crazies” regia di George A. Romero (1973)
Titolo italiano:    “La città verrà distrutta all’alba”

Titolo originale: “Le Magnifique” regia di Philippe de Broca (1973)
Titolo italiano:    “Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo”

Titolo originale: “Don’t Look Now” regia di Nicolas Roeg (1973)
Titolo italiano:    “A Venezia… un dicembre rosso shocking”

Titolo originale: “The Texas Chain Saw Massacre” regia di Tobe Hooper (1974)
Titolo italiano:    “Non aprite quella porta”

Titolo originale: “Dawn of the Dead” regia di George A. Romero (1978)
Titolo italiano:    “Zombi”

Titolo originale: “Martin” regia di George A. Romero (1978)
Titolo italiano:    “Wampyr”

Titolo originale: “Mad Max” regia di George Miller (1979)
Titolo italiano:    “Interceptor”

Titolo originale: “Stripes” regia di Ivan Reitman (1981)
Titolo italiano:    “Un plotone di svitati”

Titolo originale: “The Sword and the Sorcerer” regia di Albert Pyun (1982)
Titolo italiano:    “La spada a tre lame”

Titolo originale: “The Beastmaster” regia di Don Coscarelli (1982)
Titolo italiano:    “Kaan principe guerriero”

Titolo originale: “The hunger” regia di Tony Scott (1983)
Titolo italiano:    “Miriam si sveglia a mezzanotte”

Titolo originale: “Rumble fish” regia di Francis Ford Coppola (1983)
Titolo italiano:    “Rusty il selvaggio”

Titolo originale: “Day of the Dead” regia di George A. Romero (1985)
Titolo italiano:    “Il giorno degli zombi”

Titolo originale: “Crossroads” regia di Walter Hill (1986)
Titolo italiano:    “Mississippi Adventure”

Titolo originale: “Running Scared” regia di Peter Hyams (1986)
Titolo italiano:    “Una perfetta coppia di svitati”

Titolo originale: “K-9” regia di Rod Daniel (1989)
Titolo italiano:    “Un poliziotto a 4 zampe”

Titolo originale: “Dead Poets Society” regia di Peter Weir (1989)
Titolo italiano:    “L’attimo fuggente”

Titolo originale: “Licence to Kill” regia di John Glen (1989)
Titolo italiano:    “007 – Vendetta privata”

Titolo originale: “Jacob’s Ladder” regia di Adrian Lyne (1990)
Titolo italiano:    “Allucinazione perversa”

Titolo originale: “Home Alone” regia di Chris Columbus (1990)
Titolo italiano:    “Mamma, ho perso l’aereo”

Titolo originale: “My Own Private Idaho” regia di Gus Van Sant (1991)
Titolo italiano:    “Belli e dannati”

Titolo originale: “Unforgiven” regia di Clint Eastwood (1992)
Titolo italiano:    “Gli spietati”

Titolo originale: “Legends of the Fall” regia di Edward Zwick (1994)
Titolo italiano:    “Vento di passioni”

Titolo originale: “Wild Things” regia di John McNaughton (1998)
Titolo italiano:    “Sex Crimes – Giochi pericolosi”

Titolo originale: “Can’t Hardly Wait” regia di Harry Elfont e Deborah Kaplan (1998)
Titolo italiano:    “Giovani, pazzi e svitati”

Titolo originale: “Runaway Bride” regia di Garry Marshall (1999)
Titolo italiano:    “Se scappi, ti sposo”

Titolo originale: “Analyze This” regia di Harold Ramis (1999)
Titolo italiano:    “Terapia e pallottole”

Titolo originale: “Dude, Where’s My Car?” regia di Danny Leiner (2000)
Titolo italiano:    “Fatti, strafatti e strafighe”

Titolo originale: “Shallow Hal” regia di Peter Farrelly e Bobby Farrelly (2001)
Titolo italiano:    “Amore a prima svista”

Titolo originale: “The Wedding Planner” regia di Adam Shankman (2001)
Titolo italiano:    “Prima o poi mi sposo”

Titolo originale: “Saving Silverman” regia di Dennis Dugan (2001)
Titolo italiano:    “Assatanata”

Titolo originale: “Adaptation” regia di Spike Jonze (2002)
Titolo italiano:    “Il ladro di orchidee”

Titolo originale: “Intolerable Cruelty” regia di Joel Coen (2003)
Titolo italiano:    “Prima ti sposo, poi ti rovino”

Titolo originale: “The Curse of the Black Pearl” regia di Gore Verbinski (2003)
Titolo italiano:    “La maledizione della prima luna”

Titolo originale: “Eternal sunshine of a spotless mind” regia di M. Gondry (2004)
Titolo italiano:    “Se mi lasci ti cancello”

Titolo originale: “Shaun of the Dead” regia di Edgar Wright (2004)
Titolo italiano:    “L’alba dei morti dementi”

Titolo originale: “Walk the Line” regia di James Mangold (2005)
Titolo italiano:    “Quando l’amore brucia l’anima”

Titolo originale: “Because of Winn-Dixie” regia di Wayne Wang (2005)
Titolo italiano:    “Il mio amico a quattro zampe

Titolo originale: “Candy” regia di Neil Armfield (2006)
Titolo italiano:    “Paradiso + Inferno

Titolo originale: “Trust the Man” regia di Bart Freundlich (2006)
Titolo italiano:    “Uomini & donne – Tutti dovrebbero venire… almeno una volta!

Titolo originale: “There Will Be Blood” regia di Paul Thomas Anderson (2007)
Titolo italiano:    “Il petroliere

Titolo originale: “Superbad” regia di Greg Mottola (2007)
Titolo italiano:    “Suxbad – Tre menti sopra il pelo

Titolo originale: “Wild hogs” regia di Brad Copeland (2007)
Titolo italiano:    “Svalvolati on the road

Titolo originale: “How to Lose Friends & Alienate People” regia di R. Weide (2008)
Titolo italiano:    “Star System – Se non ci sei non esisti

Titolo originale: “Away we go” regia di Sam Mendes (2009)
Titolo italiano:    “American Life”

Titolo originale: “The Time Traveler’s Wife” regia di Robert Schwentke (2009)
Titolo italiano:    “Un amore all’improvviso”

Titolo originale: “The Ghost Writer” regia di Roman Polański (2010)
Titolo italiano:    “L’uomo nell’ombra”

Titolo originale: “Made in Dagenham” regia di Nigel Cole (2010)
Titolo italiano:    “We Want Sex”

Titolo originale: “La source des femmes” regia di Radu Mihăileanu (2011)
Titolo italiano:    “La sorgente dell’amore”

Titolo originale: “The Guard” regia di John Michael McDonagh (2011)
Titolo italiano:    “Un poliziotto da happy hour”

Titolo originale: “Restless” regia di Gus Van Sant (2011)
Titolo italiano:    “L’amore che resta”

Titolo originale: “Get the Gringo” regia di Adrian Grunberg (2012)
Titolo italiano: “Viaggio in paradiso”

Titolo originale: “The Stag” regia di John Butler (2013)
Titolo italiano:    “Se sopravvivo mi sposo”

Titolo originale: “The Immigrant” regia di James Gray (2013)
Titolo italiano:    “C’era una volta a New York”

Titolo originale: “The Purge” regia di James DeMonaco (2013)
Titolo italiano:    “La notte del giudizio”

Titolo originale: “Gone Girl” regia di David Fincher (2014)
Titolo italiano:    “L’Amore Bugiardo”


 

26 pensieri su “La Sindrome del Tacchino Selvaggio: Errori ed Orrori dei Titolisti Italiani

  1. Non vedendo quasi mai film in lingua originale non conoscevo quasi nessuna delle tue citazioni tradotte ad minkiam. Sui titoli avevo già notato delle assurdità, ma anche in questo caso ne conoscevo veramente poche.
    Grazie per avermi reso edotto con un post di perizia veramente certosina.
    Certo, se dessi retta al mantra del nostro amico Sherlock, dovrei dimenticare in fretta questa selva di titoli e parole, perchè assolutamente inutili e prive di funzionalità. Però… però… me li voglio ricordare, perchè a loro modo insegnano qualcosa.

    PS: di traduzioni assurde conosco solo l’aneddoto narratomi da un mio amico massimamente esperto di Star Wars (ma su cui non ho mai trovato conferma) che il Dart VADER fu tradotto in Italia con FENER perchè troppo assonante con WATER inteso come WC. Ho sempre voluto sperare che non fosse vero, ma temo il contrario…

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  2. Per un seminario di traduzione all’Università, tradussi e adattai i sottotitoli di un film americano, Pleasantville. Fu difficile e davvero educativo perché spesso, prima, ridevo di certe traduzione/adattamenti ma in quell’occasione ne soprii le difficoltà.Adattare la traduzione, il più possibile fedele all’originale, al movimento labiale degli attori e tremendamente difficile. Non puoi fargli dire frasi lunghe ed articolate se loro hanno smesso di parlare da mezz’ora. Se l’inquadratura è di spalle, o non si fissa sul volti, puoi anche provarci, ma se l’inquadratura resta sul volto e lui/lei ha smesso di parlare beh.. semplicemente devi operare dei “taglia e cuci” che rendano il significato senza “tradurre” davvero. E qui sta l’opera di adattamento. E qui devi essere davvero bravo/brava!
    Fermo restando che Wild Turkey è una boiata pazzesca perché in questo caso non si tratta solo di tradurre, qui si tratta di cultura (e ogni buon traduttore deve conoscere a fondo le radici di un popolo e di una lingua) . Qui chi ha tradotto non ha nemmeno tentato di capire che i termini gergali sono radicati nella cultura di un popolo e che se prima non ti informi non puoi tradurre. Sicuramente chi ha tradotto aveva un cartaceo, e non il video. Lo script senza il film.
    E poi Darth Fener… un’offesa bella e buona. Pensano che siamo tutti così sciocchi da pensare al Water… ma poi se vedi i film che produciamo, che vanno primi in classifica… beh forse hanno ragione…. siamo (sono) una banda i pecoroni!
    Cmq gran bell’articolo!!

    PS: siamo sintonizzati devo dire, anche io ho pubblicato un articolo sulle traduzione, nel mio caso di titoli di libri, sul mio blog. Ma spesso, nel caso dei libri non sono i traduttori, è il marketing che crea la copertina e il titolo accattivante per attirare acquirenti.

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    • Come ho scritto tra i commenti al tuo interessantissimo post (per tutti: cliccate sul link per leggervelo, perché è veramente bello!) sulle traduzioni dei titoli dei libri (momento post-produttivo che grazie a te ho inquadrato meglio come funzionale ad esigenze di marketing, come la copertina stessa dell’edizione), sono contento di averti scoperto, Elena!

      Grazie, ovviamente, per il lungo ed articolato commento al mio post e concordo quando dici che “siamo sintonizzati”, soprattutto quando si riesce a distinguere, come ho scritto e come hai evidenziato anche tu, tra obbrobri cafone e frettolosi ed invece difficili scelte di traduzione ed adattamento (penso a chi deve ogni volta adattare espressioni idiomatiche o gergali che tradotte alla lettera perderebbero di significato e che anche traducendole con un frase di simile significato altererebbero comunque l’effetto fonetico, penso a tutti gli “Shit” o ai “fuck” che diventano inevitabilmente “cazzo” nel nostro adattamento, penso al “Therewolf / Werefolf” adattato con “ulula /ululà /ululì ” di “Frankenstein Junior”, per finire con il bellissimo secondo me “fluidofiume” di Scheloni per il meraviglioso, foneticamente e semioticamente parlando, “riverrun” di Joyce dal’intraducibile “Finnegans Wake”).

      Insomma, penso che io e te concordiamo che tra sacrifici, difficoltà insormontabili, inevitabili tradimenti e piccole perle, la storia delle italiche traduzioni ed adattamenti risente purtroppo in gran parte della scarsa considerazione che viene data alla quasi totalità delle fiction tv, ad una fetta enorme dei film e ad una parte consistente della letteratura (specie quella per ragazzi ed il mio pensiero va alla traduzione della saga harrypotteriana della J. K. Rowling).
      Grazie di seguirmi: è un piacere ed un onore.

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      • Grazie mille, non ho parole !!!
        Bello l’elenco finale, e ti sfido… come li avresti tradotti in italiano? Tutti letteralmente ? O non li avresti tradotti affatto?
        E qui potremmo parlare dell’annosa diatriba tra chi vorrebbe i film in lingua originale e chi doppiati. Io, che guardo in film in lingua originale – ovviamente non in giapponese perché non lo conosco 😉 – sono cmq d’accordo con il doppiaggio, mia mamma non potrebbe godere di certe pellicole altrimenti, e penso che sia una stupidaggine dire che gli Italiani non sanno l’inglese a causa del doppiaggio (al massimo potremmo parlare di pronuncia). Gli Italiani non sanno l’Inglese perché non studiano!!
        Per finire Gone Girl, anche volendo, non avrebbe potuto avere titolo tradotto diversamente essendoci un libro, pubblicato precedentemente, dal quale è tratto e che reca il titolo in italiano di L’amore bugiardo!

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        • Mannaggia Elena, mi stai attirando in una di quelle conversazioni che adoro e che spesso con il mio amico Lapinsu faccio, trasformando lo spazio commenti in una chat con discorsi anche più interessanti dei post stessi…

          Gli argomenti che sollevi sono interessantissimi e ci sarebbe moltissimo da dire, tuttavia, semplificando al massimo, diciamo che se lasciassimo completamente in mano agli uffici marketing il compito di tradurre ed adattare le intere opere d’ingegno (film, libri e fiction Tv) probabilmente essi cambierebbero anche i testi pur di vendere di più e magari anche le storie (in qualche caso è stato persino fatto: cito a proposito il caso del film “Silent Running” di cui dibatterò in altra sede, che fu distribuito in Italia con il titolo ingannevole di “2002: la seconda odissea”, facendo credere che fosse un sequel del capolavoro di Kubrick e cambiarono il significato delle frasi intere pronunciate dal computer di bordo per avvalorare quella bugia).

          E’ evidente che a mio avviso il rispetto dell’opera originale deve portare lentamente ad educare una popolazione e non ad assecondarne i bassi istinti: se la scuola pubblica americana, che ha dato da bere per anni ai bambini nei refettori il latte con l’aggiunta di un 30% di zucchero, poi di colpo lo togliesse, quegli stessi bambini chiederebbero di avere di nuovo il latte zuccherato e non accetterebbero mai da soli un latte senza aggiunte, ma sarebbe un grave errore non fare in modo che lentamente si disintossichino dagli eccessi di glucosio; altresì al cinema ed in letteratura, si dovrebbe sempre lasciare il più possibile il titolo originale laddove possibile ed aggiungere la traduzione corretta o l’adattamento, nel caso di significati intraducibili in modo letterale (non posso dire in italiano che “piovono cani e gatti” per dire che piove a dirotto!).

          Della lista che ho stilato, ad esempio, io avrei lasciato i titoli composti da nomi propri per come erano ed avrei tradotto alla lettera il resto, aggiungendo laddove necessario (ma solo se indispensabile un sottotitolo), stando attento a non abusare anche di questa abitudine, che si può rivelare un modo per trasformare qualsiasi cosa appena appena complessa in una versione “usum delfini”… l’impressione è che il dictat impartito agli adattatori sia di applicare ai dialoghi ed ai titoli dei film lo stesso metodo che si usa quando vuoi trasformare una poesia in prosa, banalizzando le immagini liriche, smorzando gli acuti ed acuendo i bassi, livellando tutto cercando di spiegare un’intuizione, in pratica infibulando l’anima dell’artista, castrandone il volo che non riesce a spiccare, legato dalla pragmaticità: il titolo “Se mi lasci ti cancello” della versione italiana di “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” è l’esempio perfetto di ciò che intendo, stuprando i versi di Alexander Pope che lo sceneggiatore Charlie Kaufman aveva scelto per rappresentare la sua storia.

          Mi dispiace, Elisa, mi sto accalorando troppo su una questione e sto diventando noioso.
          Prima di lasciarti tuttavia, qualora tu non l’avessi già fatto, ti prego di rintracciare e guardarti in originale tassativamente (magari switchando sull’italiano ogni tanto) un film che sembra scritto pensando a te: “In a World (Ascolta la mia voce)”.

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  3. Mamma mia che articolone, immenso!
    Tutta la storia della “casa” non la conoscevo, però c’era qualcosa che suonava storto.
    Ah! L’Italia!

    Siamo tutti d’accordo sulla difficoltà dell’opera di traduzione, soprattutto quando si tratta di doppiaggio, ma accidenti sembra quasi una giustificazione per chi se ne occupa ai piani “alti”!
    Io francamente mi sento presa in giro da certi stravolgimenti di titoli, è un insulto all’intelligenza delle persone che sono sempre più viste solo come acquirenti incapaci di ragionare da sole sulla scelta di un acquisto.
    Ah no, aspetta un attimo, è davvero così!
    Noi siamo stupidi e ci meritiamo, come popolo, di essere presi in giro in questo modo.
    Questa è l’Italia!
    È un piccolo esempio ma che rispecchia appieno la nostra identità a 360°: accettiamo quello che ci viene suggerito finché ci conviene, ovvero finché si fa poca fatica.
    Aveva ragione qualcuno…

    Ma tornando alle traduzioni.
    A parte “Harry Potter” che hai citato, ricordo bene alcuni libri di una saga poco conosciuta: “La Ruota del Tempo” di Robert Jordan, tradotti da una casa editrice di cui non farò il nome (inizia con la F) che conteneva non solo errori assolutamente evitabili, ma addirittura interi pezzi saltati.
    Grazie all’impegno di alcuni fan (tra cui io), e in concomitanza con l’uscita della nuova edizione della saga, siamo riusciti a convincere la “F” a collaborare con noi per ritradurre i pessimi errori dei libri e almeno una piccola vittoria è stata raggiunta.
    Ma c’è di peggio.
    Non posso non nominare “Il Signore degli Anelli”: libro e film.
    Parto col dire che tradurre un libro di Tolkien non deve essere facile, l’utilizzo della lingua che fa lui è penso al di sopra di qualunque altro autore vivente o vissuto.
    Quindi, tutto sommato, attenendoci solo a questo, per quanto si perda dalla traduzione dell’originale non è poi così male.
    Ma.
    C’è un ma, sì.
    Perché, oltre al fatto che anche in questo caso mancano interi pezzi di libro (e non si può giustificare editore e traduttore dicendo che era troppo difficile da tradurre!), se fai il paragone con la lingua originale capisci che non hai letto davvero quel libro.
    I modi di parlare, ma anche la costruzione stessa delle frasi hanno un senso diverso che rendono più chiaro al lettore chi sta scrivendo, ovvero un Autore eccezionale!
    Ma non mi voglio dilungare su questa questione se no famo notte.

    Un altro esempio vorrei portarlo sul film, il primo: “La Compagnia dell’Anello” (notare che sto usando solo termini italiani per non creare casini).
    Gli hobbit si stanno dirigendo al fiume Brandivino inseguiti dai Nazgul e, mentre tutti tranne Frodo riescono a saltare salvi sulla zattera, quest’ultimo rimane indietro e urla agli altri: “No!”.
    Ora, questa parolina all’apparenza di poca importanza trovo che stravolga l’anima del personaggio.
    Frodo dice “Go!” (=andate) e c’è una bella differenza di carattere in una persona che urla disperato “no” e una invece che dice ai propri amici di andare senza di lui.
    Non dico altro.

    In sostanza, scusate la lunghezza, quello che mi fa rosicare e vorrei far capire è che avere una traduzione che non rispecchia al massimo il volere dell’autore non è un capriccio o una presunzione del consumatore.
    Perché, infatti, non solo si manca di rispetto a chi ha creato l’opera, ma non si dà la possibilità a chi è dall’altra parte di goderne appieno.
    E penso sia una privazione della libertà culturale dell’individuo.

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    • Cercherò di essere molto preciso in quanto dirò adesso perché voglio non essere frainteso nel modo più categorico:

      1.non vedo l’ora che tu possa accogliere in una versione estesa tutte le osservazioni interessantissime ed articolare di cui mi hai esposto nel commento sopra appena una stilla, perché quello che hai detto e come lo hai detto è esattamente il motivo per cui uno come ti legge e ti leggerebbe sul nuovo blog

      2. contemporaneamente adoro quando abbellisci lo spazio commenti con perle di conoscenza e cultura e passione come quelle che ha dispensato, sia qui, sia sul mio Kasa Shots dedicato alla puntata di Leftovers.

      Tradotto in soldoni: osservazioni pertinenti e commenti come i tuoi, dovrebbero essere ampliati e tradotti in una serie di articoli in cui condividere con tutti i lettori di WP quesat conoscenza e non relgarli ad un commento sul mio blog; tuttavia se smetterai di commentare in questo modo ne avrei un grosso dolore.

      Quindi?
      1. Fai quello che vuoi, perché se cominci ad ascoltare tizio, caio o sempronio non parti nemmeno
      2. Ogni volta che scrivi da me provo un grossissimo piacere nel leggerti
      3. Voglio tuoi post, fossero anche copia & incolla dei tuoi commenti appena scritti, aggiustati con un titolo e accattivante e qualche immagine (sarebbero comunque meglio della media in circolazione)

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      • All’università, al seminario di traduzione, ci insegnavano che il traduttore non si deve vedere, che non può sostituirsi all’autore, che non può essere preso da manie di grandezza, non è lui la star. E che l’autore va rispettato, tanto che se adotta uno stile, questo (con immense difficoltà, credetemi) va mantenuto. Vi faccio un esempio, Se ripete spesso una parola, la traduzione di quella parola deve essere la stessa, sempre. Il problema è che poi subentra la grammatica italiana, che a differenza di altre lingue, impedisce le ripetizioni. E giù a scervellarti per trovare il bandolo della matassa e far filare tutto liscio. Le difficoltà sono molteplici e spesso estremamente sottovalutate. Oltre che ignorate. Il lavoro del traduttore è bistrattato, ma importante se fatto bene, E di traduttori in gamba ce ne sarebbero tanti. Ma se vi documentate un po’ scoprirete che molte case editrici li assumono freelance, e a lavoro terminato non li pagano, o aspettato mesi e mesi. Ma per una buona traduzione serve ricerca, ore di sonno perse, confronto con madrelingua, o se è possibile con l’autore. Un lavoro duro, che resta quasi sempre nell’ombra e viene additato di tutti i mali del mondo. Spesso, lo ammetto, i lavori sono approssimativi. Spesso ci sono grandi traduttori, che non è giusto incolpare per decisioni di marketing. Scusate, non traduci di mestiere, il mutuo non me lo permette. Ma mi sento chiamata in causa in quanto è sempre stato il sogno della mia vita. Vivere di parole !

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  4. Non voglio entrare a gamba tesa nel discorso, io ho studiato traduzione letteraria all’università. Vi consiglio sono una lettura, se non l’avete già fatto:

    Dire quasi la stessa cosa. ( Esperienze di traduzione) di Umberto Eco

    Leggetelo, dico davvero !!!

    Perché tradurre non è facile, quando in lingue e culture diverse mancano spesso le parole e quindi si finisce SEMPRE per dire QUASI la stessa cosa, ma MAI la stessa cosa.

    Con questo non voglio giustificare certe scelte editoriali. Spesso i traduttori vengono additati come colpevoli per scelte non loro, spesso sono sottopagati, spesso non gli viene dato il tempo, a volte sono capre !!!

    Cmq riguardo Tolkien (il mio autore preferito) sapevo che la società Tolkeniana italiana aveva avuto un ruolo nella traduzione delle ultime edizioni….. ma io l’ho letto in originale.

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    • Hai ragione Elena, nessuno bistratta i traduttori, sappiamo che chi prende le decisioni ultime sono le case editrici. E sappiamo anche che è un lavoro difficile, nessuno ha mai detto il contrario.
      Anzi, proprio perché sei del mestiere a te deve dare ancora più sui nervi leggere traduzioni fatte male, letterarie e non.
      Perdere ore di sonno e altro è il mestiere del traduttore, ogni mestiere alla sua mole di lavoro e non per questo deve essere fatto alla leggera. Certo, se chi lavora non è ben ricompensato fa girare le balle!
      Purtroppo però questo è un male del nostro paese: non esiste la meritocrazia.
      E purtroppo l’assenza di ricompense e soddisfazioni porta le persone a lavorare sempre meno bene, e il risultato finale è che sono tutti scontenti.
      Comunque, grazie per la segnalazione del libro.

      Kasa, al solito sei troppo gentile.
      Grazie!

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      • Credimi sono un’estremista della parola, mi inka… come una iena a leggere certe boiate. Il problema è che spesso vanno avanti i figli di …
        Non ti incavoli mai ascoltando un TG, quando senti come pronunciano certi giornalisti che magari devono dire una o due parole in inglese e nemmeno vanno a cercare la pronuncia esatta ? Idem per certe traduzioni, assolutamente vero! A volte però, credimi, i lavori di editing fanno il resto.

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    • A differenza di te, io sono vecchio, carissima Elena (non hai idea del piacere di averti qui nello spazio commenti del mio blog!) ed Eco l’ho avuto persino come insegnate all’Università, a Bologna, quando riuscii ad inserire Semiotica (che era un fondamentale e non un complementare) nel mio piano di studi di Lettere Moderne, grazie all’aiuto del Prof. Raimondi, mio mentore: con persone molto più preparate di me, si parlava molto, a suo tempo, al dipartimento di italianistica in Via Zamboni, di traduzione, soprattutto nel difficilissimo compito di adattare le poesie ed alcuni temi erano ricorrenti nei nostri discorsi, compresa la pigrizia intellettuale delle nostre genti, che tendono a rifugiarsi in una comoda traduzione anche quando potrebbero sforzarsi un po’ di più.

      Ripenso anche alle bellissime chiacchierate fatte dopo l’orario della fumetteria con amici (anche non letterati ma appassionati) che si mescolavano ai ragazzi che in Shin Vision ed in Dynit stavano in quegli anni traducendo dal Giappone manga ed anime: tra questi un giovanissimo Calvitti, che stava già diventando oltranzista fino alo spasimo negli adattamenti e che teneva sempre concione con le traduzioni cinematografiche di Blade Runner.
      Un giorno era presente in negozio anche un editore bolognese (di cui non posso fare il nome), ex-negoziante ed importatore, che si vantava di pagare pochissimo le traduzioni (che commissionava ad un gruppo di studenti nipponici) dei romanzi fantasy di Lodoss War (tratti dall’anime omonimo): “Ah, io faccio tradurre quei libri in fretta, alla bene-meglio, così li pago un tanto al chilo e poi do tutto in mano alla mia donna, che non sa nulla di giapponese, ma è professoressa di italiano ed aggiusta quella prosa rozza da traduttore automatico in frasi scorrevoli e più… poetiche! Il gioco è fatto e senza pagare un traduttore vero e rompi coglioni”; Calvitti (che aveva appena finito di lamentarsi del fatto che la Comic Art avesse licenziato la traduttrice romana dei primi numeri dei tankobon del manga “L’immortale” perché troppo lenta nel ricercare ogni volta il termine italiano antico più adatto al corrispettivo giapponese medioevale) guardò l’editore con gli occhi iniettati di rabbia e disgusto, ma sapeva anche lui che la dura legge del mercato provinciale e ristretto della nostra penisola offriva solo quello ed a volte anche di peggio…

      Il problema è che pochi lettori generano pochi introiti e pochi introiti, se uniti alla pigrizia italiana ed alla nostra provincialità (siamo uno strano popolo che a volte si fa vanto dei suoi difetti), creano l’approssimazione dei nostri adattamenti.

      Sono mesi che vado sbraitando che il 2015 è stato l’anno più femminile di WP e vedervi parlare entrambe sul mio blog mi riempi il cuore d’orgoglio!

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      • A differenza di me “un corno” 🙂 mio caro Kasabake…. l’età è un numero, fidati !! E poi io non sono mica tanto giovane 🙂
        Beh che bello dev’essere stato poter vivere immerso in un ambiente letterario di quel tipo. Nel mio piccolo sono stata fortunata anche io, il mio prof di letterature ispano americane era Angelo Morino, meno famoso di Eco, certo, ma nell’ambiente della traduzione era un grande. (Gabriel Garcia Marquez, Manuel Puig, Isabel Allende tra gli autorio da lui tradotti).

        L’Italia ahi noi, è un Paese contraddittorio e i suoi abitanti non sono da meno. L’approssimazione la fa da padrone in tutti i campi, e la cultura del “furbetto” ha sempre la meglio. È triste ma è così. Lo so e nel mio piccolo lo combatto.

        In a World… non l’ho visto, no. Onestamante non sapevo neppure che esistesse.. andrò a cercarlo.

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        • Nello specifico settore della letteratura ispanica Aneglo Morino è stato per noi amanti della letteratura straniera il corrispettivo (ma ad un livello ancora più elevato) di quello che fu la Pivano per gli autori della beat-generation, ossia un nume tutelare: non lo conosco come scrittore, invece, di cui mi dicono siano uscite varie cose per la Sellerio.
          Quella che hai ricevuto, Elena, è un’eredità culturale che porterai senza dubbio con orgoglio, perché ti è stato trasmesso il patrimonio di un vero umanista, che aveva un concetto di condivisione della cultura quasi evangelico.
          Nostalgia a parte, per quel che ho imparato a conoscerti (dai tuoi scritti), nel caso avessi voglia di cimentarti, non potresti non apprezzare il film che ti ho citato e questo perché, aldilà della storia (una bella commedia, gradevole e non fracassona, con protagonista un personaggio femminile forte, intelligente e non “telefonato”) e della significativa interpretazione dell’attrice principale, “In a World” sembra l’esemplificazione di alcune delle cose che dicevi nei commenti: la vicenda sullo sfondo vede padre e figlia lavorare entrambi come doppiatori, in un ambiente lavorativo descritto in modo inedito… quando il padre chiede alla figlia di ripetere la mitica frase “these are not the droid you’re looking for” (che pronuncia Alec Guinness nel primo “Star Wars“, ma detta con accento russo, ti giuro, che ti pieghi in due dal ridere…

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          • Ti posso assicurare che sono stati anni favolosi quelli dell’Università, Poi al corso eravamo pochi, 16/17, Morino ci conosceva per nome. Agli esami ci sfidava , che voto ti daresti ? Ascoltare le sue lezioni era immergersi nella cultura e nella letteratura. Aveva così tanta esperienza. Anche con La prof Vittoria Martinetto è stato così. Per non parlare delle lezioni di cultura Anglo Americana e dalla mia esperienza alla UCSB in Caifornia.

            Morino è stato anche un grande scrittore. Ho tutti i suoi scritti ovviamente. Ho pianto come se fosse mancato un parente alla sua morte.

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  5. Elena e Silmarien, spero che mi leggiate ancora, perché volevo chiedere ad entrambe se avete mai visto ed in caso cosa pensate del film, a mio modesto giudizio, più intradicibile del mondo, “In a World…” un film sui doppiatori e sulla voce, il cui doppiaggio è non solo impossibile, ma anche un controsenso, come i tentatvi di Scheloni di tradurre Finnegans Wake (anche se fluidofiume al posto di riverrun era molto bello…).

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      • Il sistema più semplice è senz’altro quello di scrivere sullo spazio bozza previsto da WP quando prepari un articolo, mettere tutti i grassetti, gli italici o link di collegamento che vuoi e poi, quando sei soddisfatta, andarti a copiare il testo come appare nella visualizzazione in html..

        Io ho fatto così, linkando il tuo nome e quello di Elena ai vostri blog, di cui ho bellamente copiato l’url dalla barra degli indirizzi, ricordandomi sempre di spuntare la casellina “apri collegamento in un’altra scheda”.

        Inserisci-Link

        Oppure scrivere in html direttamente, ma è noioso, ad ogni modo ti mostro come appariva il messaggio che ho usato per il commento ho taggato sia te che Elena…

        Html

        Bye!

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  6. Ciao Kasa, mi permetto di aggiungere alcuni film a quelli da te elencati.

    A proposito delle necessità di dover mettere un sottotitolo, anche se la traduzione è corretta:

    Titolo originale: Ghost
    Titolo italiano: Ghost – Fantasma

    Ancora aggiunta di sottotitolo ma con traduzione edulcorata:

    Titolo originale : Dirty Dancing
    Titolo italiano: Dirty Dancing – Balli proibiti

    E, infine, traduzione completamente sbagliata, anche se comunque c’entra con la trama del film:

    Titolo originale. The Martian
    Titolo italiano: Il sopravvissuto

    Mi chiedevo come mai “Cast away” non l’abbiano tradotto e nemmeno sottotitolato, non è che sia una traduzione così immediata per chi non conosce l’inglese. Se hanno lasciato invariato questo titolo, allora perché tradurre invece “The Martian”, il cui senso è palese anche per chi non mastica una parola di inglese?
    Sono misteri che non capirò mai.

    Buona giornata!

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    • Aggiunte più che gradite!
      Tra l’altro con questa scusa del “sottotitolo” i distributori nazionali hanno fatto passare le più turpi storpiature ed in alcuni casi persino uno spoiler di cattivo gusto: penso che il caso più clamoroso sia il film drammatico con trama gialla (una sceneggiatura del troppo pagato Joe Eszterhas, autore che in ogni film di successo che ha scritto usa la stessa formula… crimine, sospettato numero uno palesemente colpevole, poi non è più colpevole, alla fine lo è davvero… Basic Istinct, Sliver, Jade…) diretto nel 1989 da Cosat-Gravas, che in originale si chiamava semplicemente “Music Box” ed in Italia è stato distribuito con “Music Box, prova d’accusa” che svela il finale… assurdo!
      Comunque hai ragione: certe elucubrazioni mentali non le capiremo mai… (visto il tema della settimana, vogliamo parlare di Dart Vader divenuto Darth Fener o l’ancora più inspiegabile Leia Organa divenuta Leila Organa?).
      Cara Silmarien, à la prochaine!

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  7. Bello… Di qualcuno ricordo anche la giustificazione data per il cambio del titolo, di qualcuno non capisco (perché cambiare Rio Grande e Rio Bravo? Mah) . Invece “La Casa al N. 13 in Horror Street” mi fa venire in mente il maresciallo Giraldi…
    Mah, io credo che i vari distributori e adattatori ci vedano per quel che siamo… E quindi non so se fargliene tutta una colpa.

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    • Qualcuno diceva che abbiamo il governo che ci meritiamo ed in modo più esteso e forse qualunquisticamente arrendevole, si potrebbe estendere il concetto a tanti momenti e scelte ontologiche… Quindi, di base, concordo con te…
      In modo più alto, a pagina 24 del bel romanzo adolescenziale “The Perks of Being a Wallflower” di Stephen Chbosky (divenuto poi un film diretto dallo stesso autore del libro), Sam dice a Charlie “we accept the love we think we deserve” e questo concetto che noi accettiamo di innamorarci solo delle persone che pensiamo di meritare, questo porci (not pigs) dei limiti al paradiso che potremmo raggiungere è una spiegazione che parte dallo stesso tronco di autolimitarsi ed autostimarsi che dice tanto di più anche sul sociale.

      Ora mi fermo, perché in un post dove uno sceriffo ordina del tacchino anzichè del whiskey, discorsi troppo pesanti sono fuori luogo, ma in fondo, lo siamo anche io e te… Non pesanti, ovviamente, ma fuori luogo (altrove).

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